Il «caso» Stepinac tra ustascia e titini

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Il «caso» Stepinac tra ustascia e titini

Fede e patria, connubio fatale. Pastore Santo, colluso con il regime ustascia di Ante Pavelić o martire anticomunista perseguitato dal regime jugoslavo? Sul cardinale Alojzije Stepinac le posizioni restano ancora divergenti. A vent’anni dalla beatificazione, a opera di Papa Wojtyla, il “caso Stepinac” fa ancora discutere. La causa di santificazione in Vaticano è praticamente conclusa, ma la sua proclamazione a Santo è per ora bloccata in attesa delle conclusioni di una commissione mista cattolici-ortodossi istituita esattamente un anno fa da Papa Francesco per “una rilettura comune” della figura e dell’operato dell’arcivescovo di Zagabria durante gli anni drammatici della Seconda guerra mondiale.

Nell’attuale sviluppo di studi sulla figura e l’opera di mons. Alojzije Stepinac (1898-1960), creato cardinale nel 1953, si colloca il lavoro di Vincenzo Mercante “Il Cardinale Alojzije Stepinac – Nella Croazia degli ustascia e nella Jugoslavia di Tito”, edito dalla Luglio di Trieste, che verrà presentato domani 14 giugno presso il Circolo della stampa del capoluogo giuliano. All’incontro, con inizio alle ore 17.30, interverranno, oltre all’autore, il presidente della Fameia Capodistriana (che insieme con il Centro culturale Gian Rinaldo Carli organizza l’evento), Piero Sardos Albertini, e gli storici Silva Bon e Diego Redivo.
Sarà un’occasione per entrare in un periodo particolarmente critico, anni segnati dalle conseguenze della Prima guerra mondiale, dalle vicissitudini del regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (divenuto poi Regno di Jugoslavia), dalle tensioni tra etnie diverse, dai movimenti indipendentistici, dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, dall’avvento in Croazia del leader degli ustascia, Ante Pavelić, dalla proclamazione dello Stato Indipendente di Croazia (1941), dalla paura anticomunista e dal timore di un’avanzata dell’URSS nei Balcani e nell’Europa centrale. Fu probabilmente in quest’ultima ottica che Stepinac accolse favorevolmente un assetto politico che innalzava la Croazia ad antemurale della cristianità. “Nel primo anno del regime l’arcivescovo era probabilmente convinto che responsabili delle atrocità fossero gruppi isolati di ustascia, che non rispondevano a nessuno se non alla loro sete di crudeltà – scrivono Giorgio Cingolani e Pino Adriano in “La via dei conventi. Ante Pavelić e il terrorismo ustascia dal fascismo alla Guerra fredda” (Ugo Mursia Editore, Milano, 2011, p. 292) –. Ma quando si rese conto che i suoi interventi cadevano nel vuoto e che alle formali rassicurazioni non seguiva alcun sostanziale mutamento di indirizzo, egli prese prograssivamente coscienza della vera indole di Pavelić. Cominciò allora a denunciare pubblicamente la condotta del regime chiedendo buone relazioni con i serbi e vedendo in essi degli uomini e non delle bestie selvagge”.
Finita la guerra e crollato l’NDH di Pavelić, nel 1946 mons. Stepinac venne accusato di collaborazionismo e fu anche accusato di aver sostenuto un’opposizione anti-statale al nuovo governo comunista. Per questo motivo si arrivò, alla fine, a processarlo. Fu condannato a sedici anni di lavori forzati, e alla privazione dei diritti politici e civili per la durata di cinque anni. In seguito, la prigionìa venne tramutata nel domicilio coatto. Stepinac morì nel 1960 per ostruzione di alcuni tratti dell’arteria polmonare causata da trombi mobili (alcuni autori hanno scritto anche su un possibile avvelenamento). Nel 1998 Giovanni Paolo II (Santo) proclamò Beato il defunto arcivescovo di Zagabria. L’iter seguito fu quello del riconoscimento del martirio, che non richiede la constatazione di un miracolo. Già in tale occasione, diversi esponenti del mondo politico serbo e le autorità della Chiesa ortodossa manifestarono la loro profonda contrarietà.
Con una sentenza dal forte valore storico e politico, il 22 luglio 2016 il Tribunale Distrettuale di Zagabria ha deciso l’annullamento nella sua interezza della sentenza del 1946, ritenuta lesiva di “tutti i principi del diritto penale materiale e processuale” in quanto ha violato il principio della legalità, quello del divieto dell’applicazione retroattiva del Codice Penale, il principio della colpa, nonché quello del diritto dell’imputato ad avere un giudizio giusto.

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