I problemi della nostra società racchiusi nel mondo di Yerma

Rajna Racz, alla sua prima esperienza di regia con un ensemble (il Dramma Croato dello «Zajc») annuncia lo spettacolo che debutterà domani all'Exportdrvo di Fiume

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I problemi della nostra società racchiusi nel mondo di Yerma
Rajna Racz. Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Andrà in scena domani, negli spazi dell’Exportdrvo di Fiume, la nuova produzione del Dramma Croato del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume. “Yerma”, che insieme a “La casa di Bernarda Alba” e le “Nozze di sangue” compone la celebre “trilogia lorchiana”, verrà messa in scena nella regia di Rajna Racz, con scenografie create da Paola Lugarić e costumi realizzati da Manuela Paladin Šabanović. A esibirsi nei ruoli principali della celebre pièce di Federico García Lorca saranno Judita Franković Brdar, Dean Krivačić e Deni Sanković, mentre la rassegna di ruoli secondari verrà interpretata da Jelena Lopatić, Olivera Baljak, Biljana Lovre, Aleksandra Stojaković Olenjuk, Ana Marija Brđanović, Dora Čiča, Nika Grbelja e Mario Jovev. La messinscena di “Yerma” firmata da Racz viene completata dalle coreografie create da Kasija Vrbanac Strelkin e dalla musica composta da Marin Živković (registrata dallo stesso autore insieme ai membri dell’Orchestra sinfonica dello ‘Zajc’, Lucija Kovačević, Mihael Hrgar, Golnar Mohajeri, Osman Eyublu, Pedro Rosenthal Campuzano e Toni Kranjac). Abbiamo interpellato la giovane regista dello spettacolo (che firma, insieme a Maja Ležaić, pure l’adattamento drammaturgico), per parlare del lavoro sulla messinscena, soffermandoci sul ruolo delle coreografie, della musica e della particolarità dello spazio in cui avrà luogo la première, in programma domani alle ore 19.30.

Un linguaggio poetico e scenico
“Yerma” inizialmente doveva essere il suo progetto di laurea all’Accademia di Arti drammatiche di Zagabria. Come mai voleva dedicarsi proprio a questa pièce?
“L’idea mi era venuta già al primo anno di studi, innanzitutto perché amo l’opera di Federico García Lorca e la melodicità del suo linguaggio poetico. Per mezzo di questo linguaggio e dei sistemi tematici, Lorca ha creato in ‘Yerma’ un mondo poetico totalmente immerso nella propria morfologia. Ciò che mi ha attratto della pièce è il fatto di essere una drammaturgia articolata in immagini fluttuanti, con una struttura della trama e dei personaggi che si dilata. L’avevo vista come l’opera perfetta per sperimentare le idee che avevo sul teatro, come una porta d’accesso all’individuazione di un mio modo personale di fare teatro. Purtroppo, con l’arrivo della pandemia ho dovuto modificare il progetto di laurea e abbandonare l’idea di mettere in scena proprio ‘Yerma’. In realtà, temevo di non avere più l’opportunità di lavorarci sopra, perciò sono contentissima di essermi potuta dedicare all’opera in questo contesto, a pochi mesi dalla laurea”.

Ha modificato, in quest’occasione, le idee che inizialmente aveva in mente per “Yerma”?
“Dati i ritmi e le condizioni di lavoro, e la dimensione dell’intero progetto, ho dovuto cambiare l’intenzione di base, ovvero quella di creare una messinscena in collaborazione con l’Opera dello ‘Zajc’. Un aspetto a cui tengo molto è la partecipazione di tutti gli interpreti a ogni prova per lo spettacolo, cosa che qui non è stata possibile per motivi logistici e di organizzazione. Motivo per cui ho dovuto rinunciare alla concezione iniziale di un progetto lirico-scenico, per arrivare a un giusto compromesso. Infatti, insieme alla dramaturg Maja Ležaić, alla coreografa Kasija Vrbanac Strelkin, alla scenografa Paola Lugarić e all’autore delle musiche Marin Živković, abbiamo deciso di creare una sorta di mondo a parte, con le sue leggi precise, che è diverso da quello nostro. È un universo rigido e chiuso in sé, con un suo specifico linguaggio corporeo e scenico”.

Qual è allora il ruolo della musica?
“Anche se abbiamo abbandonato l’utilizzo dell’interpretazione lirica, la colonna sonora dello spettacolo rappresenta uno sfondo melodico che articola un mondo lontano, una realtà altra. È una musica che non può essere inserita nelle tradizionali categorie, ma è talmente specifica e legata a questa realtà appartata al punto che risulta difficile individuare la sua giusta ambientazione spazio-temporale. È stato proprio quello il mio interesse principale, dar vita a un mondo distante, che però riflette alcuni dei principali problemi della nostra società. La musica non gioca un ruolo nella drammaturgia del linguaggio parlato, come inizialmente puntavo di fare, bensì è un elemento chiave dello sfondo latente della messinscena, che influisce sullo scorrere e la dilatazione del tempo, e che crea così una continuità tra i grandi salti temporali presenti nel testo di Lorca”.

Grata di essere stata accettata
Com’è stato lavorare con gli attori dello “Zajc”?
“È la mia prima esperienza di regia di un ensemble, poiché finora ho lavorato soprattutto nell’ambito della scena indipendente e dell’Accademia, per cui ho avuto modo di conoscere da vicino i vantaggi e gli svantaggi degli ambienti teatrali istituzionalizzati. È stato bellissimo lavorare con l’ensemble dello ‘Zajc’, che mi ha immediatamente accettata. Ho potuto applicare una metodologia specifica, allontanandomi dal realismo, ma evitando anche una freddezza dell’interpretazione, cercando piuttosto di ottenere dagli attori un’emozione che fosse, in un certo senso, inconscia, che si presentasse come una sorta di grido del personaggio. Con Kasija Vrbanac Strelkin ho potuto creare un vocabolario corporeo, che viene utilizzato dall’inizio alla fine della rappresentazione. Mi sono approcciata alla messinscena con una grande preparazione, ma ho voluto rimanere aperta alle proposte dell’ensemble e dei collaboratori. Nello spettacolo non ci sono, in realtà, dei ruoli del tutto secondari, bensì ogni personaggio completa un proprio arco di sviluppo. In questo senso, il titolo ‘Yerma’ sarebbe potuto essere sostituito da qualsiasi altro nome dei personaggi della pièce. Ci siamo allontanati, insieme a Maja Ležaić, da Lorca soprattutto per quanto riguarda l’aspetto drammaturgico, abbiamo infatti attribuito un nome a ogni personaggio che vi compare, poiché volevamo porre l’accento su tutti i piani della pièce, da quello centrale a quello di sfondo. In questo modo, ‘Yerma’ deve essere letta in riferimento a tutti i personaggi che ne fanno parte”.

Qual è stato il fil rouge di questa concezione registica, di questa creazione di un mondo distinto?
“Alla base del mio progetto registico vi è la considerazione della soggezione dei personaggi alle loro ideologie individuali. In altre parole, nello spettacolo non appare un solo personaggio in quanto vittima di un’unica struttura sociale, bensì ogni figura di ‘Yerma’ è, ciascuna a modo suo, vittima del proprio sistema di pensiero. Si tratta, quindi, di ideologie autoimposte, che i personaggi sono disposti a seguire anche al prezzo della morte, nonostante il fatto che una soluzione al problema sia comunque possibile. Credo che una lettura di questo tipo della ‘Yerma’ di Lorca sia implicita nel testo, ma per semplicità, nel tempo, l’interpretazione della drammaturgia si è ridotta a una lotta della protagonista contro la società in cui vive”.

Due realtà diverse
In quale modo la particolarità dello spazio dell’Exportdrvo influirà sulla pièce?
“Ho insistito molto sulla messinscena all’Exportdrvo perché si tratta di una struttura, a mio avviso, caratterizzata da un’espressione assai fredda e distopica. Quando vi si inserisce un mondo specifico, come quello che abbiamo creato per ‘Yerma’, si ha l’impressione di un reperto archeologico, di un’unione tra due realtà distinte. Ritengo che lo spettacolo sia più adatto a luoghi di questo tipo, in quanto lo scontro tra questi due mondi lascia spazio a un piano nascosto della realtà, che corrisponde in un certo senso a quell’emozione inconscia di cui parlavo prima. Credo che l’idea di questo mondo appartato si sposi bene con la marginalità di spazi come l’Exportdrvo”.

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