Il vetro: un materiale più prezioso dell’oro

Claudio Grassetti racconta in un’intervista il suo percorso iniziato con la fotografia, la grafica e la serigrafia industriale. Alla grande maestria tecnica l’artista veneziano ha affiancato la capacità di utilizzare metallo, stoffa e plastica

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Il vetro: un materiale più prezioso dell’oro
Claudio Grassetti. Foto: DENIS VISINTIN

Claudio Grassetti è un artista veneziano che non si limita a riprodurre, ma tende a capire le persone e il mondo che lo circonda. Di recente si è presentato a Parenzo con l’esposizione “Venezia crepa”. È stata questa un’ottima occasione per conoscere sia Grassetti che la sua attività e produzione.

Stampatore a 360 gradi
“Ho studiato ragioneria e urbanistica – inizia il nostro colloquio – che non c’entra niente con l’arte. Ma facevo il fotografo e mi occupavo di sviluppo e stampa della fotografia, che mi aveva appassionato. Allargando la ricerca alla fotomeccanica ho iniziato a inserire delle vere e proprie fotografie nelle stampe in serigrafia. Con un compagno di Padova che aveva aperto una bottega, facevamo soprattutto manifesti di contestazione per il movimento operaio e studentesco, oltre a qualche prodotto commerciale: etichette adesive e locandine. Facevo anche servizi fotografici a matrimoni. Siamo negli anni 1972-’73 e mi ero appassionato alla serigrafia. Alla Scuola Internazionale di Grafica mi è stato chiesto di stampare delle cartelline per le loro edizioni artistiche, con il nome dell’artista e il logo del Centro Internazionale della Grafica. Erano edizioni molto lussuose rilegate in seta e realizzate da Paolo Olbi, noto rilegatore di Venezia. C’era un artista, Andrea Pagnacco, uno dei primi che faceva pellicole in super 8, filmini che duravano una decina di minuti. Quest’espressione artistica stimolava la creatività nel periodo, tanto che anche Tinto Brass, Casato ed altri la utilizzavano. Pagnacco voleva realizzare un’edizione di 5 serigrafie per il Centro Internazionale di Grafica. Nella circostanza avevo appreso che Silvano Gosparini proponeva di mandare i bozzetti a Roma, per i suoi rapporti privilegiati con uno stampatore. A quel punto avevo colto l’occasione e mi ero proposto come stampatore a 360 gradi. Silvano accetta la sfida e investe nel materiale necessario. Io avevo a disposizione solo un ingranditore DURST Y 35, ma ce l’ho fatta. Così sono passato dai manifesti di protesta politico-sociale a opere di artisti, iniziando a collaborare con Pagnacco, proseguendo con Riccardo Licata, Music, Zigaina, Giorgio Celliberti, Paolo Valle, Vittorio Basaglia, Lodi, Borsato, Guidi, Saetti, Blenner. Grazie al Centro Internazionale della Grafica ho conosciuto artisti e colleghi – fra cui il triestino Franco Vecchiet e Lojze Špacal. Alcuni sono diventati veri amici”.
Collaborazioni durate una vita
“Insegnavo Serigrafia nei corsi invernali della Scuola, Litografia con Robert Simon e Tecniche sperimentali dell’Incisione con Riccardo Licata nei corsi estivi per la New York University e per un’Accademia tedesca. Poi nel 1983-’84 mi sono messo in proprio, mantenendo sempre i rapporti con Silvano e i compagni, perché mi ero stufato di fare le cose su commissione soprattutto in un momento in cui la stampa d’arte, che qualcuno chiamava grafica, veniva commercializzata in maniera indecente (stampe offset e tirature esagerate). Per distinguere il mio lavoro dalle realizzazioni troppo semplici e troppo commerciali del periodo ho iniziato a utilizzare le materie e i colori che studiavo come assistente di Licata nei corsi. In seguito, lavorando con Celliberti, avevo realizzato veri e propri affreschi su carta. Mario Schifano, Tano Festa e Franco Angeli, che appartengono al mio ‘periodo romano’ mi hanno portato a realizzare grafiche arricchite da applicazioni varie e stampate con smalti da carrozzeria. Nello stesso periodo ho conosciuto anche Salvatore Provino, con il quale ho realizzato opere con velluti, sabbie e segature varie per cercare di avvicinarmi alla sua tecnica pittorica originalissima. L’incontro con Umberto Mastroianni mi ha portato a integrare le mie stampe multi-materiche con sbalzi ottenuti con matrici in bronzo, proseguendo via via con la tecnica della carta pesta, fatta fogli rosaspina. E con il maestro Mastroianni, sempre armato di martello, sorgevano opere dai crateri della carta stampata e lacerata e poi sacchi, rami, piombi. Era lo scultore della corrosione della materia, era quello che voleva masticare la materia, incidere e lacerare la materia e ne aveva fatte di tutti i colori, ricevendo il Premio alla Biennale nel ‘58 e il Premio imperiale nel ‘90”.

Passione per le sculture in vetro
È stato attirato da discipline simili. Ci racconti le sue esperienze.
“Ho sempre cercato una simbiosi con l’artista con cui lavoravo, mettendo a disposizione la mia conoscenza tecnica e assorbendo la sua cultura. Ma con uno così…?? Per fortuna avevo uno zio che a Murano produceva lampadari in vetro. Ho chiesto di poter presenziare in fornace quando lavoravano e ho usato il vetro e le sue caratteristiche per il mio progetto. Ho cominciato a fare i vetri, studiando il sistema per corroderli o per farli scoppiare in alcuni punti. Quando ho portato i primi prototipi dal Maestro, ne è stato così entusiasta che aveva organizzato seduta stante una mostra all’EDI Italia in via del Corso (1991). Poi il progetto si è sviluppato sempre più con nuove opere, sempre più grandi e difficoltose. Ho scelto di appoggiarmi ad un’altra fornace di Murano (Aureliano Toso) che aveva le strutture adatte e grandi artigiani dai quali ho assorbito una parte di conoscenza che mi mancava. Dai forni uscivano opere fantastiche che ci hanno dato il lasciapassare per un’importante mostra a Palazzo Ducale a Venezia. 60 opere con la partecipazione dei Musei Civici del Comune di Venezia e catalogo ELECTA (ottobre 1998). Fondamentale è stato il lavoro del prof. Giovanni Sarpellon, che ha curato il catalogo e l’ha fatto diventare un libro di cultura e arte: ‘Fragilità e forza. I vetri di Umberto Mastroianni’.
Questa storia mi ha dato un sacco di soddisfazioni. Oltre alle grafiche realizzavo sculture in vetro. Al Castello di Pergine con Licata abbiamo fatto una grandissima mostra dove addirittura ho fatto un quadro con lo sfondo di una parete del castello e i suoi segni alti 2 metri in poliuretano laccato con smalti da imbarcazione fissati nel muro. Vetri, grafiche e mosaici erano all’interno. Con Berengo, con cui sto realizzando opere metalliche e grafiche, nel 2000 abbiamo organizzato un’importante mostra nei giardini dell’Hotel Cipriani con la presenza di artisti di fama internazionale in concomitanza della Biennale d’Arte”.

La metamorfosi della Città lagunare
Ha lavorato come artigiano creando sculture, opere a stampa, per altri artisti, che hanno sempre riconosciuto il suo impegno. Alcune sue opere sono state presentate a Parenzo. Come nasce la mostra “Venezia crepa”?
“Dopo un periodo di malattia, in cui non ho potuto lavorare, è successo che due artisti importanti per i quali stavo lavorando, Linstrom e Corneille, sono mancati. Io ero un po’ malmesso e ho pensato di cambiare lavoro. Ma poi ho fatto dei lavori miei. Ho realizzato dei palazzi veneziani in vetro per una mostra a Venezia lavorando durante la convalescenza con pezzi di creta e plexiglass. Quando uno degli eleganti palazzi è crepato in fase di realizzazione, nel vetro l’immagine è affascinante ma la sua rottura può comunicare di più. Ho realizzato dei palazzi e delle facciate e ci avevo messo dentro l’esperienza che avevo fatto con i vetri lacerati di Mastroianni. Li facevo scoppiare, questi palazzi perfetti e li incollavo di nuovo e stavano come dei puzzle. Poi giocando anche con materiali incompatibili, li facevo scoppiare nei punti scelti da me. Ma colui che in realtà ha cambiato il mio lavoro in ‘opera d’arte’ è stato Giovanni Sarpellon, che ha scritto delle critiche sul mio nuovo lavoro. Ho fatto delle esposizioni in giro per Venezia. La prima è stata ai Magazzini del sale, con i vari compagni che lottavano contro la monocultura turistica, contro il turismo di massa. E poi nella galleria di Venezia Viva. Il Mose e le grandi navi stavano distruggendo Venezia. Per cui abbiamo chiamato questi eventi ‘Venezia crepa’”.

È stato ospite di una città che ha avuto un lungo legame con Venezia. Qual è il ruolo della cultura come ponte tra le due sponde dell’Adriatico?
“Credo che alcuni interventi culturali e manifestazioni di massa possano far rinascere quella coesione del popolo che non c’è più ma c’era trent’anni fa. Una volta se avevi bisogno di qualcosa, se venivi licenziato avevi cinquanta persone che ti sostenevano, adesso se ti licenziano ne hai cinquanta che pensano ‘mi sa che prendo io il suo posto’”.
Abbiamo accennato a grandi nomi della scena artistica italiana. Qual è lo stato attuale?
“Non emerge niente. Se devo dire la verità, ho mollato lo studio personale perché non avevo più clienti che mi garantivano di lavorare. Sono scomparsi Licata, Mastroianni, Linstrom e Corneille. Poi sono stato invitato da Eulisse ad un nuovo laboratorio a Forte Marghera dove alcuni insegnanti e studenti dell’Accademia si erano impossessati di locali dismessi per farli rivivere sotto forma di studio polifunzionale di Arti della Stampa. Stefano Mancini e Valter Černeka mi hanno aiutato a trasportare tutto il mio studio: mancava la serigrafia”.

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