Il Duomo di Fiume un tesoro di valore inestimabile

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Il Duomo di Fiume un tesoro di valore inestimabile

FIUME | La chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria (Chiesa Collegiata e Duomo) è un’autentica perla del patrimonio storico-culturale di Fiume, i cui tesori si stanno riscoprendo e rivalutando negli ultimi anni grazie all’impegno dei ricercatori di storia dell’arte dell’Università degli studi del capoluogo quarnerino. Questo tempio barocco, che è la chiesa parrocchiale più antica di Fiume, è stato ricostruito e rinnovato più volte nel corso dei secoli e uno di questi interventi è stato il tema della conferenza tenuta di recente dal giovane ricercatore Mario Pintarić nell’ambito del progetto “Pietas et Fama: le opere d’arte fiumane e i loro committenti”, promosso dal Dipartimento di storia dell’arte, in seno alla Cattedra per l’arte dell’età moderna della Facoltà di Filosofia. Il tutto rientra a sua volta nel progetto di ricerca scientifica “ET TIBI DABO: committenti e donatori dell’arte in Istria, Quarnero e Dalmazia settentrionale tra il 1300 e il 1800”, guidato dalla prof.ssa Nina Kudiš della Cattedra per l’arte dell’età moderna.

Dati «spettacolari» finora sconosciuti

Le ricerche di Pintarić, i cui risultati sono stati presentati alla detta conferenza, rivelano diversi dati finora sconosciuti sui committenti e sugli autori delle opere d’arte che adornano l’ex Duomo, e si svolgono con il supporto della Fondazione nazionale per la ricerca mediante il progetto di sviluppo della carriera di giovani studiosi; la sua tesi di dottorato riguarderà i committenti e gli artisti dal 1600 al 1800 a Fiume. A seguirlo sarà il prof. Damir Tulić, in veste di mentore. Al fine di conoscere più nel dettaglio ciò che la prof.ssa Kudiš ha definito “scoperte spettacolari” nell’introduzione alla recente conferenza, abbiamo interpellato Mario Pintarić per un’intervista.

Quali sono le novità che ha scoperto nel corso delle sue ricerche?

“La prima novità riguarda la famiglia patrizia Orlando – esordisce Pintarić –, la più importante di Fiume nel XVIII secolo, la quale fu fautrice delle modifiche strutturali nella chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria dal gotico al barocco e fu responsabile dell’introduzione del monumentale altare marmoreo nell’abside. Alcuni dati erano noti già prima, in quanto erano menzionati nelle opere di alcuni storici nella prima metà del XX secolo, ma si trattava di informazioni scarne, interpretate in maniera non adeguata. La rilettura di documenti d’archivio, ai quali vanno ad aggiungersi anche nuove scoperte di documenti relativi all’opera di ricostruzione della chiesa, mi ha permesso di inquadrare più ampiamente e con più precisione la questione. Fino a questo momento non sono stati trovati i contratti tra Simone de Orlando o suo figlio Antonio con gli altaristi, scalpellini e scultori che avrebbero realizzato il monumentale altare maggiore della Chiesa Collegiata. Però, è stata rinvenuta la richiesta di Simone de Orlando alle autorità cittadine con la quale chiedeva il permesso di avviare un’opera di ricostruzione della chiesa e di sistemare un nuovo altare maggiore nell’abside. Il documento porta la data del 13 novembre 1713, mentre i lavori si conclusero nel 1725. Simone morì nel 1719, per cui non vide mai completata l’opera di rinnovo della chiesa. Suo figlio Antonio prese le redini degli affari del padre, come pure dei lavori nella Chiesa Collegiata”.

Come ha iniziato a occuparsi di questa tematica?

“Ho iniziato già durante gli studi, grazie alla prof.ssa Nina Kudiš e al corso di Metodologia della ricerca scientifica nell’ambito del quale avevo già portato avanti delle ricerche. Con il professor Damir Tulić avevo iniziato a collaborare durante la stesura della mia tesi di laurea alla fine dello studio triennale ed è stato mio relatore anche alla tesi di master, che ha avuto come tema appunto ‘La scultura marmorea e l’altaristica della Chiesa Collegiata di Fiume’. Inoltre, il professor Tulić aveva avviato al contempo un progetto di ricerca della scultura, pittura e degli oggetti liturgici nella medesima chiesa.
Ho svolto le mie ricerche nell’Archivio di Stato di Fiume, per cui vorrei ringraziare Boris Zakošek e Mladen Urem per il loro aiuto, come pure il professore Marko Medved, che mi ha accolto nell’archivio storico dell’Arcidiocesi di Fiume. Per quanto riguarda gli studiosi che si sono occupati della storia di Fiume, qui bisogna menzionare Giuseppe Viezzoli e Giuseppe Poglajen, che nel 1930 hanno pubblicato una serie di articoli legati alla storia della nostra città dal XIV al XVIII secolo”.

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L’mportante contributo di Kobler

“Nonostante ciò, il contributo più importante alla documentazione della storia di Fiume lo ha dato Giovanni Kobler nel 1896, il quale riportò i primi dati legati al
Duomo, ma che si sono rivelati poco precisi. Kobler aveva probabilmente visto alcuni documenti, interpretandoli erroneamente, tanto che ancora nel 2015 alcuni studiosi avevano riportato i medesimi dati erronei. Presto pubblicherò un articolo nel quale verranno esposti tutti i nuovi dati legati alle mie ricerche relative alla chiesa e reinterpretati quelli riportati da Kobler”.

I patrizi fiumani Orlando

“Per quanto riguarda la famiglia Orlando, si tratta senza dubbio della famiglia patrizia più importante di Fiume nel XVIII secolo. Finora avevamo poche informazioni su questa dinastia. Gli unici dati noti erano quelli riportati da Kobler. Attraverso le mie ricerche ho scoperto però dei dati nuovi, il che mi ha permesso di ricostruire la storia degli Orlando. A partire da Simone de Orlando, che probabilmente, anche se non ne siamo ancora sicuri, giunse da Venezia per stabilirsi a Fiume intorno al 1670 e occuparsi di commercio. Qui si arricchì, per cui decise di lasciare un’impronta nella storia della città investendo nell’opera di rinnovo del Duomo. Suo figlio Antonio fu, a mio avviso, il personaggio più importante nella Fiume del XVIII secolo. Oltre a completare i lavori nella chiesa, fu una figura di rilievo anche a livello europeo. Fu a capo della Privilegiata Compagnia Orientale Imperiale, la cui filiale si trovava a Fiume, durante il regno di Carlo VI del Sacro Romano Impero, con il quale era in ottimi rapporti, tanto che veniva invitato a corte e partecipava alle sedute chiuse del governo imperiale.
Simone de Orlando si sposò tre volte e da ogni matrimonio ebbe dei figli. Infatti, sull’altare principale, a tre livelli, i Santi rappresentati portano i nomi dei suoi familiari: vi si trovano le statue di San Simone Apostolo, Santa Margherita (la terza moglie di Simone), Sant’Anna (la seconda moglie di Simone), San Antonio di Padova (figlio di Simone e Anna), nonché San Francesco Saverio (figlio di Simone e Margherita) e Santa Barbara (la prima moglie di Antonio), quest’ultimi rappresentati sulla pala d’altare. Effettivamente, sull’altare sono rappresentati i membri più importanti della famiglia”.

Le recenti ricerche effettuate dal professor Damir Tulić hanno confermato che il Duomo vanta un apparato decorativo di eccezionale valore.

“Si tratta di un raro esempio a livello nazionale. Infatti, pochissime chiese in Croazia sono adornate da undici altari marmorei corredati da più di trenta sculture in totale. L’unico a reggere il confronto è il Duomo della città di Lesina, che ne contiene dieci. Infatti, gli altari marmorei del Seicento erano molto rari nelle chiese di questi territori all’epoca e si optava per quelli lignei, che poi venivano indorati e marmorizzati, ovvero, dipinti imitando le venature del marmo. Prima dell’intervento avviato da Simone de Orlando, anche la Chiesa Collegiata era decorata da altari lignei, i quali vennero sostituiti da quelli marmorei nella prima metà del XVIII secolo. Un fatto molto importante per Fiume, in quanto questa parte del suo patrimonio storico-culturale è più o meno sconosciuta. Ciò che vorremmo cambiare è la tendenza di raccontare la storia di Fiume partendo dal XIX secolo, anche se la città ebbe un ruolo di spicco già nel XVIII secolo. È allora che inizia il periodo d’oro della città. A testimoniare la ricchezza di Fiume nel Settecento è proprio l’apparato decorativo del Duomo”.

L’arte scultorea di Antonio Michelazzi

Parlando dell’apparato decorativo della chiesa si giunge inevitabilmente allo scultore Antonio Michelazzi…

“I primi dati noti legati a questo scultore li ha pubblicati in un articolo del 1967 la prof.ssa Radmila Matejčić. È così che Michelazzi è entrato nella storia dell’arte della Croazia. La prof.ssa Matejčić si è impegnata per prima a stilare un catalogo delle opere di questo scultore, originario di Gradisca d’Isonzo. Nell’ambito delle mie ricerche sul Duomo mi sono imbattuto nella figura di questo scultore, che è senza dubbio l’artista più importante di Fiume e nel territorio dell’odierna Croazia nel XVIII secolo, per cui me ne occuperò anche in futuro. Grazie a Michelazzi, infatti, a Fiume opera all’epoca l’unica bottega artigiana dell’odierna Croazia nella quale vengono prodotte soprattutto sculture e altari marmorei. Le chiese di Pisino, Bribir, Segna, Veglia, ma anche Zagabria e addirittura Graz commissionano altari e sculture nella sua bottega. La sua attività a Fiume è probabilmente legata ai Gesuiti, in quanto la sua prima commissione finora documentata, del 1731, è il pulpito nell’odierna Cattedrale di San Vito e l’altare di San Giuseppe della medesima chiesa, realizzato intorno al 1733. Molto probabilmente, il suo legame con i Gesuiti ha fatto sì che nella chiesa gesuita a Graz si venisse a sapere di lui e gli venisse commissionato l’altare decorato con sculture di Giovanni Maria Morlaiter, uno dei più importanti scultori di Venezia all’epoca. Nei documenti che riportano le varie commissioni, Michelazzi viene menzionato come ‘sculptor fluminensis’. In questo contesto ho scoperto – e ne sono grato al professore Marko Medved – un contratto prematrimoniale di Michelazzi nel quale è riportato il luogo di nascita – Gradisca d’Isonzo, dato già noto – e la bottega nella quale ha fatto tirocinio, che è un dato nuovo. Si è formato, infatti, nella bottega artigiana locale dell’architetto, altarista e scultore Leonardo Zuliani. Leonardo muore nel 1721, ma Michelazzi continua a lavorare con suo figlio, Paolo Zuliani. Ciò che non sapevamo finora è che Paolo Zuliani giunse a Fiume nel 1724-1726 assieme a Michelazzi e aprì qui la sua bottega. Nel medesimo contratto si legge pure che un altro scultore, della provincia di Cividale, Carlo Picco, lavorava nella sua bottega e testimoniò di avere sentito parlare di Michelazzi da Paolo Zuliani a Gradisca d’Isonzo. Dallo stesso documento si evince che in un secondo momento Zuliani se ne andò da Fiume, mentre Michelazzi venne alla guida della sua bottega. Nel 1729 Michelazzi si sposa e si stabilisce definitivamente a Fiume. In un altro documento d’archivio ho scoperto, invece, che a Fiume opera già nel 1733 la bottega artigiana guidata da Michelazzi, nella quale lavoravano scalpellini veneziani. Lo stesso scultore si definiva eccellente conoscitore di Venezia, il che vuol dire che era al corrente di tutto ciò che accadeva nella Serenissima nel campo della scultura. Invitò a lavorare nella sua bottega due scalpellini veneziani, Pietro Baraziolli e Giovanni Rigetti, che giunsero a Fiume nel 1733 e vi si stabilirono permanentemente. Dal 1733 al 1750 la sua bottega produsse più di dieci altari marmorei decorati da sculture.
Il problema che aprono le nuove conoscenze è la misura in cui la sua bottega fu coinvolta nella realizzazione dell’apparato scultoreo. Infatti, alcune sculture del Duomo denotano delle caratteristiche diverse, il che vuol dire che non sono state scolpite da Michelazzi. Ora vorremmo scoprire chi siano i veri autori”.

Michelazzi è un artigiano o un artista?

“Per Michelazzi si può dire senza esitazione che sia un artista molto competente, che conoscesse bene la scena artistica veneziana che all’epoca si ispirava alle correnti classiciste. L’elemento più riconoscibile del suo stile è il modo in cui scolpisce i drappeggi, che avvolgono le forme del corpo e sembrano bagnati. Una delle sue sculture molto particolari si trova sull’altare di San Francesco Saverio nella Cattedrale di San Vito. Sul frontone dell’altare è sistemata la scultura della Fede con il volto coperto da un velo. È generalmente molto difficile scolpire una forma coperta da un pezzo di tessuto, ma Michelazzi si è cimentato in questo lavoro con particolare bravura. Si tratta di un dettaglio che ha visto a Venezia, nelle opere di Antonio Corradini, diventato famoso proprio per questa caratteristica delle sue sculture. Certo che non si può paragonarlo con i geni artistici di quel periodo, ma nel contesto dell’epoca a Fiume e nel territorio dell’odierna Croazia non ci sono scultori del suo calibro. Un altro suo altare molto importante è quello principale nella chiesa di San Girolamo, commissionato da un altro mercante fiumano, Giuseppe Minoli, ispirato dalla famiglia Orlando. Ho scoperto che Minoli giunse a Fiume da Chieti per occuparsi di commercio. Quest’altare è senza dubbio una delle migliori opere di Michelazzi, che ha dimostrato ancora una volta la sua conoscenza della scultura veneziana”.

Una scoperta recente

“Vorrei anche aggiungere che di recente è stata scoperta nel Duomo una scultura sul tema Lamentazione su Cristo morto. È stata pure ricostruita la storia della nota Pietà fiumana, custodita nel Museo di Marineria e di Storia del Litorale croato, ovvero è stato scoperto il luogo in cui in passato era sistemata e l’autore dell’opera. La Pietà si trovava, infatti, sull’altare di Santa Croce di Michelazzi, realizzato probabilmente nel 1742 su commissione della famiglia Gauss. Il gruppo ligneo era stato trasportato dall’antica cappella demolita della famiglia Gauss e sistemato sull’altare. La Pietà è stata attribuita a uno scultore bavarese: Leonardo Thanner. Questa proposta di attribuzione è stata elaborata nell’articolo scientifico che firmo assieme al professor Tulić”.

È difficile leggere e decifrare gli antichi documenti d’archivio?

“Dipende dalla scrittura. A volte è davvero difficile capire quello che c’è scritto in un documento, ma grazie all’aiuto del professor Tulić, della prof.ssa Kudiš e del collega Marin Bolić riesco a risolvere ogni dubbio. I documenti sono scritti in prevalenza in italiano, ma anche in tedesco e latino.”

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