«Il vangelo del nemico», uno spettacolo che pone domande e non dà risposte

Il forte impatto emotivo della nuova produzione del Dramma Italiano ha lasciato il pubblico a bocca aperta

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«Il vangelo del nemico», uno spettacolo che pone domande e non dà risposte

Si è tenuta nel salone della Filodrammatica la prima de “Il vangelo del nemico” di Roberta Dubac, lo spettacolo che ha aperto la stagione teatrale del Dramma Italiano di quest’anno.
Qualche giorno prima dello spettacolo, il regista Giulio Settimo, ha invitato gli spettatori interessati a prenotare o ad acquistare il biglietto, in quanto i posti a disposizione erano soltanto 40 ed effettivamente tutti i posti liberi della platea erano occupati da un pubblico impaziente di incontrare il DI dopo la pausa estiva.

La paura obbedisce agli ordini
A pochi passi di distanza dalla prima fila di spettatori è stata allestita la scena: un ambiente quasi post-apocalittico, che ricorda le rovine dopo le esplosioni, assi di legno accatastate, pezzi di legno che una volta erano insegne e che ora sono muti testimoni di città, fabbriche e negozi che non ci sono più. Dalle macerie emergono gli attori, Mirko Soldano nei panni di un soldato che ha il compito di proteggere dal nemico un falegname (Elena Brumini) a cui è stato ordinato di erigere un confine, ma che, non avvezzo all’obbedienza cieca ai superiori, vorrebbe capire chi sia il nemico e perché bisogna distruggere dei bellissimi alberi per fare barriere senza un’utilità immediata.
Il clima kafkiano di due personaggi impigliati nelle maglie del sistema, senza capirne bene il fine ultimo, è rivelato sin dall’inizio dalle incessanti domande del civile alle quali la risposta non arriva mai. “Chi è il nemico?” chiede il falegname. “Lo sai bene!” risponde il militare. “Tu lo hai mai visto?”, non si arrende il civile. “Fai domande stupide!” taglia corto il soldato.
Il battibecco continua, il falegname vorrebbe capire come fa il soldato a sapere a chi sparare?
Come si riconosce il nemico?
Non esistono risposte chiare, anche perché il nemico si può travestire e può prendere le sembianze di qualcuno che ci è amico.
Pure il militare potrebbe essere il nemico, in quanto si traveste per sembrare un altro.
Non valgono le sue rimostranze che si tratta di un’uniforme e non di un costume.
Anche se la formulazione dei dubbi che lo assillano a volte è un po’ infantile, decisamente molto poetica, alla base dei quesiti c’è il nocciolo dello spettacolo.
Come facciamo ad obbedire agli ordini se non sappiamo identificare bene il pericolo o la minaccia?

Col legno si costruiscono confini e croci
Le ferite rimaste aperte dopo le guerre, sia quelle vissute in prima persona che quelle raccontateci da genitori o nonni, si riaprono alle parole del falegname, che teme sempre di dover costruire delle croci anche se gli commissionano solo tavoli o credenze. Ha visto con i propri occhi cittadine bilingui trasformate in campi di croci, dice, e ci fa passare un brivido lungo la schiena. Con le fissazioni non si può difendere la Patria. È necessario, piuttosto, continuare a delimitare la zona, ribadisce il militare. Però non si capisce bene quale sia la zona da delimitare perché i confini erano stati tolti.
Pareva l’avvento di un nuovo futuro di fratellanza e unione, ma lo scenario descritto dalla Dubac ci fa temere una rinascita delle ostilità.

Inversione dei ruoli
Il dialogo dei due protagonisti inizia a dare i suoi frutti quando il militare dimentica per un momento gli ordini da seguire e si accorge della bellezza della natura e del canto degli uccellini. Il falegname, invece, inizia a temere per la propria incolumità e viene contagiato dalla paura. Non volendo rivelare nel dettaglio il finale de “Il vangelo del nemico”, possiamo soltanto dire che il nemico alla fine viene identificato e sono i protagonisti stessi, entrambi nemici dell’altro e di sé stessi. L’ultima parola pronunciata è “ascoltare”, quasi un messaggio lanciato al pubblico ad aprirsi al prossimo e non permettere alla retorica xenofoba di plasmarci.

Una lotta interna infinita
Alla prima è stata presente pure Roberta Dubac, la quale ha commentato brevemente la messa in scena del suo racconto, successivamente trasformato in testo teatrale. “È un ambiente crudo – ha esordito – e mi è piaciuto moltissimo perché ho rivisto il rapporto tra i due personaggi così come è nato nel mio racconto. Mi piace molto l’atmosfera post-atomica della scena di qualcosa che è già successo innumerevoli volte, potrebbe essere successo ieri o anche alla fine della Seconda guerra mondiale, ma potrebbe anche accadere tra cento o mille anni se permettiamo che la storia si ripeta. Penso che lo spettacolo sia riuscito a trasmettere il vuoto delle domande: ‘ma perché siamo ancora qua a farci la guerra? Perché non possiamo capire?’ La provocazione più grande è di non guardare il nostro Pianeta come un insieme di gruppi ma come un grande mondo di individui in cui nessuno è nemico del prossimo. Il mio testo pone delle domande e non vuole dare delle risposte perché le risposte non ci sono. Le ritroviamo soltanto nella sensazione di benessere che proviamo in natura, a contatto con la natura. Nel testo originale non faccio nomi e visto che l’idea parte dal teatro dell’assurdo, ovvero dallo stato mentale dell’uomo, il fatto che i due personaggi siano degli uomini è stato puramente intuitivo a livello di scrittura. Mi ha fatto piacere, però, vedere la parte più sensibile rappresentata da Elena Brumini, la quale ha dato un tocco di femminilità, che certamente tutti possediamo. Sono un po’ come i due emisferi del nostro cervello i quali dialogano non in uno spazio geografico ma mentale”, ha concluso Dubac.
Un’ultima critica è rivolta ancora una volta ai sottotitoli che, probabilmente, seguivano almeno in parte il testo originale e quindi non sempre corrispondevano al genere di chi parla, per la precisione di Elena Brumini. Anche se forse può sembrare una svista di poco conto, il pubblico croato si è trovato in difficoltà e ha trovato certe parti dello spettacolo un po’ confusionarie.
Nella speranza che in futuro il duro lavoro della nostra compagnia non venga vanificato per qualche errore di battitura, aspettiamo con impazienza il prossimo appuntamento a teatro.

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