I versi della memoria e della nostalgia

Il poeta e scrittore ha illustrato le tematiche espresse nei «Versi confinati», rivelando anche le proprie riflessioni in merito al futuro della minoranza italiana a Fiume

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I versi della memoria e della nostalgia

“Versi dell’intimità di chi conosce l’uso della parola poetica per esprimere i sentimenti”. È così che la giuria della 54.esima edizione del Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima” ha motivato l’assegnazione del primo premio nella categoria di Poesia in lingua italiana a Mario Simonovich, per anni giornalista e redattore della Voce e di Panorama, di cui è stato anche caporedattore. Si intitola “Versi confinati” la nuova raccolta di poesie dello scrittore connazionale. Poesie che, stando sempre alla motivazione della giuria, sono espressione “della memoria e della nostalgia” dell’autore. L’abilità letteraria e, in particolare, quella giornalistica, di Simonovich sono già state riconosciute diverse volte nell’ambito di concorsi artistico-culturali. Il suo esordio risale al 1974, quando vinse il Premio giovani di un concorso indetto dalla Regione Sicilia. Partecipò alla 19.esima “Istria Nobilissima”, ottenendo il secondo premio nella categoria di Prosa, un risultato che poi replicò alla 24.esima edizione del Concorso. Ottenne una menzione speciale al Concorso letterario “Umberto Saba” di Trieste nel 1994. Nel 2004 vinse il Premio “Paolo Lettis” di “Istria Nobilissima” per la migliore realizzazione in campo giornalistico, mentre nel 2016 ottenne il Premio per l’opera omnia in campo giornalistico. Nel corso di un’intervista, lo scrittore e giornalista connazionale ci ha illustrato le tematiche espresse nei “Versi confinati”, rivelandoci anche le proprie riflessioni in merito al futuro della minoranza italiana del capoluogo quarnerino.

 

Qual è il messaggio della raccolta “Versi confinati”?

“Credo che ogni raccolta poetica parta dal mondo interiore di chi scrive, supposto o reale che sia. Ho cercato di racchiudere nella parola ‘confinati’ quello che il mio vivere a Fiume ha significato nelle mie stesse proiezioni della città, dei miei concittadini e dei miei connazionali. Come ho spiegato in una delle poesie della raccolta, per me Fiume è una città ‘spaccata’ da un monte, fino alla radice, ed è un confine che, secondo me, si è spostato purtroppo anche nel cuore degli uomini, permeandolo a tal punto da restare siglato – oserei dire – imperituramente anche nei cimiteri. Nel contempo ho espresso anche la mia tristezza per certe cose che stanno avvenendo in città. In un’altra poesia, infatti, ho parlato di una città che, pur affacciandosi sul mare, ha un pezzo di riva relativamente corto, che va dalla Direzione del porto a Palazzo Bacich. Davanti a quest’ultimo per decenni erano ormeggiate le piccole barche dei fiumani, ora invece ci sono lussuosi panfili, a indicare, ‘che i nuovi padroni sono già sbarcati’”.

Quindi, lei vede questi cambiamenti geografici e urbanistici come simbolo dei cambiamenti sociali…

“Esattamente. C’è una connessione tra l’’esteriorità’ e quello che si è depositato nelle menti delle generazioni di questa città”.

Stando alla motivazione della giuria del Concorso “Istria Nobilissima”, le sue sono poesie “della memoria e della nostalgia”. Concorda con questa spiegazione? Qual è la “memoria” e la “nostalgia” a cui si riferiscono i suoi versi?

“Ringrazio molto la giuria per il premio e sono d’accordo con quanto espresso nella motivazione. La ‘memoria’ si riferisce alla commistione fra passato e presente che, nella maggioranza delle persone di una certa età e di coloro che sono portati alla riflessione, acquista sì una patina irreale, ma comunque tale da istillare nella persona dei sentimenti di nostalgia, e anche di dispiacere per tutto quello che c’è stato alle spalle. Chiunque si esprima in questo modo, non ha di fronte a sé un grande futuro, ma semmai un grande passato, ricco o povero che sia. Credo che chi pensi al passato lo faccia, nella maggior parte dei casi, esprimendo un sostanziale ‘peso di vivere’”.

Secondo lei, prima “si stava meglio”?

“Non direi che prima si stesse meglio. Direi che su tutte le cose – belle e brutte – di allora è passato l’implacabile rullo del tempo che ha mascherato un po’ questo passato e ora ce lo fa vivere sì con nostalgia, ma si tratta pur sempre di un passato che non c’è più. Ed è questo forse uno dei messaggi essenziali della raccolta, un passato che non tornerà più, che neanche il più grande poeta del mondo potrà mai più rivivere”.

Qual è il significato del titolo della raccolta?

“I versi ‘confinati’ sono dei versi che nella loro creazione sono ben coscienti di essere confinati da barriere del confine di una volta, da barriere psicologiche, da barriere storiche”.

Alla 53.esima edizione di “Istria Nobilissima”, invece, il suo testo “La macchia sulla tovaglia” ha ricevuto la menzione onorevole della giuria nella categoria di Prosa in lingua italiana. A parte l’evidente differenza nella forma letteraria rispetto ai “Versi confinati”, ci sono dei punti in comune tra i due lavori?

“Ne ‘La macchia sulla tovaglia’ si racconta di una signora venuta a Fiume dall’entroterra croato negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale. Oramai anziana, lei riflette su quello che è successo quando è venuta qui, su quanto era diversa questa città dal suo paese d’origine. Rivive il vivere di una persona che si era trovata qui sul filo di un grande entusiasmo della parte vincitrice. Ora invece, avendo il neo d’essere ortodossa, si ritrova esclusa dalla società che anche lei stessa aveva costruito. È un discorso che viene ripreso anche nei ‘Versi confinati’. Si voglia o non si voglia, noi italiani ci siamo sentiti esclusi. E un po’ lo siamo, siamo diversi. Ci portiamo addosso, strettamente cucita, la veste dei perdenti. La guerra degli anni Novanta a sua volta ha improvvisamente fatto sentire perdenti migliaia di persone giunte orgogliosamente a Fiume con le insegne del vincitore”.

Per esprimere questo tipo di tematiche, preferisce di più la prosa o la poesia?

“Lavorando per molti anni come giornalista, ho sempre scritto in prosa. Il problema si presenta passando dalla prosa giornalistica – che è sbrigativa, innovativa, colma di neologismi – a una prosa letteraria. In termini automobilistici, è un passaggio che esige l’uso di un cambio più basso, con più giri. Quindi, in un certo senso, direi che per adesso prevalga la prosa”.

A suo avviso, qual è il futuro della minoranza italiana di Fiume?

“Mi considero moderatamente ottimista. Per usare un termine informale, ‘ci davano per spacciati’ nel ‘53 quando ci hanno tolto le scritte italiane della città, come anche più avanti, quando il numero degli alunni delle scuole della minoranza è sceso a livelli preoccupanti. Direi che la presenza degli italiani a Fiume assumerà nuove forme, si diversificherà, vivrà in stretto connubio con la maggioranza – sia nelle espressioni, sia nel modo di socializzare -, ma in ogni caso un futuro c’è”.

Secondo lei, un giorno la realtà che stiamo vivendo ora sarà ricordata, da parte di quelle che in questo momento sono le giovani generazioni, con la medesima nostalgia che traspare dai suoi versi?

“Penso che vedranno attraverso una certa trasfigurazione, il giorno d’oggi, come anch’io vedo il passato attraverso una trasfigurazione, che mi maschera una parte della realtà. Le generazioni attuali saranno sottoposte a un bombardamento di nuove impressioni, di nuovi dati. Credo che guarderanno poi con la stessa nostalgia e con lo stesso rimpianto al giorno d’oggi, che per loro è bellissimo come lo era per me il tempo di una volta. Ci sarà una trasfigurazione, per via della quale rievocheranno l’epoca odierna con un senso, tutto sommato, di piacere e, se vogliamo, nostalgia, ma non di rimprovero o di rincrescimento”.

Quindi, ora riesce ad apprezzare certi aspetti dei tempi passati che all’epoca, per certi versi, prendeva per scontati…

“Esattamente. Oggi si apprezza il valore di certe cose, si ammorbidiscono certe punte di asprezza che all’epoca c’erano, e si può vedere come gli errori degli uomini si ripetano incessantemente. I vincitori del ‘45 sono diventati vinti negli anni ‘90, e così ci saranno sempre nuovi vincitori e nuovi vinti, ci sarà sempre chi si afferrerà con le unghie e con i denti al potere e chi invece capirà che tutto è temporaneo a questo mondo. Uno poi capisce che bisogna sì guardare alla vita con un senso di partecipazione, ma tenendo presente che, in fondo, tutto passerà e tutto si trasfigurerà, e che, per certi versi, i nostri pronipoti continueranno a fare i nostri stessi errori”.

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