Gualtiero Mocenni: «Quello che ho voluto creare l’ho sempre fatto»

Il pittore, scultore e incisore oggi taglia il traguardo dei novant’anni dopo una vita trascorsa sull’asse Pola-Milano e... resto del mondo

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Gualtiero Mocenni: «Quello che ho voluto creare l’ho sempre fatto»
Gualtiero Mocenni con il suo primo quadro disegnato a 13 anni

Gualtiero Mocenni, pittore, incisore e sculture oggi taglia un traguardo importante. Nato a Pola il 6 febbraio 1935 in una giornata imbiancata dalla neve oggi festeggia il 90esimo compleanno. Lo farà in una cornice particolare, quella della Galleria-chiesa dei Sacri Cuori della Città dell’Arena insieme ai suoi amici e collaboratori. L’appuntamento è per mezzogiorno in punto. Per quest’occasione abbiamo deciso di fargli un’intervista proprio nei Sacri Cuori. A farci “compagnia” Bora, un cane di 7 mesi, un incrocio tra uno Spinone italiano e un Pastore tedesco.

La prima domanda è d’obbligo: novant’anni e non sentirli oppure?
“Novanta anni si sentono, altro che non sentirli. Ma si combatte e si vince. Ultimamente ho completato una scultura in pietra bianca d’Istria di 5 tonnellate quindi… È vero che l’ho fatta con l’aiuto del figlio Simone, ma non è che lui abbia fatto più di me, anzi. Quando ci mettiamo a fare qualcosa Simone e io si incrociano le forme della mia e della sua scultura. Come ad esempio la scultura nell’Art park di Verudella a Pola”.

Il contributo della e alla Città
Una vita la sua sull’asse Pola-Milano…
“Pola-Milano-Pola e… altre parti del mondo. A sud dell’equatore non sono mai andato, a oriente mi sono spinto fino al Golfo dell’Oman e a Dubai, a occidente fino in Messico a Guadalajara, la seconda città per grandezza del Messico, e a Seattle nello stato di Washington. A Pola ho vissuto fino al 1956, mentre Milano era la mia residenza fissa fino al 2020. Allora in piena pandemia da Covid siamo venuti a Pola per i nostri soliti tre mesi e ci siamo chiesti ‘Che cosa ci torniamo a fare a Milano?’. E abbiamo deciso di rimanere qui. La Città ci ha assegnato uno studio a Veruda e siamo rimasti a Pola. Vorrei sottolineare che qui la politica non è insensibile alla cultura. Gli attori politici sono stati benevoli nei miei confronti, d’altronde anch’io sono stato generoso con la città con tutte le sculture che ho fatto. Giorni fa Simone mi ha detto che se le mettessi una sopra l’altra sarebbero più alte dell’Obelisco di Washington. In questi giorni doneremo un quadro al fondo cittadino”.

In questa mostra espone anche il suo primo quadro realizzato all’età di 13 anni. Come le venne l’idea?
“Il discorso è molto semplice. Nel 1948 mia nonna Tonina aveva un orto e andava al mercato a vendere gli ortaggi. In quel periodo la ditta Aero di Celje aveva messo in vendita la prima scatoletta di colori ad acquerello. Volevo acquistarli, ma non avevo i soldi e allora li chiesi alla nonna la quale mi disse che gli acquerelli non mi servivano. Ero triste e allora mi feci prestare i colori ad acquerello da mio amico Mario Cocchietto e realizzai il quadro. Lo portai alla nonna che lo guardò per mezzo minuto e disse ‘È bello, eccoti i soldi per i colori’. Mario Cocchietto era un grande amico, anche lui viveva in via Giovia e con lui era un continuo scambio di vedute e sfide. È stato un grandissimo poeta e non è stato valorizzato per quanto riguarda la poesia. A mio modo di vedere la sua opera di poesia è di molto superiore a quella artistica”.

Gualtiero Mocenni e Bora davanti alla Galleria-chiesa dei Sacri Cuori

In Italia una nuova vita
Quando ha avuto la consapevolezza che sarebbe stato un artista?
“Vorrei dire che prima del quadro di cui sopra ne avevo fatto anche altri. Poi, quasi ventenne ebbi un incontro che si rivelò molto importante. Stavo andando al mare e mi fermai davanti al Teatro mezzo diroccato dove vidi due persone – che si rivelarono Vladimir Udatny e Berislav Deželić – che dipingevano dei manifesti su grandi pannelli di 3×2 metri per il Festival del film jugoslavo. Mi sono messo a guardarli quando mi hanno avvicinato chiedendomi ‘Non è che dipingi anche tu?’. Ho risposto di sì e allora mi dissero di portare domani qualcosa di mio. Ho portato un quadro e mi hanno preso. Poi Marijan Rotar mi aveva assunto nell’azienda che allora gestiva i cinema in città. Di seguito sono iniziati i primi problemi e giacché noi eravamo degli optanti Rotar fu costretto a licenziarmi. Poi dovevo andare a Sarajevo a lavorare per una Casa distributrice. Deželić, con il quale rimasi in contatto, mi disse di andare in Italia e dedicarmi alla pittura”.

E allora?
“E allora sono andato in Italia, in un campo profughi vicino ad Aversa mentre mia moglie era rimasta qui. Dopo un mese l’hanno chiamata e le hanno detto che in 24 ore doveva sparire da qui. Era la Vigilia di Natale del 1956 e lei non sapeva l’italiano, ma alla fine arrivò nel campo profughi. Ad Aversa ricevevamo 100 lire al giorno e allora sono andato in cerca di lavoro a Napoli. Un giorno mi fermai davanti alla sede del Comando delle forze americane e vi entrai. Mi presentai dicendo di arrivare da Pola in Jugoslavia, al che mi dissero che la Jugoslavia aveva grandi squadre di basket. Aggiunsi che anch’io ero un giocatore di pallacanestro. Giocai dal 1952 al 1956 nella squadra che si chiamava Istra e per la quale giocava, tra gli altri, anche l’architetto Krizmanić. Non ricordo in che grado di competizione giocavamo ma so che affrontavamo le squadre di Fiume, Zara, Zagabria e l’Olimpija di Lubiana. Ebbene, ad Aversa mi affidarono il compito di fare l’allenatore della nazionale italiana dell’Aeronautica. Dove ci allenavamo? Niente meno che nell’imponente Reggia di Caserta. Comunque non ho fatto neanche una partita alla guida della squadra. In fin dei conti ero venuto in Italia per fare il pittore e decisi di dirigermi verso il nord”.

Dove?
“Raggiunsi i miei genitori che erano in un campo profughi a Firenze. Un mio amico mi chiese se volevo venire a Firenze a realizzare i grandi manifesti per un cinema. ‘Certo che ci vengo’, ho pensato e passai da una paga da 100 lire al giorno alle 100mila al mese. Però a fine settembre il Conte Nicolini, titolare del cinema per i quali facevo i manifesti, mi disse che era ora di chiudere in quanto si trattava di un cinema all’aperto e che ci saremmo rivisti a giugno dell’anno prossimo. E allora mi trasferii a Milano da mio amico Vittorio Bucconi. Presi la guida telefonica e cercai le sedi delle agenzie pubblicitarie o poi con la pianta di Milano in mano andavo da porta a porta. A parole tutti erano disponibili e dissero che mi avrebbero richiamato. Alla fine arrivai in un’agenzia gestita dal cugino di Nilde Iotti, deputata alla Camera italiana dove mi dissero di ripassare tre giorni dopo. Io intanto andai avanti a cercare lavoro e lo trovai. Una settimana dopo ricevetti una lettera del signor Iotti che mi scrisse come la sua stima verso gli istriani stesse scadendo. Tornai da lui che mi chiese quanto prendevo di stipendio, gli risposi che prendevo 100mila lire al mese. ‘Se viene da me gliene do 150mila’. Gli risposi ‘Domani sono qua’”.

Passione per la scultura
Qual è stato il suo periodo più prolifico?
“Trovata la sicurezza di un posto di lavoro ho potuto dedicarmi alla pittura. Di giorno lavoravo, la sera e la domenica dipingevo quadri. Sono andato avanti così per diversi anni fino a quando venni contattato da un gallerista che aveva sentito parlare delle mie opere e iniziai a partecipare a mostre collettive e a concorsi nazionali. All’epoca non mi dedicavo ancora alla scultura. La prima scultura la feci nel 1975 per un amico: si trattava di un’opera in legno alta due metri che avevamo impacchettato nei sacchi per l’immondizia. Poi arrivarono gli inviti ai simposi e mi dedicai sempre di più alla scultura”.

Qualche sogno nel cassetto c’è l’ha ancora?
“Quello che ho voluto creare l’ho sempre fatto. Se quanto fatto non corrispondeva a quello che avevo pensato finiva il discorso. Ecco questo ciclo di Ugarit mi appassiona ancora moltissimo”.

C’è qualche scultura o monumento che la rende particolarmente orgoglioso?
“Una delle mie gioie più grandi è il monumento a Monteparadiso a Pola che ha seguito un iter lunghissimo dal 1976 al 1979. Recentemente hanno voluto spostarlo di qualche metro per la costruzione di una rotatoria, ma a mio avviso poteva liberamente rimanere lì dov’era. Comunque questo era un mio regalo alla Città di Pola e vorrei anche ringraziare le autorità politiche di allora”.

Da decenni ormai la sua fissa dimora estiva è lo stabilimento balneare di Stoia dove da poco è iniziato il recupero…
“Con Stoia c’è un legame che potrei definire ombelicale sviluppato prima con mio padre e poi con i figli. Anche se da giovani sceglievamo sempre un altro posto dove tuffarsi in mare, dal Rosso di Valsaline, al Bianco, a Valovine e a Valcane con il famoso trampolino. Ma Stoia è Stoia, vi abbiamo una cabina dagli anni 1962/1963 quando avevo iniziato a venire regolarmente a Stoia. Ora c’è un progetto di inserirvi una mia scultura una volta finito il restauro”.

La mappa del mondo con indicate le città dove ci sono le opere di Gualtiero Mocenni

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