
Riprende il ciclo di conferenze su temi di storia e cultura umaghese “Corte de le ore” presso la CI “Fulvio Tomizza” di Umago con enorme interesse e folta partecipazione dei membri del sodalizio. L’onore di aprire il nuovo ciclo di appuntamenti è spettato al professor Rino Cigui con uno dei suoi temi preferiti e precisamente le malattie infettive nel passato. In questa occasione ha trattato gli ospizi marini e la cura della tubercolosi in Istria nel XIX secolo. Con la risaputa competenza e in modo avvincente il relatore ha spiegato le peculiarità di questa malattia che, fino alla scoperta del vaccino nel 1921 a Parigi, causava un numero elevato di morti soprattutto fra i bambini piccoli.
La tubercolosi è una malattia antichissima, ci sono tracce trovate nel neolitico, anche su resti di ossa di animali. Il primo a descriverla nell’Antica Grecia fu Ippocrate (V-VI sec. a.C.) fondatore della medicina. Nel XIX e agli inizi del XX secolo la tubercolosi, una malattia infettiva e contagiosa causata da un batterio, il Mycobacterium tuberculosis, comunemente chiamato, dal nome del medico tedesco che lo scoprì, “Bacillo di Koch”, divenne la maggiore fonte di preoccupazione a livello sanitario, poiché considerata all’epoca una patologia endemica del ceto meno abbiente. Conosciuta nel corso della storia anche con i nomi di “peste bianca”, “mal sottile”, “tisi” e “male del re”, trovò nella Rivoluzione industriale e nella massiccia urbanizzazione che ne derivò nuovo vigore, dal momento che i degradati quartieri delle città dell’Europa nord-occidentale e del Nord America fornirono le condizioni ideali per lo sviluppo della malattia, che vanno ricondotte al fenomeno del sovraffollamento urbano, alla scarsa ventilazione degli ambienti, all’igiene precaria e alla diminuzione della resistenza fisica causata dalla povertà, dalla malnutrizione e da altre infezioni.
Il problema sanitario in Istria
Essendo una malattia altamente contagiosa la tubercolosi non risparmiò neppure la penisola istriana, divenendo ben presto, assieme alla malaria, il principale problema sanitario con il quale dovettero misurarsi sia il governo austriaco sia quello italiano al termine del primo conflitto mondiale. Essa non rappresentò un ostacolo circoscritto esclusivamente alla salute pubblica, ma gravò pesantemente anche sulla vita sociale ed economica della regione attirando su di sé l’attenzione delle autorità governative e sanitarie. L’incidenza del morbo sulla popolazione regionale fu assai elevata, basti pensare che nel lasso di tempo compreso tra il 1907 e il 1920 il numero di decessi registrato fu di 11mila e infierì particolarmente nei distretti di Pola, Capodistria, Parenzo e Volosca mentre fu decisamente inferiore in quelli di Pisino, Lussino e Veglia, dove le morti accertate superarono di poco le 2mila unità; a risentire in misura minore la malattia fu la Città di Rovigno, che fortunatamente registrò un numero di decessi di poco superiore alle trecento unità. I medici istriani furono ben consci del pericolo rappresentato dal contagio, in particolare il dottor Mauro Gioseffi, personaggio di spicco della classe medica istriana, destinato a ricoprire, dal 1926, il ruolo di direttore tecnico del neocostituito Consorzio antitubercolare provinciale per l’Istria. A detta del medico conveniva condurre la lotta contro la tubercolosi simultaneamente su tutti i fronti, con le armi a disposizione, per cui per essere efficace il programma antitubercolare doveva comprendere “l’isolamento negli ospedali di quanti malati mai possibile, la profilassi dei sani, l’alimentazione razionale, la casa chiara e salubre, l’educazione antitubercolare ed igienica in genere dei sani, come l’istruzione degli educatori, dei medici e delle vigilatrici ed infine tutte le opere di risanamento generale, dell’ambiente interno ed esterno del nostro abitato. Le istituzioni di punta nella lotta alla tubercolosi rimanevano, tuttavia, i dispensari, gli ospedali e gli ospizi marini”.
A Salvore diversi istituti
Un Ospizio marino per la cura di bambini austriaci fu fondato nel 1908 anche a Salvore dal Grazer Anna Kinder Spital, sul fondo acquistato dal signor Giovanni Codiglia da Bassania, che ne divenne anche il proprietario quando all’inizio della Grande guerra l’ospedale lo mise in vendita. Nell’immediato dopoguerra l’edificio e il fondo annesso furono acquistati dalla “Federazione Provinciale di Graz degli invalidi di guerra” che, nel 1929, dato lo sviluppo preso dall’istituzione, lo ampliò costruendo un nuovo padiglione. Tuttavia, per sopraggiunti problemi finanziari, nel 1933 la Città di Graz acquistò l’Ospizio dall’Associazione austriaca e a dirigere la struttura fu chiamato Bruno Bankhofer. Era in funzione soltanto da maggio a ottobre e ospitava annualmente tra i cinquecento e i seicento bambini. Al 1909, infine, risale l’inaugurazione dell’ospizio marino di Valdoltra, uno dei più moderni istituti di cura dell’epoca, un complesso che, come ebbe modo di sottolineare il suo primo direttore e primario chirurgo, il dott. Emilio Comisso, era composto da “ampie infermerie per i malati più gravi, vaste terrazze per la cura dell’aria e del sole, sale operatorie moderne atte a tutti gli interventi suggeriti dalla moderna chirurgia ortopedica e servizi generali provvisti degli impianti più perfetti”. Rimasto in funzione fino alla Prima guerra mondiale, durante il conflitto negli spazi dello stabilimento si insediò l’esercito austriaco, che prima del ritiro spogliò gli edifici di tutte le attrezzature di valore. Al termine del conflitto, con il passaggio della Venezia Giulia al Regno d’Italia fu avviata rapidamente la ricostruzione del complesso, che nel 1920 venne acquisito dalla Croce Rossa Italiana e che nel corso degli anni Venti si trasformò da istituto per la terapia della tubercolosi infantile in un ospedale chirurgico-ortopedico completo, dotato di presidi tecnici e chirurgici all’avanguardia, che ne fecero non solo un modello tra gli stabilimenti italiani di cura, ma uno dei più perfetti tra quelli esistenti in Europa.
A conclusione dell’interessante conferenza il professor Cigui ha voluto ribadire il fatto che la storia dell’umanità sia sempre stata una lotta contro microbi e batteri e ha fatto riflettere tutti i presenti con la frase di Edvard Munch: “Senza la paura e la malattia la vita sarebbe una barca senza remi”.
La presidente della CI “Fulvio Tomizza” di Umago, Floriana Bassanese Radin, promotrice e sostenitrice del progetto riguardante le conferenze storiche, ha ringraziato il relatore e tutti i presenti ricordando i numerosi appuntamenti e le attività del sodalizio umaghese che si terranno nel mese di marzo.

Foto: CI di Umago
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