I luoghi del lavoro forzato e delle deportazioni in Italia

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I luoghi del lavoro forzato e delle deportazioni in Italia

FIUME | S’intitola “I luoghi del lavoro forzato e della deportazione in Italia durante la Seconda guerra mondiale”, il progetto internazionale presentato ieri al Dipartimento di Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia di Fiume, nell’ambito del corso “Croazia 1918-1990”, della titolare Andrea Roknić. Supportato dalla fondazione tedesca “EVZ. Erinnerung, Verantwordung und Zukunft”, in collaborazione con l’associazione italiana “Topografia per la storia” di Roma, il progetto s’inquadra in un’ampia ricerca pluriennale dell’associazione “Topografia per la storia” sui campi di lavoro forzato in Italia. Si sono soffermati sull’importanza del progetto, la prof.ssa Mila Orlić (Dipartimento di Storia), e i ricercatori dott. Marco Abram e dott.ssa Francesca Rolandi, già borsisti Newfelpro presso il Dipartimento di Storia.

La «doppia deportazione»

Come rilevato da Mila Orlić, il progetto ha esaminato nei dettagli la cosiddetta “doppia deportazione” di alcune migliaia di individui provenienti dal territorio dell’odierna Croazia durante la Seconda guerra mondiale. “Le deportazioni furono effettuate prima dalle autorità italiane (fino alla capitolazione dell’Italia nel 1943) e successivamente dalla Germania nazista che ha rinchiuso i prigionieri nei campi del Terzo Reich”, ha spiegato la relatrice. “Il carattere multiprospettivo del progetto consiste nel fatto che la ricerca è stata condotta negli archivi di Croazia, Serbia, Italia e Germania. Inoltre, lo studio si è concentrato sulla ricostruzione di alcune biografie particolarmente interessanti per comprendere questo fenomeno complesso, e ad ora poco indagato, di cui non c’è un’immagine globale”, ha fatto notare Orlić.

Progetto dalla durata di due anni

Gli aspetti tecnici e il contesto storico del progetto sono stati illustrati dalla dott.ssa Francesca Rolandi. “Esso si propone di fornire materiali e informazioni su un aspetto poco conosciuto delle vicende italiane durante l’occupazione nazista – ha spiegato la studiosa –. Il progetto, dalla durata di due anni, ha coinvolto diversi ricercatori. Durante il primo anno, la ditta slovena APIS ha raccolto le testimonianze dei familiari delle vittime. Ora noi ci stiamo occupando degli internati e dei deportati. Le nostre ricerche hanno dimostrato che alcune migliaia di persone provenienti da queste zone sono state vittime di doppie deportazioni e oltre sette prigionieri di guerra sono stati internati in Italia. In tutto, l’Italia contava 314 località di internamento”, sono i dati forniti agli studenti presenti alla conferenza.

Un pezzo di storia taciuta

La questione piuttosto problematica di cui si è taciuto per decenni, è stata toccata anche da Marco Abram. “Ma quale posto occupa la memoria collettiva in Italia?”, si è chiesto il relatore. “Durante il fascismo tutti quelli che hanno ricoperto ruoli di una certa importanza, hanno mantenuto posti autorevoli anche dopo la fine della guerra”, ha ricordato Abram.

Periodi difficili

Durante la Seconda guerra mondiale, la Germania nazista ha mobilitato circa 10 milioni di uomini per le sue forze armate. Quelle che dovevano essere campagne fulminee (da cui il termine “Blitzkrieg”) avevano portato invece a una guerra ad ampio raggio combattuta su più fronti, durata sette anni, per la quale la società tedesca aveva dovuto mobilitarsi utilizzando ogni risorsa disponibile. Soprattutto dopo i rovesci dell’autunno-inverno 1942-1943 (battaglie di El Alamein e Stalingrado), la Wehrmacht era rimasta costantemente sulla difensiva, e si era trovata costretta a costruire immense opere di fortificazione per cercare di sopperire alla enorme differenza di risorse rispetto ai suoi nemici. Su tutti i fronti, all’Est come sul “Vallo Atlantico”, in Italia come sulla costa meridionale della Francia, il Comando Supremo della Wehrmacht aveva dovuto impegnare milioni di uomini per l’edificazione di trincee, sbarramenti anticarro e bunker, nonché aeroporti, strade e ferrovie per collegare il fronte con le retrovie e per ricostruire le infrastrutture distrutte dai bombardamenti aerei. Non solo, ma l’enorme numero di uomini mobilitati alle armi aveva imposto la loro sostituzione per la produzione agricola e industriale d’Italia, nonché per lo sfruttamento delle risorse economiche nei Paesi occupati. In questo quadro uno degli impegni maggiori della Germania nazista era stato quello di reclutare lavoratori per sopperire alla mancanza di manodopera tedesca e per depredare le ricchezze delle nazioni cadute sotto il suo dominio. Le strategie applicate per ottenere questi risultati furono diverse, cambiarono nel corso del tempo e rispecchiarono l’organizzazione policratica del Terzo Reich, dove numerosi centri di potere erano in conflitto tra loro, ognuno con i suoi scopi e i suoi strumenti. La grande confusione, l’improvvisazione, la difficoltà nella pianificazione a lungo periodo, avevano contraddistinto anche le politiche di sfruttamento del lavoro nell’Italia occupata. Già l’ambigua posizione della Repubblica Sociale Italiana, Paese formalmente alleato del Terzo Reich, ma anche occupato, aveva reso molto complessa la situazione dei lavoratori. Inoltre, le numerose agenzie, italiane e tedesche, che si erano occupate del reclutamento della manodopera (forzata o volontaria, deportata o utilizzata in loco), avevano seguito ognuna la propria strategia, con risultati spesso caotici. Lavoratori volontari erano stati reclutati per il lavoro in Germania, assieme a deportati politici, a militari internati, a detenuti per reati comuni, ad ebrei, a jugoslavi deportati prima in Italia e poi nel Reich. Operai erano stati impiegati in Italia sia in forma volontaria, sia in forma coatta. Partigiani, disertori, renitenti e criminali comuni erano stati impegnati, alle volte assieme, in cantieri improvvisati sulla linea del fronte, nella costruzione e manutenzione di infrastrutture, nello sgombero di macerie. Uomini di tutte le età erano stati rastrellati dalla Wehrmacht in retate improvvise, e costretti a costruire trincee e fossati anticarro. Insomma, una situazione nella quale la qualifica di “lavoratore forzato” e di “deportato” non sempre riusciva a determinare e a spiegare la reale complessità delle vicende di singoli o di gruppi di lavoratori che erano stati costretti a contribuire allo sforzo bellico della Germania nazista e della Repubblica sociale italiana.

Un nuovo sito

Il progetto, che si concluderà nei prossimi mesi, è disponibile sul sito http://lavoroforzato.topografiaperlastoria.org/home.php con nuove schede sulla deportazione dalle carceri italiane e il database degli doppi deportati. “Il sito si rivolge a storici, scuole, studiosi e famiglie di ex deportati, con l’intento di mettere a disposizione materiale d’archivio, brevi schede informative e percorsi individuali di deportati e lavoratori forzati, in modo da rappresentare nella forma più completa possibile l’estrema complessità della storia del lavoro forzato in Italia nel periodo 1943-1945”, ha concluso Francesca Rolandi.

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