Il suggestivo «Esilio di luce» negli scatti di Laura Fonovich

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Il suggestivo «Esilio di luce» negli scatti di Laura Fonovich

FIUME | S’intitola “Esilio della luce” Pitture di Luce, la suggestiva e intrigante mostra fotografica di Laura Fonovich, che è stata inaugurata nella sinagoga di Fiume in occasione della Seconda edizione delle “Giornate della cultura ebraica” manifestazione con la quale la Comunità ebraica celebra pure i cinquecento anni della presenza a Fiume.

L’esposizione è allestita nel balcone del tempio riservato alle donne ed è il frutto della collaborazione con l’Associazione Amici di Israele di Gorizia. La mostra, in visione fino al 14 settembre, è di carattere itinerante e dopo aver fatto tappa a Gorizia, prossimamente sarà allestita nella sinagoga di Casale di Monferrato.
Si tratta di un’esposizione molto particolare ed è il risultato della sensibilità, immaginazione e vissuto personale dell’artista milanese, di origine croata, unitamente al fatto culturale e a un lungo percorso di indagine che l’artista ha intrapreso negli ultimi dieci anni verso lo studio delle religioni. Abbiamo definito “particolare” tale esposizione in quanto è stata realizzata con una tecnica personale, unica, creata sull’interazione di media classici, tecnologici e digitali messi al servizio della pittura con la luce.
I suoi lavori si presentano attraenti, coinvolgenti e allo stesso tempo di non facile comprensione, sia come contenuti che realizzazione tecnica.

Vuole spiegarci queste sue “pitture di luce”?

“Esilio della luce è un piccolo esperimento di opera totale, in cui scrittura, architettura, disegno e scultura si fondono in un unico scatto fotografico. Il lavoro che parte da un principio cardine della dottrina ebraica si traduce poi in un disegno su cui viene proiettata una composizione di luci, che insieme a piccole sculture di cristallo vengono disposte secondo una determinata logica in uno scenario architettonico. La luce passando attraverso una fessura e in seguito a una serie di oggetti crea delle ombre le cui forme fondendosi con il disegno iniziale si realizzano nella fotografia. Successivamente catturo la luce attraverso una lente e la muovo riproiettandola sul foglio, come se fosse una pennellata. Ogni scatto cattura un istante in movimento”.

Lei con queste opere esprime dei concetti profondi, anzi basilari che traggono ispirazione dalla Kabbalà. Ci può illustrare in maniera più particolare i contenuti, i significati di questi suoi lavori?

“Se la dottrina principale che ha ispirato tutto il progetto è stata influenzata dal concetto di ritrazione della luce di Isaac Luria, l’ordine delle opere e la loro rappresentazione deriva dal Libro della Creazione il Sefer Yetzirah, in cui il mondo si genera partendo dallo Spirito che a sua volta crea i tre elementi Aria, Acqua e Fuoco corrispondenti alle tre lettere dell’alfabeto ebraico Aleph, Mem e Sin. La Terra come sottoprodotto dell’acqua è quindi collocata come ultima nella sequenza.
Il mio intento attraverso quest’opera pittorica, benché realizzata con una tecnica fotografica, è sia di rappresentare questa volontà di Dio di ritirarsi in sé stesso per creare l’oscurità e le immagini archetipiche che in essa sono presenti, sia di cercare di cogliere in senso più profondo quello che il popolo ebraico ha dovuto soffrire nella sua secolare condizione di esilio, occultando quella luce che tutt’ora si mantiene in parte velata. Allo stesso tempo è anche una pagina della mia storia personale”.

Che cosa l’ha spinta ad avvicinarsi alla cultura ebraica?

“Come nipote di profughi di guerra, la condizione di sradicamento mi ha sempre tenuta lontano da un vero senso di appartenenza, spesso accompagnato da quella strana sensazione di malinconica, di mancanza dovuta a quella parte delle mie origini non più rintracciabile. Ed è forse proprio questa remota condizione che mi ha naturalmente avvicinato e fatto appassionare alla storia della mistica ebraica e del suo grande popolo”.

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