I tanti romanzi di un dolore che brucia ancora

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I tanti romanzi di un dolore che brucia ancora

ABBAZIA | “I romanzi dell’esodo” è il titolo della conferenza tenuta martedì sera, negli spazi di Villa Antonio, sede della Comunità degli Italiani di Abbazia, dalla prof.ssa Cristina Benussi. A salutare i presenti, tra cui il direttore dimissionario dell’UPT, Fabrizio Somma, è stata la presidente del sodalizio, Sonja Kalafatović, la quale si è detta onorata di potere ospitare la docente triestina.

La relatrice ha tracciato una storia della letteratura sul tema dell’esodo, a partire dai primi racconti degli anni Cinquanta fino a oggi, verificandone i cambiamenti di prospettiva storica e ideologica, con il passare degli anni. Tra le tante tragedie della Seconda guerra mondiale, s’annovera quella dei tantissimi italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia costretti ad abbandonare le proprie terre per fuggire alla violenza delle milizie titine. Come è stato spiegato, di questa migrazione forzata hanno scritto innanzitutto i poeti e narratori nati fra il XIX secolo e oggi, che l’hanno vissuta in prima persona, avendo dovuto lasciare tutto e trapiantarsi anche in continenti lontani dove si sono costituiti nuclei legati dalla comune origine che hanno favorito la pubblicazione di periodici o di volumi sul tema. Ma dal dramma degli esuli hanno tratto ispirazione pure connazionali che sono riusciti, nonostante tutto, a non diventare esuli, o altri italiani o stranieri; o alcuni infine che hanno lasciato l’Istria, Fiume o la Dalmazia per ragioni diverse, ma hanno conosciuto l’esodo di parenti e amici e ne hanno appassionatamente parlato in versi e in prosa.

Due tipi di vita

I protagonisti/vittime conducono due vite: quella del “prima” (spesso felice) nel proprio mondo, che include persone, luoghi, cose, odori, sapori, significati e valori; e quella del “dopo”, in un altro mondo (a volte molto diverso), dove inserirsi per ricominciare da zero senza potere più tornare. I due luoghi corrispondono a due tempi dissimili. In mezzo sta il momento (non per tutti breve) della traumatica censura, più o meno violenta a seconda dei casi. Lo sradicamento forzato incide nel profondo dell’anima causando sentimenti ossessivi come insicurezza, straniamento, paura, rabbia, provvisorietà, nostalgia, struggimento, disperazione. Una prova ardua per tutti, ma che in taluni casi può provocare conseguenze anche psicopatologiche.

Enzo Bettiza e Diego Zandel

Dal dopoguerra ad oggi, la letteratura dell’esodo ha scandagliato questo drammatico evento epocale attraverso generi come la memorialistica, il romanzo (spesso con spunti autobiografici) o la poesia.
“Un esempio di scrittore che ha reso il mondo fantastico – ha spiegato la relatrice nel corso della sua presentazione – è Enzo Bettiza. Egli racconta la storia della sua famiglia dentro una storia molto più ampia; narra della felicità di potere parlare più lingue. Egli scrive per evitare il memoricidio. Da qui il bisogno di raccontare per l’oggi”.
Diego Zandel invece, figlio di profughi e scrittore contemporaneo, può raccontare soltanto le cose che ha sentito dire.
A differenza degli uomini, le scrittrici donne hanno un tipo di racconto diverso. È stato fatto l’esempio di Mori, Milani e Madieri. Quest’ultima, nelle sue opere ricorda immagini femminili dell’esodo, ricette della nonna, passeggiate con le amiche di scuola. Tipico delle scrittrici donne è infatti il maggiore interesse per la quotidianità, la famiglia, la casa, la terra, le tradizioni, gli usi, i costumi, gli affetti, la fisicità o le percezioni sensoriali: in definitiva tutto ciò che attiene alla vita. “In effetti – ha detto ancora Cristina Benussi – gli autori di entrambi i sessi ricordano gli stessi eventi, ma le donne sono molto più feroci nel raccontare questi ricordi. Le donne hanno come valore supremo la vita. Una vita che è stata spezzata improvvisamente. La relatrice ha concluso la sua relazione con l’auspicio che si possa tenere vivo il punto d’arrivo della memoria e del ricordo.

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