«Il teatro è il posto di lavoro più bello che ci sia»

Il giovane fiumano Deni Sanković nel 2021 è entrato a far parte dell’ensemble del Dramma Croato dello «Zajc». Durante il suo percorso attoriale ha realizzato numerosi ruoli di successo nell’ambito della scena indipendente

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«Il teatro è il posto di lavoro più bello che ci sia»
Deni Sanković. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Negli ultimi anni, la scena teatrale del capoluogo quarnerino si è arricchita di una serie di interessanti artisti emergenti. Tra questi troviamo il giovane fiumano Deni Sanković, che dalla fine dell’anno scorso fa parte dell’ensemble del Dramma Croato del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc”. Nato nel 1995, Deni ha conseguito la laurea presso l’Accademia di Arti applicate di Fiume nel 2018, realizzando successivamente numerosi ruoli di successo nell’ambito della scena indipendente. Il pubblico dello “Zajc” ha avuto l’occasione di vederlo esibirsi nelle parti dell’ispettore Radović in “Quando il mondo si è fermato” (Kad je stao svijet), diretto da Vito Taufer e di Antonio ne “La dodicesima notte” di Shakespeare, per la regia di Franka Perković. Nelle prossime settimane, invece, Deni tornerà a interpretare il ruolo di Jean ne “Il rinoceronte” di Eugène Ionesco (regia di Lenka Udovički) – in programma al Teatro Ulysses da mercoledì 3 a sabato 6 agosto – e di Jero in “Maškarate ispod kuplja” di Ivo Vojnović, diretto da Paolo Tišljarić – in scena venerdì 26 agosto nell’ambito del Festival del teatro mediterraneo “Purgatorije” di Tivat, in Montenegro. Nel corso di un’intervista, il giovane attore ci ha raccontato le più importanti tappe del suo percorso attoriale.

Un approccio stratificato
Partiamo dal ruolo più recente che hai interpretato sul palcoscenico dello “Zajc”. In che modo hai costruito il personaggio di Antonio de “La dodicesima notte”?
“Sono partito dal corpo, non dalla psicologia del personaggio. L’aspetto che ho trovato più interessante, per quanto riguarda il lavoro sul personaggio, è il suo mestiere. Antonio è un marinaio, è il capitano della nave che salva Sebastian. L’ho immaginato come un uomo fisicamente preparato a un lavoro pesante. In scena ho cercato di esprimere questa sua caratteristica per mezzo del corpo, senza però ricadere nel banale. Volevo mostrare un uomo molto preciso e abile nei movimenti, per niente imbranato, che salta e si muove velocemente e con destrezza. Questa è stata, in breve, l’idea di partenza. Un’altra linea guida nella preparazione del ruolo è stato l’amore di Antonio per Sebastian, un sentimento che lo porta a rischiare addirittura la propria vita, senza badare all’opinione degli altri. Poi mi sono fatto aiutare anche dal costume. Mi piace molto il momento in cui finalmente ti viene fornito l’abito che andrai a indossare in scena. A volte ho l’impressione che i due terzi del personaggio vengono creati dal solo costume”.

Hai avuto problemi con la recitazione in versi?
“Devo ammettere di aver avuto un po’ di timore all’inizio, non avendo recitato in versi per diverso tempo prima di quel ruolo. Franka, però, ha messo fin da subito l’accento sul testo e sul pensiero di Shakespeare. Fin dalle prime prove è stata stabilita l’impostazione dello spettacolo. Credo che la chiave risieda nel comprendere ciò che si pronuncia, anche se è più facile dirlo che farlo. A volte, lavorando sul testo in versi, arrivi a scoperte interessanti, comprendi delle cose che prima non consideravi. Sono stato un po’ titubante in un primo momento, ma poi è andato tutto molto bene”.

Qual è stata invece la particolarità del lavoro sulla parte dell’ispettore Radović nello spettacolo “Quando il mondo si è fermato” (Kad je stao svijet)?
“Il lavoro più grande ha riguardato il dialetto e l’abilità di tirar fuori un accento bosniaco, nonché il rapporto con la ministra, interpretata da Olivera Baljak. Radović, di fronte agli altri personaggi, ha l’aria di uno che tiene sempre la situazione sotto controllo, mentre quando arriva nel suo ufficio è totalmente impaurito. Ho trovato assai interessante questo passaggio. E poi è stato bellissimo lavorare con Olivera, è stata la realizzazione di un sogno. Lei è una delle nostre migliori attrici e mi piacerebbe poter collaborare ancora. Ci siamo divertiti tantissimo creando i nostri personaggi”.

L’incertezza del libero professionista
Prima di entrare a far parte dell’ensemble dello “Zajc”, hai lavorato su diversi progetti sulla scena indipendente…
“Da artista indipendente e libero professionista, vivi in uno stato di costante incertezza, non sai con chi andrai a lavorare, dove andrai a vivere… Il che può essere anche molto interessante ed eccitante, poiché conosci tante persone nuove e tante culture diverse, ti permette di viaggiare… Ho avuto l’occasione di assistere a spettacoli diversi in Croazia e all’estero e soprattutto a lavorarci. È un’esperienza che sicuramente mi ha aperto molto, sono diventato più sicuro di me, ho trovato una mia affinità attoriale. Vedendo tante forme diverse di recitare e di fare teatro, sono riuscito a trovare il mio modo di esprimermi, una mia presenza scenica. Tutti noi ci portiamo dietro un nostro personale bagaglio di esperienze che ci arricchisce e influenza il nostro modo di essere. Sicuramente scoprirò anche in futuro quanto quelle esperienze mi abbiano veramente formato. Nutro un grande rispetto nei confronti degli artisti indipendenti e di chiunque abbia il coraggio di seguire la propria strada. In ogni caso, sono grato di essere tornato a Fiume dopo tre anni di intensi progetti sulla scena indipendente, di essere passato a una forma di sicurezza, che perciò apprezzo moltissimo”.

Fondamentale il rapporto con il regista
Secondo te, qual è l’aspetto più importante del lavoro con un regista?
“Credo che il punto centrale riguardi la fiducia. Tengo sempre presente il fatto che abbiamo una cosa fondamentale in comune, ovvero il desiderio di raccontare quella storia particolare, di trasmettere quel determinato messaggio. Da ciò nasce un senso di confidenza che ti porta poi ad approfondire la relazione con il regista. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone stupende e ho avuto delle bellissime esperienze. Ci sono stati poi dei registi con i quali si è creato un rapporto speciale, come ad esempio Vinko Radovčić, con cui ho realizzato due spettacoli. Il mio primo progetto professionale dopo la laurea all’Accademia è stata proprio una sua messinscena, ‘Snajper’, basata su una drammaturgia di Damir Karakaš. Credo sia fondamentale una bidirezionalità del rapporto tra l’interprete e il regista, in cui ci stanno un insegnamento e un’ispirazione reciproci, che spingono l’attore fuori dalla sua zona comfort. Un rapporto di questo tipo l’ho avuto anche con Olja Lozica, Edvin Liverić, Paolo Tišljarić, Franka Perković e, fortunatamente, tantissime altre persone stupende. Il teatro è il posto di lavoro più bello che ci sia. A volte devo darmi un pizzicotto per rendermi conto che non sto sognando, è successo tutto così di fretta…”

Una crescita continua
Come ti approcci al rapporto con il pubblico?
“È assai interessante la posizione dell’attore da questo punto di vista, poiché sei ‘nella parte’ e stai attento a ciò che accade in scena, ma al contempo senti e percepisci ciò che arriva dalla platea. È come una doppia coscienza, in cui ti identifichi con il personaggio, ma viene a crearsi una sorta di parte periferica di te, rivolta direttamente agli spettatori, particolarmente evidente in quei momenti in cui devi ritardare di poco una battuta per dar spazio alle risate del pubblico… Ci vuole una grande concentrazione. Lo trovo bellissimo. È un’esperienza sempre diversa e del tutto irripetibile. Credo di aver realizzato la vera importanza del rapporto con il pubblico lavorando su spettacoli cabarettistici. Nell’ambito degli studi all’Accademia avevamo realizzato ‘Bert Cabaret’, uno spettacolo basato su poesie di Bertolt Brecht, che abbiamo portato in scena in diversi spazi a Fiume e in altre città. Mi ha dato una realizzazione diversa della relazione con lo spettatore, in quanto condividevamo la platea con il pubblico, addirittura toccando fisicamente le persone. Anche in spettacoli con una solida quarta parete, rimane sempre quest’attenzione nei confronti delle reazioni della platea. È il pubblico il motore e il destinatario ultimo dello spettacolo. Lo spettatore non deve essere trattato come un ricevitore passivo di un messaggio, bensì deve essere stimolato a ragionare in maniera critica. Nella recitazione di un attore, perciò, certe volte alcuni aspetti vanno celati, non c’è bisogno di palesarli fin da subito”.

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