Il vangelo del nemico. Lo sconosciuto siamo noi visti con gli occhi dell’altro

La prima dello spettacolo questa sera, venerdì 2 ottobre, alle ore 19.30 in Filodrammatica. Ce ne parla il regista, Giulio Settimo

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Il vangelo del nemico. Lo sconosciuto siamo noi visti con gli occhi dell’altro

A cinque mesi dalla data in cui era prevista la prima de “Il vangelo del nemico” di Roberta Dubac, oggi, venerdì 2 ottobre, alle ore 19.30, nel salone della Filodrammatica, il Dramma Italiano presenterà finalmente al pubblico lo spettacolo. Visto che si tratta di un appuntamento inserito nel programma “Dramma Italiano OFF”, invece del TNC “Ivan de Zajc” la compagnia ha preferito l’intimità di un ambiente come la Filodrammatica. Alla prova generale, nelle ore serali di ieri, abbiamo incontrato il regista, Giulio Settimo, il quale ci ha detto qualcosa in più sul tema dello spettacolo, destando ulteriormente la nostra curiosità.

I confini ricompaiono più forti che mai
“In generale ‘Il vangelo del nemico’ è una riflessione sul concetto di confine, non solo fisicamente, ma anche sull’idea di creare confini – ha spiegato Settimo –. Lo reputo un ottimo lavoro a livello di scrittura, soprattutto per la tematica oggigiorno controversa dei confini e dello spostamento di persone e idee. Pensiamo al 2012 e alla cancellazione dei confini nel nostro continente, in modo da creare uno spazio e un mercato unici. A meno di un decennio di distanza i confini sono ricomparsi, si stanno ricreando negli stessi punti di prima, accompagnati da un pensiero estremista e separatista. Roberta Dubac ci offre la sua riflessione e lo fa in un modo che non crea polemiche e non critica, in modo che nessuno si senta chiamato in causa, ma che tutti siano spinti a un esame interiore. Il suo ragionamento è molto infantile a momenti, ma forse per questo motivo ha un’innocenza che spiazza”.
Settimo ci ha spiegato che in sostanza si tratta di due personaggi, un civile e un militare, che si incontrano e si scontrano. La missione da compiere è la costruzione di un confine, un muro come lo sogna l’America di Trump, ma come nel caso degli Stati Uniti, anche qui la realizzazione non è possibile senza una disputa.

Il regista, Giulio Settimo, con Mirko Soldano

Il concetto di paura
“La bellezza di questo spettacolo – continua Giulio Settimo – è che la colpa della nostra paura viene sempre data allo sconosciuto, a quello che sta al di là di ciò che ci è noto. Già prima di sapere chi sia, prima di conoscerlo, lo abbiamo inserito nella categoria del nemico. La riflessione avviene in uno spazio scenico che rappresenta la conseguenza del confine, che è la guerra, la negazione del nemico, del confronto, la chiusura al dialogo. L’ostilità si prova a priori, senza sapere bene nei confronti di chi o di che cosa”.

Elena Brumini e Mirko Soldano

Il testo di Roberta Dubac è nato nel periodo più intenso delle migrazioni dal vicino Oriente, spostamenti che avvengono tuttora ma di cui non si parla più. Visto che il testo non va nel dettaglio della problematica, ha spiegato Settimo, può venire applicato anche al contesto della pandemia, che ha riportato in auge il tema dei confini e della chiusura degli stessi.
“Il dubbio cartesiano iperbolico è legato alla definizione dell’essere – ha continuato Settimo – e secondo me uno dei traguardi più alti di Roberta Dubac è quello di essere riuscita a definire il concetto di paura. Il distillato di paura della Dubac non è, in realtà, una paura del nemico: si tratta piuttosto di una paura di noi stessi, della paura di vederci e riconoscerci negli occhi dell’altro. Il primo nemico dell’uomo è l’uomo stesso; il mondo cambierebbe sicuramente se ascoltassimo un po’ di più”.
In conclusione Settimo ha spiegato che “Il vangelo del nemico” è uno spettacolo molto emotivo e che per lui è stato un grande piacere poterci lavorare. È la prima volta che ha fatto una regia di questo tipo nel Dramma Italiano e si è dichiarato entusiasta della collaborazione con i due attori principali, Mirko Soldano ed Elena Brumini, i quali non hanno avuto un lavoro facile. Il testo, infatti, è moderno e quindi per un attore è molto complesso da interpretare. Tutto sommato, però, assicura che il risultato è eccellente e il pubblico non lascerà la sala senza aver provato delle grandi emozioni, senza aver maturato pensieri profondi e senza essersi posto delle domande.

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