Gli artisti di strada nel passato di Fiume

Dalle righe di «Folklore fiumano» di Riccardo Gigante emerge un mondo antico, ingenuo, commovente, «felliniano» che fa pensare a un’epoca in cui la vita scorreva più tranquilla

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Gli artisti di strada nel passato di Fiume

Le città d’Europa, specie quelle di mare, con l’approssimarsi della stagione estiva cercano di recuperare un’atmosfera cittadina più leggera, una dimensione ludica e spensierata, ingaggiando uno stuolo di artisti di strada; i quali, non di rado, sono dei professionisti.
Nei tempi andati, in cui non c’erano il cinema, i media tecnologici, una quantità di ritrovi accessibili alla popolazione di massa, le persone si inventavano il divertimento (e i mestieri) unendo il dilettevole all’utile, andando ad allietare la gente con le loro arti e abilità.
Come tante città europee, anche Fiume nel passato era spesso popolata da artisti di strada “genuini”, personaggi particolari che facevano la gioia dei bimbi e del popolino; “pajazzi” (pagliacci), circhi più o meno improvvisati, suonatori, cantanti, prestigiatori, chiromanti, commedianti, incantatori di serpenti, giocolieri girovaghi e quant’altro.
Leggendo le righe di “Folklore fiumano” di Riccardo Gigante, nella nostra immaginazione emerge tutto un mondo antico, ingenuo, commovente, “felliniano”, che ci fa pensare con tenerezza alla città sul Quarnero, quando la vita scorreva più calma, spontanea e umana.
Questi strani personaggi sono stati fonte d’ispirazione pure per la grande arte. Ricorderemo “La famiglia di saltimbanchi” di Picasso, l’opera di Leoncavallo “Pagliacci”, l’“Arlecchino” di Venucci, le scene circensi immortalate da tanti pittori e poeti…
Artisti di strada
I “pajazzi” venivano a coppie o a piccole comitive. Questi miseri saltimbanchi vestivano da “Purzinela” e da “Pierrotte” e su un tappeto steso sul lastrico di Piazza Scarpa o accanto agli alberi della Fiumara, recitavano brevi commediole, pantomime, iniziando poi giochi di prestigio e d’equilibrio.
Anche “el bussulotier” (prestigiatore), da solo o accompagnato da un “compare” che si confondeva tra il pubblico, dava spettacolo nella solita Piazza Scarpa o in qualche “piazeta de zitavecia”. Raramente il funambolo, “el balarin de corda”, si presentava solo al pubblico. Di solito era una coppia, uomo e donna, che dopo aver dato spettacolo di giochi d’equilibrio stendevano la fune fra due case e iniziavano la passeggiata aerea dai due capi incontrandosi al centro dove si profondevano in inchini, facendo lazzi e moine.
Uno spettacolo d’eccezione, mal tollerato dal pubblico che ne provava ribrezzo era quello dell’“incantabisse” (incantatore di serpenti). Indossava sul vestito un mantello all’orientale, si cingeva i fianchi con una larga sciarpa e si metteva in capo un turbante, poi dato fiato a un piffero, faceva uscire da una gabbia o da un canestro degli innocui e torpidi serpenti che strisciavano verso di lui, drizzandosi e aggrovigliandosi ai suoi suoni.
«Ringhespil» e circhi
Altri spettacoli e divertimenti si davano “in Scojeto” (Scoglietto) ch’era allora un’amenissima passeggiata, fresca e ombrosa per i folti platani. Vi piantavano la tenda i circhi equestri e i “ringhespil“, le giostre, chiamati così dal tedesco “Ringelspiel”, perché questo divertimento era stato introdotto a Fiume da tedeschi. Si saliva sulla berlina, sui capricorni, sui cavallucci e sulle sirene, girando fino allo stordimento. Qualcuno si guadagnava un giro gratuito colpendo con uno stile il centro d’un bersaglio.
Infine, la passeggiata di un elefante per il Corso e la Fiumara annunciava l’arrivo d’un “serajo” allo Scoglietto. Erano miseri serragli composti da pochi esemplari di belve: l’immancabile elefante, un malinconico leone, una fetente iena, un irrequieto leopardo, un’aquila sonnolenta, alcuni striduli pappagalli, un serpente boa sempre addormentato, qualche petulante scimmia e la foca ammaestrata che, a dire del domatore, e secondo della nostra credulità di ragazzi, spiccicava la parola mamma e diceva sì e no. Al comando: “Mostra la pancia a questi signori!” la foca si adagiava supina sbattendo le pinne sull’addome.
Cammelli e dromedari
Gli “zingari” venivano a comitive, uomini e donne, e fermatisi in una piazza (Piazza Scarpa, Fondi Palese, Piazza dello Stajo) vi stendevano dei tappeti. Su uno una fanciulla ballava graziosamente agitando “el tanbalàss” (tamburello) al suono d’un violino che dava il ritmo alla danza; su un altro una zingara accoccolata prediceva la sorte studiando le linee della mano; su un altro ancora una vecchia “butava le carte”.
Uno spettacolo ammiratissimo offriva la comparsa del girovago che si trascinava dietro un cammello e un dromedario. Si fermava in Piazza Scarpa e incominciava col far camminare in cerchio i due, quindi faceva inginocchiare i due bestioni e con due soldi si poteva salirvi sul dorso compiendo due giri.
Orsi ammaestrati

L’orso ballerino

Ricorda il Gigante: “Scendendo dal cammello ci sentivamo eroi degni dell’ammirazione dell’intera città. Con un anello sul naso, invece, l’orso ammaestrato seguiva o precedeva il montanaro croato che sostava anch’egli in Piazza Scarpa a dare spettacolo. Al suono di una nenia l’orso s’attaccava ad un bastone e iniziava una goffa danza, resa più celere dall’incitazione: “Tànzai, mede, tànzai!” (Balla, orso, balla!) Poi seguivano gli altri numeri del programma: il saluto militare, la salita di una scala, la bevuta di latte ecc. Infine, l’orso stendeva la zampa in segno di congedo e i più arditi osavano toccargliela”.
Graditissimo al popolino era lo spettacolo dato dai cani barboncini ammaestrati. A seconda della capacità economica dell’”impresario” erano due, quattro e perfino sei. Talvolta eseguivano delle vere pantomime, con indosso “velade” e calzoncini, gonne e cappellini, sgargianti uniformi militari.
Marionettisti e suonatori

I marionettisti

Non mancavano i “mariunetisti”, che piantavano la tenda circolare “in Scojeto” o in Piazza Scarpa obbligando così gli spettatori a pagare l’ingresso. Chi voleva godersi seduto lo spettacolo pagava un supplemento. Il pubblico accorreva e i posti erano esauriti a ogni recita. Oltre al solito repertorio marionettistico, si recitavano “istorie de Orlando” e perfino riduzioni di commedie goldoniane. I pupazzi che apparivano sulla scena erano “el re”, la “regina”, “el stroligo” (mago), “el guerier” (Orlando), “la donzek “, la fata, “el diavolo”.
Non mancavano le maschere della Commedia dell’arte: ”Arlechin Batocio”, Brighella “Fracanapa”, “Pantalon”, “Tartaja”, “Colonbina” e “Rosaura”. II burattinaio faceva parlare il veneto a tutti i suoi finti artisti.
Gli zampognari abbruzzesi
Il suonatore di “ludro” (cornamusa) e il suo compagno pifferaio erano di solito abruzzesi vestiti del loro costume regionale e in qualunque stagione avvolti nel loro lacero mantello. Scrive Gigante: “Si fermavano nei crocicchi suonando le loro canzoni (quella di Natale anche d’estate) e talvolta il pifferaio cantava accompagnato dalla cornamusa. Ricordo, per la forte impressione provata la prima volta che udii cantare gli abbruzzesi, l’inizio d’un canto di Natale: “La notte di Natale è notte sante, Patte, Fijjole e Spirde Sante!”
C’era poi il “musicante universal”, il girovago che suonava simultaneamente la fisarmonica, il clarinetto, con intermezzi di zampogna, un tamburo attaccato alla schiena e munito di piatti, triangolo e mazza che egli azionava con il piede collegato alla batteria con delle funicelle. In capo portava una specie d’elmo siamese d’ottone con tanti sonagliuzzi ch’egli faceva tintinnare scuotendo il capo.
«Tronbin» e «tronbon»
Giungevano talvolta a Fiume, per suonare le marce in uso nell’esercito austriaco, gruppi di quattro boemi suonatori di strumenti a fiato: due trombe, un “tronbin” e un “tronbon”.Di solito erano militari congedati, già componenti di bande reggimentali e avevano grande successo tra il popolino.
Un altro “artista di strada”, “el sonador de sviréla” (piffero) era un montanaro croato, vestito del suo costume nazionale bianco con ricami variopinti. Portava sulla schiena una piccola gerla piena dei suoi pifferi che vendeva per pochi soldi.
“El cantante de strada” si fermava agli angoli delle strade o entrava nei cortili a cantare canzoni in voga accompagnandosi con la chitarra.
I cantastorie

Il funambolo in bicicletta

Di cantastorie ve n’erano due specie: quelli veri e propri, veneti o napoletani, che declamavano, con gestire caricato, le “istorie de Orlando”, e altri, abitualmente due, un suonatore di violino e un cantore che cantava, stonando atrocemente, romanze e canzonette, vendendone poi il testo stampato su foglietti multicolori. Di solito iniziavano il “concerto vocale e strumentale” con un invito rivolto a sé stessi cantato sull’aria del “Perigordino” del “Rigoletto”. Gigante ne ricorda i due primi versi: ”Avanti, coi guanti! signori musicanti… “. Quando si fermavano sulle strade, dove le botteghe erano numerose, finito di cantare, facevano appello alle offerte cantando: “Signori negozianti, allegri tutti quanti, allegro tutto il popolo, denari in quantità!”
Che mondo! Sembra un sogno, anzi, una favola, lontana da noi anni luce, della quale, però, conservare affettuosa memoria.

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