Il «Mistero buffo» di Dario Fo incontra la performance clownistica

A colloquio con Dražen Šivak e Lee Delong, ideatori della pièce che debutterà oggi al Municipio della Città di Veglia

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Il «Mistero buffo» di Dario Fo incontra la performance clownistica
Dražen Šivak. Foto: DARIO HACEK

Oggi, alle ore 21, andrà in scena presso la sede del Municipio della Città di Veglia, il “Mistero buffo” diretto da Lee Delong, regista e attrice francese-americana attiva nel campo della performance clownistica. A interpretare la famosa pièce di Dario Fo sarà l’attore Dražen Šivak, a capo della compagnia teatrale Kazalište “Grupa” di Zagabria. L’evento fa parte del programma delle Giornate della Città di Veglia. Abbiamo interpellato i due creatori della messinscena, i quali ci hanno rivelato l’intricato processo che ha portato allo spettacolo, come anche le varie reazioni del pubblico.

Dražen Šivak
Come è nata l’idea di portare in scena proprio il “Mistero buffo” di Dario Fo?
“È ormai da anni che collaboro con Lee Delong ed è stata lei a propormi di interpretare la parte, ritenendola adatta al mio stile performativo. È successo in un periodo in cui io stesso ero alla ricerca di un monologo da rappresentare, per cui è stata una sorta di coincidenza fortunata. Lo spettacolo è, in un certo senso, anche il risultato della nostra lunga collaborazione”.

È il terzo progetto che portate in scena insieme…
“Sì, abbiamo ormai un rapporto consolidato. Lee è una regista straordinaria ed è indubbiamente la regista che mi ha compreso meglio dal punto di vista attoriale, per cui si tratta di una collaborazione assai intensa. La messinscena di ‘Mistero buffo’ è stata sicuramente uno dei lavori più impegnativi della mia carriera, ma non mi aspettavo niente di meno ed è ciò che amo fare di più”.

Come si è preparato per il ruolo?
“La parte principale del lavoro sullo spettacolo ha riguardato la recitazione clownistica, al cui studio mi sono dedicato presso il Nouveau Clown Institute di Barcellona e che poi ho approfondito insieme a Lee. Il secondo aspetto chiave della preparazione per il ruolo era legato invece alla ricerca e l’analisi del materiale drammaturgico. La pièce di Dario Fo è composta da una serie di monologhi di attori medievali, che si esibivano nell’ambito di banchetti e pertanto non avevano il ‘lusso’ di essere tediosi e poco interessanti per i convitati. Attori che quindi si impegnavano al massimo, sfruttando le loro doti performative in maniera virtuosistica. Ed è ciò su cui mi sono concentrato nel mio lavoro sullo spettacolo. Una delle sfide più grandi che riguardano i monologhi è proprio la capacità di tirar fuori il meglio della propria espressività. Va detto poi che quello di Dario Fo è un tipo di teatro che non può permettersi di non stabilire un contatto con il pubblico, come capita invece per tanti altri generi di spettacoli. Il ‘Mistero buffo’ semplicemente non funziona se non riesce a creare un legame con lo spettatore. Il mio compito, in un certo senso, è perciò quello di ‘sedurre’ il pubblico, di provocarlo, di stuzzicarlo, sempre calibrando e osservando attentamente le reazioni degli spettatori”.

Nel lavoro sullo spettacolo, ha tratto ispirazione anche dallo stile di recitazione di Dario Fo?
“A dir il vero, no. Innanzitutto perché, nel caso di Dario Fo, viene dato molto rilievo ai vari accenti e parlate dell’Italia, mentre la mia esibizione utilizza il croato standard e si focalizza sulla recitazione corporea. È vero, però, che considero Fo una fonte d’ispirazione dal punto di vista del suo fascino e della facilità con cui ‘seduceva’ gli spettatori. È davvero impressionante l’abilità con cui riusciva a creare un legame con il pubblico, in una maniera così gentile e umana”.

Avete realizzato finora più di 70 repliche dello spettacolo, portandolo anche in tournée internazionali. Quali sono state le reazioni del pubblico?
“Bisogna sottolineare che si tratta di uno spettacolo che produce impatti diversi a seconda del tipo di pubblico che vi assiste. Per quanto riguarda le reazioni dei professionisti del settore, ciò che posso dire è che molti colleghi tornano a vederlo più volte perché si tratta di un tipo di produzione che raramente va in scena. Inoltre, di recente sono stato invitato dall’Accademia di Arti drammatiche di Zagabria per presentare il lavoro agli studenti del Corso di recitazione. Quando invece mi esibisco in metropoli e grandi centri abitati, l’effetto sul pubblico è diverso perché parte dalla comicità del pezzo. Va notato che, vista la centralità dell’aspetto verbale dello spettacolo, il legame con gli spettatori è più forte in assenza di una barriera linguistica. Abbiamo infatti avuto un grande successo presentando lo spettacolo in Serbia e in Bosnia ed Erzegovina, ad esempio”.

Lee Delong
È stata lei a proporre a Dražen Šivak di interpretare il “Mistero buffo” di Dario Fo. Come mai ha pensato che si trattasse di un ruolo adatto a lui?
“Da quando avevo iniziato la collaborazione con Dražen, sapevo che quello sarebbe stato il pezzo giusto per lui. Nutro un grande interesse per l’arte degli Zanni medievali, gli antichi precursori dei clown. Il ‘Mistero buffo’ si ispira proprio a questi cantastorie vaganti. È un’opera che richiede un attore eccellente, in ottima forma fisica, dotato di una voce ricca e con una grande estensione. Richiesti anche: immaginazione, ironia e un grande senso di irreverenza. Dražen ha tutte queste caratteristiche e di più”.

Come si è sviluppato il suo lavoro da regista in questo caso?
“Ho iniziato come faccio sempre nei casi di drammaturgie di altri autori. Innanzitutto, l’attore deve conoscere il testo a memoria, alla perfezione. Soltanto allora gli viene permesso di provare a recitarlo. Poi spoglio ulteriormente l’’interpretazione’ per portare alla luce solo l’essenza delle parole – la musica che creano – di modo che l’attore non faccia altro che pronunciare il testo, offrendolo come un oggetto e rendendolo, in tal modo, più importante di sé stesso. Si tratta di un esercizio assai difficile per l’attore e richiede umiltà e disciplina. In seguito, aggiungo i movimenti archetipici, quelli assolutamente indispensabili, che esprimono più di un singolo pensiero o sentimento. Sono gesti che comunicano con il pubblico a un livello molto profondo. Pertanto, se da un lato devono esprimere qualcosa che prescinde dall’attore, dall’altro devono scaturire dal suo stesso profondo. Pensare all’attore come a un fiume, che scorre e scorre con forza e vigore, è un’idea allettante, ma se si costruisce una brana sul fiume si può illuminare Parigi”.

Una delle caratteristiche del “Mistero buffo” di Fo è lo straordinario utilizzo della parlata dialettale, mentre la lingua della sua messinscena è il croato standard. In quale modo è riuscita a creare uno spettacolo che, nonostante questa notevole differenza, riesce comunque a stabilire un legame con il pubblico?
“Dario Fo e Franca Rame sono degli autori straordinari. Ti stimolano a fare propri i loro lavori. Non considero questa pièce uno studio del dialetto, ma piuttosto una contemplazione sulla natura umana per mezzo della vitalità del teatro medievale. E poi, chi potrebbe portare in scena il dialetto e il grammelot meglio dello stesso Fo? Uno dei motivi per cui ho voluto realizzare questa messinscena insieme a Dražen è proprio perché sapevo che Dražen è in grado di fare col proprio corpo ciò che Fo faceva con il dialetto: creare un enorme numero di personaggi in un batter d’occhio, rendendoli vivi e memorabili, sovversivi e divertenti, facendo in modo, al contempo, che attraverso la risata emergano le percezioni più intrinseche. Ciò che è interessante dei tre episodi del ‘Mistero buffo’ che noi portiamo in scena è l’astuta analisi del comportamento umano che prende di mira la società in maniera così esilarante e accattivante”.

Il “Mistero buffo” non è l’unica pièce di Dario Fo a cui ha lavorato – ha anche recitato in “Una donna sola” di Fo e Rame, nella regia di Bob Meyer, ottenendo numerosi premi. Qual è l’aspetto che apprezza di più delle opere di Fo e, secondo lei, cos’è che lo rende uno dei più grandi interpreti italiani del Novecento (e primi anni Duemila)?
“Le opere di Dario Fo e Franca Rame – trovo impossibile pensarli separatamente – mi colpiscono in maniera assai profonda. Dall’analisi critica e dallo studio di Franca Rame della Commedia dell’arte, al talento comico di Fo, alla sua satira politica, al suo utilizzo del costume… sono questi e altri gli elementi che rientrano nella tradizione clownistica a cui ho deciso di dedicare la mia vita. La ricerca di ciò che è umano, autentico, ingenuo, seppur perspicace, è la mia passione. Trovare ciò che è universalmente comprensibile, ciò che si rivolge direttamente all’umanità, che ci fa ridere e piangere, e farne un’opera più grande – quello è il mio obiettivo costante. Dario Fo e Franca Rame ci riuscirono”.

Lee Delong.
Foto: SAŠKA A. MUTIĆ

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