
La magia dell’arte cinematografica, le sue variegate espressioni, è per molti qualcosa che cattura l’anima e la mente fin dalla più tenera età e continua ad affascinare nel corso di tutta la vita. Le storie che vengono raccontate, i modi innovativi in cui vengono utilizzate le tecniche di ripresa e la tecnologia, l’aspetto visivo delle opere cinematografiche sono fonte di fascinazione per un pubblico di appassionati, ma ancora di più per chi si dedica con passione allo studio della settima arte. È così anche per il filmologo, docente alla Facoltà di Lettere e Filosofia di Zagabria e critico cinematografico spalatino Nikica Gilić – noto a un pubblico più vasto per la sua partecipazione come ospite alla trasmissione “Posebni dodaci” della Radiotelevisione croata (HRT), dedicata al cinema –, che ha preso parte di recente alla prima edizione di quest’anno del programma “Il film fuori dai confini” (Film izvan okvira) nell’Art cinema di Fiume, dove ha presentato il suo libro “Predavanja o filmskom modernizmu” (Lezioni sul cinema moderno). Il filmologo ha accettato con grande disponibilità di concederci un’intervista, nell’ambito della quale ci ha parlato dell’argomento trattato nel libro, delle tendenze nell’industria cinematografica contemporanea e di quant’altro.
Che cos’è che l’affascina nei film che rientrano nel filone del cinema moderno?
“Il film come media colpisce i nostri sensi – prima l’occhio e l’orecchio, dopodiché coinvolge anche la nostra mente. Le opere cinematografiche moderne espandono il repertorio di espressione e sorprendono lo spettatore con nuovi approcci colpendo i nostri sensi e la nostra mente. Offrono delle sorprese, sono freschi. Inoltre, la forza del cinema moderno sta spesso nell’intento di essere visibilmente virtuosistici, per cui noi appassionati di cinema possiamo ammirare la maestria con la quale sono stati girati (come, ad esempio, i film di Jean-Luc Godard o Vatroslav Mimica). D’altro canto, i film moderni sembrano a volte ingannevolmente semplici, per cui ammiriamo la ricchezza nata dal minimalismo del metodo. Il che è comunque una specie di virtuosismo, che nuovamente ci può entusiasmare (come nei film di Robert Bresson)”.
È spesso ospite della trasmissione «Posebni dodaci» della Radiotelevisione croata. Come è stata avviata la collaborazione con questa emittente nazionale e in che modo si prepara per la trasmissione? Crede che la televisione nazionale dovrebbe proporre più contenuti educativi legati al cinema?
“L’HTV aveva avviato questa trasmissione diversi anni fa come un prosieguo dei vecchi talk show (il più noto era ‘3-2-1, Kreni!’), per cui mi avevano invitato quale uno dei custodi di questa fiamma illuminista. I preparativi per la trasmissione dipendono dal tema: qualche volta mi invitano a parlare di un tema al quale penso molto e che conosco bene, per cui non ho bisogno di vedere molti film o di leggere eccessivamente prima di andare in onda, mentre altre volte devo prepararmi bene perché non conosco il tema o ho dimenticato i film che ho visto tanto tempo fa. Naturalmente, i contenuti educativi, culturali e scientifici dovrebbero essere più numerosi nei palinsesti della Radiotelevisione croata, in quanto se non si trovano sui canali pubblici qual è lo scopo dell’HTV?”
La sua carriera accademica è iniziata con lo studio della letteratura comparata e dell’anglistica. Che cosa l’ha spinta a studiare il cinema? C’è un movimento cinematografico, un periodo, un genere o un film che preferisce?
“Il corso di letteratura comparata includeva anche lezioni sull’arte cinematografica – fin dall’inizio l’idea era che gli studenti dovessero apprendere nozioni di teoria e storia del cinema, mentre il professore che insegnava queste materie, il compianto Ante Peterlić, era uno dei migliori e più interessanti relatori che ebbi la fortuna di conoscere nella mia vita. E, nonostante il cinema mi interessasse anche prima di intraprendere gli studi, senza l’incontro con Peterlić non mi sarei mai occupato di cinema. Dopo averlo conosciuto, mi sarei probabilmente occupato di cinema come critico cinematografico se non fosse che iniziai a lavorare presso la sua cattedra all’università. Da giovane preferivo il cinema moderno, dopodiché il mio interesse si spostò verso il cinema classico e il primo cinema moderno, mentre ultimamente il mio interesse è rivolto verso il modernismo in generale. Tra i generi amo molto la fantascienza, gli horror e le commedie, anche se i miei interessi cinematografici sono molto vasti. Un film di qualsiasi specie o genere mi può affascinare”.
Dopo aver visto un film per la prima volta, le è mai successo di non saper cosa pensarne?
“Mi accade spesso di trovarmi di fronte a un dilemma dopo aver visto un film e molto più spesso ho bisogno di essere sicuro della mia impressione. Accade qualche volta che un film mi entusiasmi mentre lo guardo, ma lo dimentico presto. Un altro, invece, come ad esempio quelli di Radu Jude o ‘Un posto sicuro’ di Juraj Lerotić, sobbolle lentamente e mi sembra sempre più valido con il passare del tempo. E poi ci sono quelli che mi affascinano sia durante la prima visione che più tardi, come il film ‘Caro diario’ di Nanni Moretti o ‘Batman returns’ di Tim Burton”.
Durante la presentazione del suo libro all’Art cinema aveva dichiarato di non apprezzare troppo i registi Robert Zemeckis e Steven Spielberg. Come mai?
“È difficile spiegarlo. Anche se si tratta di maestri del mestiere e della forma cinematografica, sia Spielberg sia, soprattutto, Zemeckis mi sembrano un riflesso dei maestri del cinema classico. John Carpenter, Walter Hill, George A. Romero, Peter Bogdanovich e altri maestri del genere, che si sono affermati negli stessi anni, o un po’ prima, di Spielberg, hanno realizzato dei film di maggiore qualità rispetto a Spielberg e Zemeckis. Anche se amo ‘Lo squalo’ (Jaws), mentre il primo ‘Jurassic park’ è impressionante ancora oggi. Tuttavia, nulla di tutto ciò si può paragonare per qualità a ‘Thing’ (La cosa) o ‘They live’ (Essi vivono) di John Carpenter, oppure al ciclo di film sugli zombie di Romero”.
Come vede la situazione attuale nell’industria cinematografica?
“Il film è giunto al capolinea come principale industria dell’intrattenimento. È stato soppiantato dalle nuove tecnologie (dai videogiochi alle nuove piattaforme in Rete), per cui possiamo dire che il film vive come un’arte, ma in prevalenza fuori dai grandi Paesi industrializzati dell’Occidente, oppure ai margini delle grandi case di produzione. Dall’altro lato, gran parte della tradizione artistica del cinema è stata integrata nelle serie televisive e nei contenuti destinati allo streaming, per non parlare dei videogiochi, per cui direi che forse si tratta di una mutazione dell’arte audiovisiva verso qualcos’altro, se non proprio della fine del cinema. Fino a poco tempo fa, nei nostri cinema dominavano i film sui supereroi, il che si può osservare come un chiaro sintomo della crisi del film prodotto industrialmente quale poligono artistico. Nonostante ciò, l’arte esiste ancora e viene diffusa tramite mezzi diversi, in primo luogo quelli digitali”.
Negli ultimi anni il cinema croato vive un periodo di grande fioritura, mentre alcuni film hanno conseguito dei successi notevoli sulla scena internazionale. Che cos’ha contribuito a questo slancio creativo? Qual è secondo lei il migliore film croato negli ultimi 35 anni? Qual è il film croato migliore in assoluto?
“È difficile esprimere dei giudizi definitivi e convinti, ma direi che ‘Un posto sicuro’ di Lerotić sia il migliore lungometraggio croato che io abbia visto negli ultimi 35 anni, nonostante anche altri autori avessero diretto dei film di qualità. Per quanto riguarda il cinema croato in generale, sono combattuto tra il melodramma ‘Samo ljudi’ di Branko Bauer, i classici modernisti ‘Kaja, ubit ću te!’ di Vatroslav Mimica, ‘Rondo’ di Zvonimir Berković e ‘Orao’ di Zoran Tadić.
Per quanto riguarda la ragione dello sviluppo del cinema croato: da un lato, abbiamo dato una possibilità ai giovani. Dall’altro lato, abbiamo organizzato la cinematografia in maniera più flessibile rispetto agli anni Novanta del secolo scorso, e qui mi riferisco alla fondazione del Centro audiovisivo croato (HAVC) che ha sicuramente contribuito in maniera notevole a dare una spinta al cinema croato”.
Come vede i cambiamenti delle abitudini di frequentazione dei cinema? Secondo lei, i servizi di streaming hanno inferto un colpo letale alle sale cinematografiche, o queste riusciranno a sopravvivere? In quale misura le giovani generazioni sono abituate ad andare al cinema?
“Le sale cinematografiche come basi della comunicazione artistica o di svago sono definitivamente un relitto del passato. I giovani frequentano i cinema molto meno, per cui anche le generazioni più mature hanno rinunciato a farlo. Ci sono dei critici cinematografici di mezza età che ammettono di non essere molto propensi ad andare al cinema, mentre altri, Dio mi perdoni, ne vanno addirittura fieri. Nonostante tutti, le sale cinematografiche continuano a sopravvivere in un senso elitista, come parte della cultura, allo stesso modo in cui sopravvivono la letteratura, il teatro, la pittura, la musica classica, il jazz o l’arte concettuale. Ultimamente, nei cinema croati, e non solo ai festival del cinema, si possono vedere i film del grande regista romeno Radu Jude. Per fortuna, la Croazia è coinvolta nella produzione dei suoi film come partner minoritario, per cui abbiamo la possibilità di seguire regolarmente il lavoro di uno dei più importanti cineasti contemporanei. Altrimenti, dovremmo ‘inseguirlo’ ai vari festival o cercarlo su Internet. Ho visto, ad esempio, il suo capolavoro ‘Aferim’ al festival del cinema europeo di Skopje”.
Nel suo libro si sofferma sul neorealismo italiano e ritiene che i film appartenenti a questa corrente non abbiano realizzato fino in fondo le loro ambizioni, le quali sono state espresse invece nei film di alcuni registi serbi. Ha menzionato espressamente Vittorio De Sica quale esempio di cineasta che non ha evitato del tutto alcune convenzioni dell’industria cinematografica. Può fare qualche esempio? Qual è la sua opinione sulla produzione cinematografica italiana contemporanea?
“Semplicemente, l’ideale di evitare gli artifici del genere è stato soltanto parzialmente realizzato nei film come ‘Ladri di biciclette’, ‘Umberto D’ e ‘Sciuscià’: qui viene posto l’accento sulla rappresentazione sentimentale di anziani e bambini tristi e non viene evitato nemmeno il sentimentalismo con gli animali. Senza parlare dell’impiego della musica. A scanso di equivoci, si tratta di film che rappresentavano l’apice dell’arte cinematografica della loro epoca ed erano estremamente influenti. Tuttavia, sono stati appena gli autori successivi quali Živojin Pavlović o, in parte, Aleksandar Petrović, ma soprattutto Ettore Scola, a esprimere pienamente gli ideali stabiliti nei testi dei neorealisti italiani. Purtroppo, non conosco abbastanza il cinema italiano, ma ogni tanto vedo qualche film eccellente appartenente da questa grande cinematografia. L’ultimo è stato ‘La chimera’ di Alice Rohrwacher”.
Quanto spesso va al cinema? Immagino che investa molto tempo nella visione di film, dal momento che deve sempre essere al passo con la produzione recente?
“Vado al cinema almeno due volte alla settimana, ma ci andrei anche più spesso se nei cinema venisse proposto un repertorio ambizioso, che mi interessa maggiormente… Però, a dire la verità non è così necessario che io sia al passo con la produzione attuale in quanto il mio compito è comprendere la storia del cinema, studiarla ed esplorarla al meglio, per cui guardo molto più spesso i film vecchi, che a un certo livello mi interessano molto di più. Il cinema contemporaneo tratta temi che comprenderò anche senza essere preparato. I film vecchi richiedono dallo spettatore una conoscenza della storia e la scoperta di nuovi mondi. Della produzione attuale cerco di seguire i titoli più ambiziosi e apprezzati”.
Come vede la tendenza di rifare i capolavori dell’arte cinematografica, oppure quella dei prequel e dei sequel di film già realizzati? Si tratta qui di una mancanza di idee, di corsa al guadagno, o qualcos’altro?
“Non vedo queste tendenze come qualcosa di negativo, in quanto le storie sono state ripetute e variate anche in passato: anche Shakespeare elaborava testi già esistenti per scrivere i suoi drammi… Non si tratta di un trend necessariamente negativo, ma si nota perché è diminuita la qualità generale delle produzioni commerciali proposte nei cinema”.
Sono innumerevoli i film basati sulle opere letterarie. Molto spesso, gli spettatori che amano un determinato libro non vedono favorevolmente le trasposizioni cinematografiche che non si attengono fedelmente alla storia. Qual è la sua opinione al riguardo? Ci vengono in mente i film «Rosemary’s baby» di Polanski e «L’età dell’innocenza» di Scorsese come esempi di pellicole nelle quali i registi si sono attenuti molto fedelmente alla storia.
“A essere sincero, dubito che chi non ha letto il libro ‘L’età dell’innocenza’ possa comprendere com’è il romanzo guardando il film. Il media cinematografico si differenzia dallo scritto così tanto che con la trasposizione sul grande schermo vengono fuori opere completamente diverse, che hanno pregi e difetti completamente diversi rispetto al testo, anche quando i cineasti seguono fedelmente la trama. In questo senso, non sono particolarmente orientato verso lo studio degli adattamenti cinematografici e non ci penso troppo. Nella creazione di film vengono utilizzati sia romanzi belli che brutti, drammi e novelle. Questi vengono usati seguendo fedelmente la trama o basandosi sull’idea generale, e da qui la qualità del film nasce in maniera specificatamente cinematografica”.
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