Il Salone delle Feste di Palazzo Modello ha ospitato l’altra sera il Quintetto per pianoforte e archi di Fiume costituito da Juraj-Marko Žerovnik al pianoforte, Anton Kyrylov e Matej Žerovnik al violino, Ecem Eren alla viola e Giovanni Genovese al violoncello, per un elegante impaginato che ha proposto brani di César Franck e Antonin Dvořák.
Nella prima parte del concerto i giovani musicisti hanno dato prova della loro bravura suonando il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi del compositore e organista belga-francese Franck, composto tra il 1878 e il 1879 e considerato uno delle sue opere più significative. Il brano ha offerto al pubblico in sala un decorso aperto e ciclico, spingendosi oltre gli schemi della sonata classica e la sua architettura ordinata e compiuta, la contrapposizione dei temi, il loro sviluppo e la loro ripresa. Le mirabili interpretazioni dei talentuosi artisti relative ai tre movimenti in cui lo stesso si articola hanno poggiato su un equilibrio discorsivo e su un’accurata divisione delle parti, in perfetta sinergia. In essi è apparsa evidente la summenzionata tendenza alla ciclicità discontinua e irregolare, nonché sono comparse in filigrana le precedenti esperienze poetiche di Schumann e Liszt, ma arricchite in Franck da rifrazioni motiviche e timbriche che dichiarano la sua appartenenza al mondo sonoro francese. Un discorso che ha proceduto per brevi cellule, assaporate prima nella loro semplicità, poi progressivamente dilatate, ingrandite, arricchite d’ornamenti, annegate in un’armonia densa e cangiante, il tutto calato in un’alternanza di movimenti che comunque ha richiamato all’apparenza una struttura tradizionale. Il primo, Molto moderato quasi lento – Allegro, era composto di un lungo preludio nel quale agli archi, contraddistinti da tratteggi calanti, ha fatto eco il tema più lirico del pianoforte, fino a sfociare nell’Allegro finale. Nell’ampio secondo tempo, Lento con molto sentimento, si è riscontrata una certa autonomia degli strumenti, specialmente nella distanza tra il registro grave degli archi e quello acuto del pianoforte. Nel terzo e ultimo movimento, Allegro ma non troppo, con fuoco, di impronta distintamente più ritmica dei precedenti, archi e pianoforte hanno proceduto a blocchi tematici alternati, anche se il ritorno ciclico del tema iniziale, come un leitmotiv, ha dato al Quintetto una struttura particolarmente compatta.
A seguito di una breve pausa, nella seconda parte della serata i convenuti hanno avuto modo di ascoltare il Quintetto in la maggiore per pianoforte e archi, op. 81 del compositore ceco Antonin Dvořák, costituito da quattro movimenti e dalla concezione contrapposta a quella di Franck. Scritto nell’arco di meno di due mesi (tra il 18 agosto e il 3 ottobre del 1887), a differenza dell’ op. 5 (1872) composto nella stessa tonalità, che si inscrive nell’orbita classicheggiante di Mozart, questo se ne allontana in direzione di una più pregnante integrazione tra elementi romantici, soprattutto brahmsiani, e folclorici. Il primo movimento, Allegro ma non tanto, è stato aperto dai musicisti con un tema sognante esposto dal violoncello seguito da un primo corale, nel quale gli archi si sono contrapposti nettamente al pianoforte, per arrivare in breve a una serie di idee tematiche contrastanti, le quali hanno dato vita a un movimentato primo tempo dai repentini cambiamenti d’atmosfera. La stessa inventiva, di grande coinvolgimento emotivo e immediata forza comunicativa, si è riproposta nell’Allegro finale, con un godibile brevissimo fugato, raggiungendo una perfetta simbiosi di vitalità e brio. Nei due tempi centrali, la Dumka (canto popolare slavo di origine ucraina dall’andamento lento ed elegiaco): Andante con moto e lo Scherzo (Furiant): Molto vivace, si è potuto invece vividamente cogliere il carattere popolare, al quale Dvořàk ha dato ampio spazio. Sentiti applausi dal pubblico intervenuto e decisamente valido il bis.
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