In devoto omaggio dei nostri marinai

Nell'Artico c'è ancora un capo Fiume. È il risultato della scoperta della Terra di Francesco Giuseppe, avvenuta 150 anni fa

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In devoto omaggio dei nostri marinai
Milorad Stanić con la ristampa anastatica e Miljenko Smokvina con l’originale del libro di Peter Kuničić. Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Ricordare necesse est. Conoscere, approfondire le nozioni e riflettere sulla storia non è mai un esercizio fine a sé stesso, che non ha un particolare utile se non quello che deriva dal semplice piacere di sapere, ma si può trarne un insegnamento indispensabile per formare cittadini consapevoli, coscienti, responsabili. Aiutandoli a comprendere il presente e, forse, anche intuire ciò che potrebbe accadere nel futuro. Siccità che fanno paura, alternate a piogge alluvionali, bruschi sbalzi di temperatura: sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze dei cambiamenti climatici. Per studiare l’impatto del riscaldamento globale, che sta alterando l’ambiente in cui viviamo, l’economia, le comunità e, non ultima, la nostra salute, diversi ricercatori si concentrano sul delicato ecosistema dell’Artico.

Era scientifico-esplorativo – rintracciare il leggendario passaggio a nordovest, un varco tra le gelide distese che doveva consentire di raggiungere l’Oriente – anche lo scopo dell’Österreichisch-Ungarische Nordpolexpedition, la famosa spedizione del 1872-1874 ai confini del pianeta. Competenza, intelligenza ed eroismo guidarono gli uomini che 150 anni fa scoprirono la Terra di Francesco Giuseppe, arcipelago di 191 isole ricoperte per oltre l’85% da ghiacciai immacolati, situata nella Siberia russa, nel mare di Barents, a est delle isole Svalbard. Il primo avvistamento, a 79°43’ N – 59°33’, il giorno 30 agosto 1873, si deve al nostromo fiumano Pietro Lusina, come rilevato alla recente presentazione della ristampa anastatica del libro di Petar Kuničić (1862-1940), “Hrvati na ledenom moru” (Croati nel mare di ghiaccio), uscito nel 1893. La pubblicazione è stata realizzata dal Lions Club Quarneroli di Laurana, insieme con la libreria antiquaria Ex Libris (il ricavato delle vendite sarà devoluto in beneficenza), che rispetto all’originale, contiene in più dei cenni biografici su Kuničić, ricostruiti da Miljenko Smokvina, e la prefazione firmata dall’avvocato Milorad Stanić, in nome dell’associazione filantropica).
L’autore – insegnante, scrittore, studioso e traduttore nato in un piccolo centro sull’isola di Lesina – ha raccontato ai lettori croati l’emozionante impresa, corredandola con 58 illustrazioni; una vicenda che appassionò il pubblico europeo (e non soltanto), basti pensare che il resoconto cui Kuničić si ispirò, il “Die östereichisch-ungarische Nordpol-Expedition 1872-1874” (ed. Holder, Vienna 1876), di Julius von Payer (Schönau, 1841 – Veldes, 1915), fu tradotto all’epoca in quattordici lingue, diventando quello che oggi definiremmo un autentico bestseller, ben 46mila copie vendute. Payer, alpinista, esploratore e pittore, affiancò Carl Weyprecht nelle vesti di comandante delle spedizioni su terra e fu colui che battezzò la scoperta, chiamandola “Kaiser-Franz-Joseph-Land”, dal nome dell’imperatore Francesco Giuseppe.

Una targa per i Quarneroli… fiumani
Dei particolari della spedizione si è già parlato sulle pagine di questo giornale. L’argomento è stato trattato in modo dettagliato e sapiente da Miljenko Smokvina, collezionista e appassionato ricercatore e divulgatore, che ha scandagliato numerosi aspetti del passato di Fiume e, in senso più lato, di quest’area (dal siluro alla storia della fotografia). Smokvina la narra, tappa dopo tappa: l’andamento della raccolta dei finanziamenti pubblico-privati (il costo preventivato era di 175mila fiorini, salirà a 222.616 fiorini e 7 corone), coperti perlopiù da donazioni, molte delle quali provenienti dalla nobiltà austro-ungarica, da persone e società di Fiume, Laurana, Volosca, Lussino, Pola, Rovigno e Spalato (che aggiungerà, per gli ufficiali, anche casse di Maraschino!); la costruzione della nave, all’avanguardia, la Admiral Tegetthoff; le condizioni meteo, estreme, per cui s’incaglierà dopo appena un mese di navigazione; la vita a bordo, dove nonostante due depressive notti polari e quattro mesi senza sole, l’equipaggio troverà l’umore giusto per festeggiare sia Natale che Carnevale; il prezioso aiuto dei cani, anche nella caccia (cattureranno ben 67 orsi bianchi, oggi “trofei” impossibili, giustamente); la decisione di abbandonare la nave e le esplorazioni, con tutte le insidie, e gli screzi tra i due comandanti; la scoperta, il successivo raggiungimento del mare aperto e la salvezza; la gloria in patria. E il successivo oblio. Ricordare necesse est, si diceva in apertura: ed è questo lo spirito che ha mosso gli editori e gli organizzatori della mostra “Marinai dell’Adriatico nell’Artico”, voluta dal Lions Club Quarneroli di Laurana e dalla filiale fiumana dell’associazione degli emigranti croati (la Matica hrvatskih iseljenika, rappresentata da Renata Garbajs), che dalle teche in Corso si sposta oggi negli ambienti del campus di Tersatto. L’obiettivo è trasmettere alle generazioni di domani l’eredità della spedizione austriaca del 1872-1874 – ma con uno sguardo rivolto a ciò che avviene oggi, come ha sottolineato Milorad Stanić, citando i cambiamenti climatici e i giochi geostrategici, in particolare di Mosca e Washington, valorizzando il ruolo dei Quarneroli (come furono definiti i marinai di quest’area che s’imbarcarono in questa esperienza).
In occasione del 40° anniversario del rientro della spedizione, fu posta (nel 1914) nella chiesa della Madonna del Mare a Pola una targa commemorativa. Dopo quelle in memoria di Palmich, Succich, Lettis e Stiglich (1846-1882), ora si vorrebbe rendere omaggio anche alla parte fiumana della ciurma, al nostromo Lusina e ai marinai Marola e Vecerina (Večerina). Sollecitando la collaborazione della Città di Fiume. Del resto, come risultato della spedizione di 150 anni fa, esiste ancora oggi, nel lontano Artico, intoccato dai russi che ne hanno la sovranità, un capo Fiume. Come c’è un capo Trieste. Due città, due porti della “Defonta”; entrambe hanno reso omaggio all’evento di 150 anni fa. Il capoluogo quarnerino lo sta facendo anche in questi giorni; quello giuliano l’ha fatto tra novembre 2022 e gennaio 2023, con una ricca rassegna curata da Enrico Mazzoli (“Marinai delle vecchie province, tra i ghiacci”).

Uomini ed eroi
Per novecento giorni, dal 1872 al 1874, a bordo della goletta Admiral Wilhelm von Tegetthoff, viaggiarono ai confini del mondo, portando alla creazione delle prime stazioni scientifiche intorno ai Poli. Capitano di velieri mercantili, il chersino Pietro Lusina (42 anni) fu scelto come nostromo, mentre s’imbarcarono anche tre sottufficiali della marina di stanza a Pola: Pietro Fallesich (27 anni) di Portorè, Giuseppe Latkovich (27 anni) dei pressi di Fianona (per la precisione di Cosliacco/Iessenovizza) e il dalmata Antonio Zaninovich (23 anni) di Santa Domenica (isola di Lesina). Come marinai di queste terre, fecero parte dell’equipaggio: Giacomo Sussich (26 anni) di Volosca, Francesco Lettis (22 anni) di Abbazia, Vincenzo Palmich (32 anni) di Laurana, Giorgio Stiglich (24 anni) di Praputnjak (sopra Buccari), Antonio Lukanovich (26 anni) di Pucischie (isola di Brazza), Antonio Catarinich (o Katallinich, 26 anni) di Lussinpiccolo, Lorenzo Marola (26 anni) di Fiume, Antonio Scarpa (20 anni) di Trieste, e il maestro d’ascia Antonio Vecerina (28 anni) di Draga (Sušačka Draga), presso il capoluogo del Quarnero.
Oltre a questi, vanno senz’altro citati il comandante (in mare), tenente di vascello Carl Weyprecht, tedesco di Bad König ma triestino d’adozione; il comandante a terra Julius Payer, da Teplice in Bohemia, ma pure questi trapiantato a Trieste giù a 17 anni; il boemo Gustav Brosch, primo ufficiale, il moravo Eduard Orel, secondo ufficiale; il medico di bordo, Julius Kepes, ungherese; il norvegese Elling Carlsen, arpioniere e “pilota dei ghiacci”; il macchinista e meccanico Otto Krisch, da Patschlawitz, in Moravia, che morì di tubercolosi; il moravo Josef Pospischil, fuochista; l’austriaco (stiriano) Johann Oratsch, cuoco; e i tirolesi Johann Haller e Alexander Klotz, entrambi cacciatori e alpinisti. Quarnerini, dalmati, fiumani e istriani, insieme con i triestini e i cacciatori sudtirolesi, formarono Österreichisch-ungarische Nordpol-Expedition. Fu Weyprecht a scegliere i tre sottufficiali, mentre gli altri uomini furono individuati da suo amico, il capitano di fregata Heinrich von Littrow, ispettore marittimo a Fiume (che ha descritto il viaggio in due volumi, pubblicati nella tipografia di Emidio Mohovich).

Ma oltre alle competenze specifiche, di uomini abituati a solcare i mari, l’equipaggio dimostrò come la diversità linguistica ritornasse utile a seconda della circostanza: a ogni lingua, la sua funzione. La varie lingue che si usavano sulla nave (inglese, francese, tedesco, italiano, latino, ungherese, vari dialetti della Dalmazia, tirolese, forse anche rumeno), rese questa di Weyprecht la prima spedizione di carattere internazionale, nel caso specifico europea.

“A bordo la confusione delle lingue si presenta alquanto comica – osservò Payer, capo delle spedizioni via terra –. Tra loro i marinai parlano per lo più in slavo, ma in servizio usano l’italiano. In cabina si parla tedesco, e norvegese con l’arpioniere Carlsen, un uomo di 50 anni. Questi conversa con l’ufficiale di coperta Lusina in inglese. Carlsen è il nostro maestro di ghiaccio, e se è in turno di guardia, dà i comandi in norvegese – solamente da qualche tempo si avvale di alcune delle parole più usuali in italiano. Il dottor Kepes dialoga con gli uomini usando il suo latino professionale e l’ungherese, ma con Lusina parla in francese. Infine, abbiamo a bordo una strana lingua – si tratta del tedesco dei due tirolesi, che all’inizio riuscivo a comprendere io solo”.

Temprati dalla bora
Pare che quando Weyprecht rivelò ai tedeschi di voler affrontare il Mare Artico con marinai mediterranei, quelli sorrisero con sufficienza, ma lui ricordò che nella ritirata di Russia i reparti napoleonici che avevano subìto meno perdite erano quelli delle province illiriche, fra Trieste e la Dalmazia. Weyprecht era convinto del fatto suo e, in una lettera all’amico von Littrow, ribadì la sua decisione: “Poche regioni d’Europa offrono tali contrasti climatici come le coste nord-orientali del mare Adriatico. Mentre d’estate il sole trasforma le spoglie montagne in forni incandescenti, che la notte irradiano nuovamente calore accumulato, d’inverno la bora scende dalle alte montagne spazzando con la potenza d’un ciclone, portando con sé l’aria gelida delle Alpi le cui creste, in alcune zone della costa, s’innalzano direttamente dal mare. Contro la bora non c’è difesa alcuna, l’aria secca attraversa gli indumenti più spessi, facendosi beffe delle pellicce e della lana. Nelle case malamente chiuse da porte e finestre ricche di spifferi l’uomo delle nostre coste conosce il lusso della stufa solo dai racconti. Egli tuttavia la evita, poiché pensa che il caldo della stufa non faccia bene alla salute. Tu sai il mio punto di vista, e non credo di sbagliarmi, a considerare i nostri marinai del litorale del tutto idonei”. In un telegramma inviato prima della partenza, i Quarneroli giurarono che avrebbero sparso “sino all’ultima goccia di sangue” per il loro “grande e buon comandante”. Si potrebbero aggiungere le parole di Isabel Burton, moglie dell’esploratore Sir Richard Burton: “Noi prendiamo le navi del Lloyd Austriaco perché sono le migliori: la cucina è all’italiana, c’è pulizia e una certa raffinatezza nei servizi. Sono navi sicure e il personale, per lo più dalmata, appartiene ad una intrepida razza marinara, onesta, civile e che sa soprattutto tenere la nave con il mare grosso”. 

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