Giornalismo tradizionale: un ruolo insostituibile

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Giornalismo tradizionale: un ruolo insostituibile

Il giornalismo e soprattutto la carta stampata si trovano ad affrontare di questi tempi grandi sfide. La concorrenza delle reti social ha messo in crisi un po’ dappertutto il mondo dell’informazione tradizionale, costringendolo a riflettere sulla sua valenza in un’epoca convulsa e zeppa di contraddizioni. Non sono mancati coloro che hanno lanciato una sorta di crociata contro il giornalismo istituzionalizzato, forti anche del consenso ottenuto con campagne efficaci realizzate sulle reti globali. Oggi i leader che vanno per la maggiore spesso si rivolgono infatti direttamente al pubblico grazie ai social, non hanno più bisogno o meglio ritengono a volte di non avere più la necessità dell’intermediazione di un giornalismo serio, ponderato, riflessivo. Ma le loro posizioni, in un simile contesto, rischiano a loro volta di finire, senza che vi sia una cernita a monte, nel calderone globale, in cui vince chi grida più forte, chi lancia notizie scandalistiche a raffica. Ecco che proprio il proliferare della politica e dell’informazione sui social serve per ricordare e ribadire il ruolo insostituibile del giornalismo tradizionale. Anche di quello all’estero e di quello minoritario, la cui valenza nei rispettivi contesti è ancora maggiore.

Comune denominatore

Valerio De Paoli, che a Stoccolma dirige il trimestrale della FAIS – Federazione delle Associazioni Italiane in Svezia – “Il Lavoratore”, ricorda in questo contesto di aver avuto modo di partecipare al sesto congresso della Federazione Unitaria della Stampa Italiana all’Estero (FUSIE), dove erano presenti moltissime testate italiane provenienti da tutto il mondo: “Nonostante tutte le testate venissero da luoghi molto diversi fra loro e con differenti background storico culturali, c’era un minimo comune denominatore e non si tratta della lingua italiana, che unisce tutti, ma del bisogno di rimodernarsi, adeguarsi alle nuove generazioni di italiani, senza però dimenticare i tanti lettori storici che non hanno la voglia o la possibilità di sondare nuovi modi di fare informazione, ci si riferisce per lo più all’uso dei social o in generale Internet. In poche parole, evolversi senza tradire la propria identità”.

Al passo con i tempi

Sia pure riferite alla realtà dell’emigrazione, sostanzialmente diversa rispetto a quella di una minoranza autoctona, le valutazioni di Valerio De Paoli assumono una valenza particolare anche per la stampa minoritaria in genere, pure interessata per molti versi da quelle che sono le sfide che si trova ad affrontare il variegato e peculiare mondo dell’editoria italiana all’estero: “Certo a parole sembra facile, ma quello che spesso, troppo spesso, passa in secondo piano, quando si parla di stampa italiana all’estero, è la sua importanza. Questo vale per tutti i giornali, tant’è che questa tematica, la dignità della stampa italiana all’estero, è emersa anche nel congresso.

Testate italiane all’estero

Andando per gradi, cosa è un giornale italiano all’estero? Che importanza ha? Serve? Alla prima domanda, la risposta pratica è: un giornale in lingua italiana in un altro Paese. La risposta più completa invece è che non sono soltanto un mucchio di pagine stampate da un’associazione, è un collegamento con la Nazione Madre, è una realtà che dà lavoro a persone, in alcuni casi molte persone, è un impegno a dare una visione dell’Italia migliore all’estero, e di coinvolgere i cittadini italiani fuori dal confine sia per quel che riguarda l’Italia e sia per quel che riguarda la nazione dove risiedono. Alla seconda domanda si può rispondere che un giornale italiano all’estero può essere un ottimo modo per veicolare informazioni ufficiali, come avvisi e notizie provenienti dall’Ambasciata e dai Consolati. Si potrebbe dire che per queste cose esiste già Internet e che tali informazioni sono reperibili anche e soprattutto da lì. Niente di più vero, ma è anche vero che Internet è un crogiolo di notizie, fatti, fantasie e bufale che, se non si sa come usarlo bene, può completamente fuorviare il lettore, che rischia di prendere per serie notizie spesso veicolate da propaganda spicciola o generalmente facile populismo. Per Internet poi è sempre valido quello che diceva Pasolini riguardo alla televisione ai suoi albori, ossia che chiunque fosse stato trasmesso su una di esse avrebbe goduto di una autorità solo per il fatto di essere andato in TV. La stessa cosa succede su Internet: la gente prende per buone notizie che sono in realtà bufale o magari tristi tentativi di cambiare l’opinione pubblica, la fake news fa parte di tante strategie atte proprio a veicolare il pensiero delle masse, semplicemente perché sono virali. Un giornale non è facebook, youtube et similia, quelli sono contenitori dove chiunque può far sembrare vera qualsiasi cosa e passarla più o meno liscia. Un giornale, la stampa quella seria, ha la responsabilità di dare sempre la garanzia della notizia pubblicata. Alla terza domanda, la più brutale, la risposta è sì, serve non solo per riportare notizie, ma anche per collegare le realtà del Paese dove viene stampato e la comunità italiana, serve per non rimanere dispersi nel mondo, per sentirsi ancora in qualche modo italiani. Certo è che se non ci si mette al passo con i tempi, purtroppo la propria importanza viene superata da questi nuovi modi ‘facili’ di ottenere notizie, questo però è un problema delle testate giornalistiche di tutto il mondo e di tutte le categorie. Ai posteri l’ardua sentenza”.

Vivacità culturale

In tutte le società un sistema di attività culturali vivace, libero, indipendente e pluralista è una garanzia indispensabile per la tutela della libertà di pensiero e della democrazia. Bisogna riaffermare il valore della cultura, dell’arte, dello spettacolo e dell’istruzione come beni comuni che arricchiscono, anche senza ritorni immediati, la vita di una comunità e di una nazione. Questo vale soprattutto per una comunità minoritaria il cui strumento più forte per farsi valere e conoscere è proprio quello della cultura. Non per niente spesso sono le minoranze quelle che presentano in una società la maggiore vivacità culturale. E oseremmo dire questo è anche il caso della CNI.
Spesso le comunità nazionali devono fare i conti con valutazioni superficiali e scandalistiche da parte delle rispettive maggioranze. In questi casi la cultura ha un valore di bene pubblico da coltivare e incrementare con interventi seri e approfonditi che rifuggano le sciagurate deformazioni di una “comunicazione” facile, volta a conquistare il consenso immediato. La cultura, lo spettacolo, l’istruzione lavorano sul profondo e sul lungo periodo; sono una delle fondamenta su cui si costruisce il futuro di una collettività. Ovviamente devono mantenere nel tempo una grande capacità di flessibilità e adattamento per non essere superate dagli eventi.

Libertà di stampa

Una cosa appare certa. Il giornalismo tradizionale ha eccome il suo posto nella società a prescindere dalla diffusione dei nuovi media. Non per niente il Presidente italiano Sergio Mattarella da qualche tempo coglie ogni pubblica occasione per inserire nei suoi discorsi passaggi in cui afferma che la libertà di stampa è sancita dalla Costituzione, che è irrinunciabile, che è condizione necessaria nonché fondamento della democrazia, che è veicolo di valori, che fuori d’Italia è anche strumento di promozione della lingua e del sistema Paese. Sul binomio informazione-comunicazione si sofferma su “La Rivista”, mensile edito a Zurigo, Giangi Cretti che rileva: “Dato per scontato che il Capo dello Stato non è asservito gregario di una strategia mediatica secondo la quale una menzogna (fake news?) reiterata con metodo alla fine diventa verità, è lecito chiedersi quale sia la preoccupazione che emerge da quello che ha assunto la ridondanza di un mantra. Immediato ed automatico ipotizzare che anche lui tema che la libertà di stampa, in Italia (ma non solo) sia oggi seriamente minacciata”. Siamo in presenza, evidenzia Cretti, di una sorta di realtà, anzi di un futuro, che qualcuno vorrebbe già presente, “dove il pluralismo delle idee è garantito da una sorta di autoalimentazione resa possibile dal web. Dove i giornalisti non servono più, perché tutti noi lo siamo diventati. Dove, grazie alle nuove tecnologie, l’informazione, soprattutto quella presunta tale, viaggia bulimica e incontrollata in tempo reale. Dove un semplice cinguettio, pardon un tweet, ormai atteso con ansia quotidiana, ridisegna la geopolitica, definisce la parabola dello spread, governa (dis)orientandole masse rumoreggianti ma, in quanto deluse, disponibili e plaudenti.
Un futuro dove, Hic et nunc, trionfa la cultura dell’istantaneità. Condannata l’attesa (la pausa di riflessione?) come antidoto all’imperativo (im)morale della massima efficienza. Fine dell’intermediazione di qualsivoglia professionista: fors’anche esperto è certamente prezzolato. Attori tutti, di una finzione spacciata per democrazia diretta: colpevolmente inconsapevoli che, nel caso specifico, pochi la dirigono e molti la seguono. Followers, appunto. Un futuro, per fortuna non già presente, che prospetta un Paese laico, in cui dubitare è (era?) lecito e il dissenso, per quanto talvolta fastidioso, è (era?) un valore, trasformato in un Paese che si misura sul numero di like. Un presente, che si vorrebbe già futuro, in cui non c’è posto per chi pensa che il giornalismo sia necessario per dare un senso ai ‘rumori’ dell’attualità, per chi pensa che l’informazione meriti di essere plurale. Un presente, che non crediamo diventerà futuro, per chi pensa che pensare sia un diritto prima ancora che un dovere e viceversa”.

Un pubblico fluido

Per far comprendere a quali pericoli si possa andare incontro qualcuno ha fatto un esperimento su Instagram con un suo amico. Ebbene l’amico ha mandato messaggi seri, pieni di informazioni esatte e appelli al buonsenso. Lui invece ha costruito un sito totalmente demenziale, con notizie incredibili, animali mostruosi, posti immaginari, disegnini, foto scopiazzate un po’ dappertutto, frasi prive di senso. Risultato: in un mese il suo account fasullo ha raccolto migliaia di followers, quello dell’amico poche centinaia. L’esperimento conferma che oggi sul web ha successo tutto ciò che è irrazionale e inatteso. Non c’è spazio per la riflessione, lo studio, l’approfondimento. Di certo il web ha immesso nella sfera della comunicazione politica masse che fino ad ora ne erano escluse come gli adolescenti, gli indifferenti, coloro che ignoravano del tutto la complessità dell’economia, del governo, della politica. Dominato da questo pubblico fluido, il web ha quasi ucciso il pensiero concettuale, l’argomentazione, la riflessione e messo fuori mercato i giornali, la grande letteratura, il grande cinema, per lasciare posto a siti in cui si scambiano emozioni, battute, insulti. La speranza è che dopo un periodo dominato dalle chiacchiere e dall’impulso, ci sia una reazione intellettuale e tornino ad affermarsi la lettura e la riflessione ponderata, razionale, il sapere.

Il rischio delle fake news

Ci sono diverse tipologie di fake news, sottolineano gli analisti. Alcune sono così pacchiane, così palesemente infondate che uno pensa: solo un gonzo può prenderle sul serio. Salvo poi scoprire che, invece, hanno ricevuto migliaia di condivisioni nella rete. E questo induce a riflettere, più che sui meccanismi dell’informazione, su cosa resta della capacità critica dell’opinione pubblica. Davvero quando non si crede più a niente si rischia di credere a tutto! Ci sono poi le fake news più organizzate, quelle che mescolano elementi veri ed elementi falsi, una manipolazione della realtà per fini di propaganda, per influenzare in modo subdolo l’opinione pubblica. Il profilo comune di queste fake è la loro natura mimetica, cioè la capacità di apparire plausibili. Come ha scritto il Papa in un suo messaggio dedicato proprio a questo tema, si tratta allora di smascherare la “logica del serpente, capace ovunque di camuffarsi e di mordere”.

Forza e debolezza

La forza della rete social è sì il suo carattere democratico, ma questa è anche la sua debolezza perché chiunque – anche chi è malintenzionato – può mettere in circolazione falsi senza dover rendere conto a nessuno. L’unica vera difesa contro le fake news è uno spirito critico da far crescere tra la gente. Il paradosso del mondo contemporaneo è che a volte non si crede più a ogni forma d’informazione proveniente dal grande ‘media system’, sia televisivo sia della carta stampata, e spesso con buone ragioni. Ma si finisce per essere creduloni rispetto ad ogni cosa che circola nella rete con la parvenza di una contro informazione. Per tale motivo spetta alla stampa “istituzionalizzata” il compito di smascherare le fake news e di garantire la necessaria credibilità al mondo dell’informazione, per evitare che prevalga lo scandalismo fine a sé stesso, che alla fin fine danneggia anche la democrazia e il pluralismo.

La difesa della tolleranza

Infine, non bisogna dimenticare che uno dei compiti della stampa all’estero e di quella minoritaria in questo contesto è quello di difendere i valori della tolleranza: giacché chi vive in un Paese che non è la Nazione Madre, pur essendo autoctono, deve sempre fare i conti con possibili reazioni di rigetto da parte di chi non è informato a dovere sulla realtà pluriculturale di determinati territori o respinge a priori tale realtà. Il giornalismo in simili situazioni si presenta come un artefice di serena convivenza sociale. Potremmo definirlo anche come un “giornalismo di pace”, in linea con una definizione che oggi prende piede a livello globale. Sì, ci dev’essere un simile giornalismo, in quanto l’informazione, manipolata, è sempre più spesso un’arma di propaganda utilizzata per giustificare conflitti e tensioni alimentate ad arte. Oggi viviamo in un’epoca in cui i populismi la fanno da padroni. Non essendo movimenti strutturati a conduzione unitaria sia il populismo sia i populismi sono privi di vita propria, esistono soltanto se accompagnati da un progetto politico e da uno strumento idoneo che ne consenta l’applicazione concreta. Lo strumento è la paura, la paura si alimenta agitando lo spauracchio del diverso. Non ha alcun senso dissertare di populismo laddove si prescinda dalla paura, dall’insicurezza. Che certo sono spesso reali e di cui bisogna tenere conto. Ma senza illudere la gente e l’opinione pubblica che vi siano soluzioni facili dietro l’angolo per problemi complessi.

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