Il falò nel solstizio d’estate una tradizione da riscoprire

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Il falò nel solstizio d’estate una tradizione da riscoprire

CASTELVENERE | Uno dei fatti più notevoli degli ultimi anni sotto il profilo culturale e sociale è stata sicuramente la riscoperta delle tradizioni popolari, come patrimonio insostituibile, ricchezza da non perdere, passato che si fa presente. A Castelvenere, Danilo Pistan, assieme alla moglie Leni e agli amici, ha voluto recuperare l’antica tradizione del falò nel periodo del solstizio d’estate. Quindi, a Paldighia, piccola frazione di Castelvenere, al calar del sole, giovedì notte si sono illuminate le tenebre, con un grande falò, bellissimi canti del gruppo vocale maschile “Castrum Veneris” della CI di Castelvenere, del buon vino e “sardele roste” per tutti, pietanza eccezionale in questo periodo dell’anno.

“Il sole si ferma”, è questo il significato della parola solstizio, in quanto la sensazione è quella, appunto, che il sole blocchi la sua attività per un po’, quanto basta per allungare il giorno e quindi, accorciare la notte. Di fatto, il solstizio d’estate è la notte più corta dell’anno ed è quella che lo segna avvolta da riti, tradizioni e superstizioni differenti, in una nuvola di mistero e magia. In passato si attendeva la luce del sole accendendo falò per allontanare gli spiriti cattivi e come augurio di un buon raccolto al termine della stagione estiva, si raccoglievano fiori ed erbe ricchi di rugiada, simbolo di purificazione, a cui venivano riconosciuti effetti salutari e benefici.
Come qualsiasi evento particolare della natura, anche il solstizio d’estate ha attratto sin dall’antichità l’interesse e la curiosità di stregoni, santoni, astronomi e persone comuni. Quest’evento è infatti assai venerato in molte parti del mondo e in quasi tutte le civiltà della storia. Oggigiorno un’occasione da trascorrere in campagna organizzando feste o incontri simbolici.

Un’occasione per stare insieme

“I miei primi ricordi del falò risalgono a quarant’anni fa, quando a Castelvenere, a San Pietro, a Momiano, a Merischie e in tutti i paesini che si vedono dal monte, si accendevano i fuochi. Sono già una decina d’anni che grazie al mio amico Bruno, che ha dato quest’idea, in occasione del solstizio d’estate accendiamo un grande fuoco, oggi un’occasione per fare festa, incontrarsi, stare assieme; ma una volta non era così, si accendevano piccoli fuochi in quanto non c’erano tante cose da bruciare. Tra Castelvenere e San Pietro dell’Amata, paesino sloveno situato di fronte a Castelvenere dall’altra parte del confine, nasceva ogni anno quasi una sfida nel vedere chi accenderà prima il falò. A Castelvenere, per far pensare agli altri abitanti che abbiamo acceso per primi il fuoco e per non bruciare subito le potature secche, gettavamo fieno, in modo da creare tanto fumo – racconta Danilo Pistan, continuando –. Quest’anno ho proposto di dedicare questo falò al mio – al nostro – carissimo amico e compaesano Marino Vocci, scomparso dopo un’improvvisa malattia lo scorso dicembre, che assieme a noi ha ridato vita a questa tradizione. Tanti mi chiedono di dire qualcosa su Marino, ma con un nodo in gola posso solo dire che era un grande uomo, che ha fatto tanto per la sua terra, poche parole ma per chi lo conosceva hanno sicuramente un grande significato”.

Umiltà e umanità di Marino Vocci

Marino Vocci, uomo che con rara umiltà e umanità, attraverso i suoi documentari, scritti, interviste o rubriche, sapeva raccontare le tradizioni e i legami degli uomini, parlare di condivisione, di scambio, di superamento di antichi rancori e pacificazioni, di dialogo, di politica, di storia, di paesaggi mozzafiato, di mare, di arte e di buona cucina. Costruttore di ponti fra i territori delle tre nazioni istriane, che con entusiasmo e grande emozione ha contribuito a riscoprire, a far conoscere un’altra Istria, la sua Istria. Uomo che per anni ha portato tutti in giro a scoprire la cultura del territorio, lasciò il suo paese natio, Caldania, nel 1954, all’età di quattro anni, con l’ultimo grande flusso dell’esodo verso il campo profughi di Opicina. Una partenza quella, che ha portato tanti traguardi nell’ambito politico, sociale e culturale. Fu sindaco del comune di Duino Aurisina. Con Fulvio Tomizza, Claudio Magris e Boris Pahor fondò il “Gruppo 85-Skupina” a favore della convivenza tra le diverse realtà culturali ed etniche di Trieste. Aveva curato con “Marevivo”, in collaborazione con Gruppo ‘85 e il quotidiano “Primorski Dnevnik”, la serie di appuntamenti “Adriatico, una storia scritta sull’acqua”, dedicata a natura, cultura, economia e paesaggio dell’Adriatico. Si era occupato, come curatore, del Museo del Mare di Trieste, fu tra i primi assessori all’Ambiente in Italia e uno dei fondatori del laboratorio di biologia marina di Trieste.
Poi la vita di confine, l’impegno personale e politico in numerosi progetti di incontro e dialogo transfrontaliero, che lo portò pure alla partecipazione nel marzo 1990 al primo incontro della Dieta democratica istriana. Giornalista e scrittore, con una grande vocazione ambientalista e amore per la propria terra, ha collaborato con La Voce del popolo e Panorama, pubblicati dall’Edit, ha condotto dal novembre del 2003 fino al novembre 2017 “La barca dei sapori”, ora “Arca dei sapori”, rubrica di TV Capodistria, all’interno della trasmissione “Istria e dintorni”. In ogni puntata, assieme alla figlia Martina, giornalista, ha portato i telespettatori alla scoperta delle tradizioni e delle innovazioni di questa terra, in cui la multiculturalità e la multietnicità sono diventate delle ricchezze.

Un omaggio simbolico

Quindi, un fuoco grande, visibile da tutti è stato acceso come gesto simbolico proprio dalla moglie di Marino, Liliana, e dalle figlie Eva e Martina, alla presenza della soprintendente dei beni culturali per la Regione istriana, Lorella Limoncin Toth, del presidente del Consiglio cittadino di Buie, Rino Duniš, della presidente della CI di Castelvenere, Tamara Tomasich e di numerosi compaesani, amici, conoscenti o anche solamente di coloro che hanno potuto leggere alcuni suoi versi nei quali, innamorato della bellezza della vita, ha raccontato delle cose grandi o piccole che gli sono accadute accanto, dando risposta alla sua curiosità nei confronti della vita e del genere umano, parlando soprattutto della sua cara Istria, come la chiamava lui “penisola a forma di cuore” e della sua amata terra rossa di Caldania, che lo ha visto nascere.

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