Fiume tra storia, identità e multiculturalismo

Sabato prossimo debutta a Palazzo Modello, sede della CI di Fiume, la pièce del Dramma Italiano dello «Zajc» che descrive il capoluogo quarnerino quale città della convivenza e della mescolanza. Per scoprire i retroscena del progetto, abbiamo incontrato i primi due autori, Mirko Soldano e Vanni D'Alessio

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Fiume tra storia, identità e multiculturalismo
Vanni D’Alessio. Foto: RONI BRMALJ

Il sipario sta per alzarsi su un evento che si preannuncia originale e coinvolgente, come sottolineato dagli stessi autori. Sabato 15 marzo, presso la Comunità degli Italiani di Fiume (ore 19.30), debutterà lo spettacolo del Dramma Italiano “Fiumani: europei per tradizione e un po’ per forza” (in scena: Aurora Cimino, Giuseppe Nicodemo, Andrea Tich, Jan D’Alessio, Sandro Ferletta, Dorian Mataija, Vanni D’Alessio, e Filip Jeglinski), la cui elaborazione drammaturgica, firmata dal direttore f.f. del Dramma Italiano, Mirko Soldano, insieme al professor Vanni D’Alessio e a Filip Jeglinski, promette di catturare il pubblico con una trama ricca di spunti e considerazioni. Per scoprire i retroscena di questo particolare progetto, abbiamo incontrato i primi due autori, che hanno condiviso le loro riflessioni, rivelando come lo stesso intenda condurre il pubblico attraverso un viaggio che sarà al contempo storico, filosofico ed emotivo. Considerato il carattere unico dell’idea, non potevamo non chiedere loro come fosse nata questa intuizione così insolita.

Mirko Soldano. Foto Goran Žiković

Uno spettacolo-lezione
Mirko: “Visto l’interesse riscosso dal Teatro filosofico guidato da Srećko Horvat, ho proposto alla sovrintendente del Teatro Nazionale Croato ‘Ivan de Zajc’, Dubravka Vrgoč, di realizzare uno spettacolo-lezione anche in seno al Dramma Italiano, coinvolgendo i nostri storici, filosofi e altri connazionali. In quel periodo seguivo con interesse le riflessioni di Galimberti e Guzzi sulla rivoluzione culturale in Europa, mentre quest’ultima mi stava dando non poche delusioni. Il titolo mi venne in mente subito. Decisi di parlarne con Vanni, che accolse l’idea con entusiasmo, e così nacque tutto”.
Vanni: “Ho accettato di lavorare al testo con Mirko perché l’idea sull’umanità e sull’Europa era già presente, così come una riflessione filosofica, sociologica, sociale su questi temi, di cui mi occupo abitualmente. Nella prima fase del lavoro, prima dell’ingresso di Filip, ci siamo confrontati su questi aspetti: Mirko mi ha inviato alcune proposte, e io, oltre a suggerire delle letture, gli ho mandato un mio manoscritto inedito basato su studi recenti, che hanno fornito il supporto per la lezione-spettacolo. Trattandosi di un testo aperto, diverso da un’opera teatrale tradizionale, se il progetto proseguirà, come spero, esso continuerà a evolversi. Un po’ come il teatro di altri tempi e delle lezioni universitarie di sempre, entrambi radicati nei flussi storici e sociali sia di chi scriveva che di chi narrava, sul piano teatrale e storico. La pièce include anche un riferimento sull’unicità di Fiume, pur mettendola in relazione con altre città dalla storia simile. I fiumani spesso si sentono gli unici ad avere attraversato sette confini, sette bandiere, sette comunità, ma in realtà esistono molti altri luoghi con vicende analoghe. Citiamo, ad esempio Teschen (situata tra Polonia, Cecoslovacchia e Ungheria), Leopoli, Bratislava e altre città, tutte accomunate dal loro essere parte di un’Europa multietnica e multiculturale. Ognuna possiede una propria specificità e porta con sé un’idea di eredità culturale – quella dell’Europa di fine Ottocento e inizio Novecento, mista e multiculturale – che è stata frammentata dagli Stati nazionali, creando una divisione netta e rigida nelle appartenenze. Ciò che cerchiamo di trasmettere con questo progetto è un discorso sulle appartenenze condivise, non solo a determinati luoghi ma anche a certe modalità di vivere lo spazio comune. In quanto parte della storia, non si può ignorare il conflitto, ma vogliamo evidenziare come, spesso, coloro che si separano siano in realtà molto più vicini di quanto credano. Un esempio emblematico è la famiglia Harasim, di cui facevano parte Richard e Leopoldo Lenac, cugini e fratellastri, ma comunque parte della stessa storia familiare. La loro vicenda esprime perfettamente questa realtà”.

Vi è nel titolo della pièce un pizzico di provocazione?
Vanni: “In effetti, l’obiettivo è riportare il discorso alla vera natura della fiumanità, che è un’identità europea, non qualcosa di avulso dal contesto storico. Dipende sempre dal punto di vista della narrazione: i fiumani non sono spettatori passivi, bensì parte attiva di un quadro che viene definito anche da chi racconta la storia. Quando all’Ateneo di Napoli seguivo le tesi di laurea su Fiume, era incredibile notare come studenti con background diversi, napoletani e fiumani, attingessero a storiografie differenti, finendo per raccontare due storie completamente opposte. Anche oggi, i croati si vantano di leggere e comprendere le fonti italiane, mentre gli italiani tendono a farlo meno, come ad esempio il lavoro di Raoul Pupo, il quale ha raccontato il capoluogo quarnerino vedendolo come una sorta di ‘cugino’ di Trieste. Ma esso è qualcosa di diverso e deve emergere per ciò che è realmente, non per la sua somiglianza con altre città. Trieste ha una storia propria, segnata dalla separazione tra i suoi gruppi, mentre Fiume è sempre stata la città della convivenza e della mescolanza”.
Mirko: “La domanda che mi sono posto è – ‘Che cosa caratterizza l’Europa oggi?’ È il multilinguismo, il plurilinguismo, il multiculturalismo? È la circolazione delle merci e delle persone? È l’Europa della sovrapposizione di policy, in cui ogni Stato ha la sua autonomia, ma vi è anche un Parlamento europeo? Partendo da queste riflessioni, ho cercato di capire se una città come Fiume conservasse ancora oggi queste caratteristiche. Su tale struttura si è costruita la selezione dei brani e la linea narrativa dello spettacolo. Vedremo quindi la città sotto l’Impero austro-ungarico, quando si attraversavano due Stati senza difficoltà, senza dogane né controlli, con la libera circolazione di merci e persone, e in cui il multilinguismo era la normalità quotidiana. L’idea centrale del progetto è che Fiume fosse già allora una sorta di ‘Europa ante litteram’, ben prima dei trattati commerciali sull’acciaio e sul carbone su cui si è fondata l’Unione Europea. Questa è la chiave di lettura”.

Il Porto della diversità… Ma può esserlo in un momento di confini così rigidi?
Vanni: “Deve esserlo e lo è nella vita quotidiana. Chi vive la città accoglie naturalmente la componente croata e tutte le altre identità che la compongono. È arrivato il momento di superare la distinzione netta tra ‘fiumani’ e ‘riječani’: non sono due entità separate e lontane, bensì vivono sotto lo stesso cielo, come due ombrelli che in parte si sovrappongono e condividono spazi comuni”.

Un giornalista alla ricerca della CEC
Cosa accade dal punto di vista drammaturgico?
Mirko: “L’idea è di portare in scena una lezione di storia, narrata da Vanni come se fosse in un’aula universitaria, con gli attori che leggono documenti storici, testi letterari, lettere. Ho imparato da lui che si possono raccogliere frammenti da qualsiasi fonte – un articolo di giornale, un romanzo – e trovarvi connessioni significative, analizzandoli con il giusto contesto. La nostra intenzione è di portare sul palco una lezione che, oltre a informare, giochi anche con il tempo e la narrazione, creando un distacco ironico dal presente per rendere il tutto più dinamico e coinvolgente. Perciò abbiamo pensato a una cornice drammaturgica particolare: un giornalista, in stile beckettiano, è alla ricerca di una Capitale europea della Cultura. Crede di dirigersi a Gorizia per GO! 2025, ma una serie di equivoci (riceve una brochure sbagliata, non trova la strada, ecc.) lo porta a Fiume. Arrivato con aspettative e preconcetti, si rende conto di essere in un luogo diverso da quello che immaginava. Qui inizia la sua indagine, che lo porta a Tersatto, la cittadella della cultura e del sapere. Inizialmente scettico, si ritrova in un’aula universitaria dove il professor D’Alessio tiene una lezione intitolata ‘Fiumani: europei per tradizione e un po’ per forza’. Per aggiungere un elemento teatrale, ho immaginato il docente affetto da prosopagnosia (l’incapacità di riconoscere i volti), permettendo così agli attori di giocare su identità multiple. In questo modo, lo spettacolo diventa anche un gioco sulla percezione e sulla fluidità delle appartenenze”.
Vanni: “In seno alla stessa parliamo di intellettuali quali Nikola Petković, Irvin Lukežić (per me un faro), Velid Đekić, i quali hanno espresso un pensiero, hanno raccontato la città, come pure altri del passato, tra cui Fabrio, Harasim (Gemma Harasim è un altro modello), Ladislao Mittner, Nikola Polić, Osvaldo Ramous, che hanno dato un contributo di conoscenza alla stessa. In tale contesto, nel redigere il testo, ci siamo avvalsi del contributo di Filip, uno studente polacco che studia letteratura a Fiume, con cui abbiamo effettuato una cernita di brani, intorno ai quali abbiamo costruito lo spettacolo”.

Lo spaesamento del giornalista rispetto alla narrazione storica che conosciamo è voluto? È un messaggio?
Vanni: “Il senso di spaesamento che emerge è quello di chi arriva in una città senza conoscerla, senza riuscire a percepire la complessità dei suoi strati sovrapposti nel corso del tempo. Questa persona ha bisogno di una guida, qualcuno che lo aiuti a orientarsi nel labirinto di storie e culture. Il nostro obiettivo è offrire uno sguardo poliedrico e impressionista, attraverso elementi che sottolineano la concretezza della multiculturalità”.

Un’identità trovata nella città d’adozione
Vi è anche una forte volontà di restituire il plurilinguismo della città, giusto?
Vanni: “Assolutamente. Ho insistito molto sul fatto che siano presenti nel testo sia l’italiano che il croato e di fare ascoltare entrambe le lingue assieme. Inoltre, anche il dialetto, che abbiamo altresì inserito nello spettacolo, ha una forte importanza. Se ci fossero stati anche l’ungherese e il tedesco sarebbe stato splendido. Credo che sarebbe interessante portare questa pièce in altri luoghi, dove le persone non sono ‘fiumani’ o ‘riječani’ e quindi non hanno visioni pre-costruite, alimentate dalle proprie esperienze familiari e quotidiane nella città. Sarebbe affascinante vedere come un pubblico diverso reagisce, magari più aperto, come può esserlo un giornalista. La domanda che poniamo è: forse il vero ‘Porto della diversità’ risiede proprio nella multiculturalità?”

Fiume potrebbe essere un modello di convivenza?
Mirko: “Certo, e la mia vita di fatto lo dimostra: personalmente ho trovato la mia identità più qui che a Parma, la mia città natale, che sotto certi aspetti mi è sempre sembrata più chiusa. Fiume, invece, è un luogo unico che ti permette di capire chi sei davvero”.
Vanni: “La stessa emerge nella quotidianità di Fiume, nella quale non ci si pone neanche il problema, a dimostrazione che il confine è un concetto più mentale che reale”.

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