
Al rintocco esatto del mezzogiorno di oggi, nell’elegante abbraccio architettonico del Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, ha preso forma e respiro l’incantesimo scenico “L’asinello e la balena”, la cui prima ha debuttato il 23 maggio scorso. Nato dalla fervida immaginazione musicale e narrativa di Damir Martinović Mrle (anche co-regista insieme a Leda Festini Jensen) e Ivanka Mazurkijević, lo spettacolo si è dispiegato sul palcoscenico con la dolce potenza della fantasia, messo in scena dal Dramma Croato dello stabile.
Un Eden tra onde e meraviglie
Fin dall’inizio, l’allestimento si è rivelato un contenitore di sogni, un involucro gonfio d’aria e di incanto. La scenografia ideata da Saša Hess, che ha curato anche gli sgargianti costumi, si è distesa come un paesaggio immaginifico, fatto di forme morbide e luminose, in cui ulivi parlanti gonfiabili (interpretati con caratterizzazioni distinte da Jelena Lopatić – Saggia, Ana Marija Brđanović – Dolce e Romina Tonković – Nuova), creature fantastiche di proporzioni mitologiche, la fata Fiumina (Aleksandra Stojaković Olenjuk) e frutti biondi, banane radiosamente sospese come offerte celesti, hanno popolato il proscenio. Gli ulivi, o meglio i loro frutti antropomorfi e animati, hanno accolto i piccoli spettatori con ironia e affetto, introducendo non solo la narrazione, ma anche l’idea del teatro come spazio sacro di rispetto, ascolto e immaginazione. I personaggi di Olivio (Petar Baljak) e Oliver (Mario Jovev) hanno incarnato l’antica saggezza dell’anima mediterranea, diventando mentori e custodi dell’azione scenica, presenze delicate e costanti che hanno sostenuto il dipanarsi dell’intreccio con misura e tenerezza.
Una parabola che sfiora il cuore
La vicenda di Olio, asinello guardiano dell’uliveto, magistralmente interpretato da Edi Ćelić (esilarante la lieve cadenza dalmata!), è un sussurro gentile all’anima. La sua esistenza fatta di piccoli gesti e grandi sogni inespressi, il desiderio segreto di nuotare con i giganti del mare, l’intesa commovente con gli ulivi e la promessa di un aiuto magico, tutto confluisce in un racconto armonico, mai enfatico, dove la poesia si fa veicolo naturale del pensiero. Il teatro si trasforma così in uno specchio di desideri, rifugio per le fragilità e trampolino per il coraggio. È un’ode alla possibilità, all’intimità dell’amicizia e al valore dell’unicità. Una narrazione che parla all’infanzia con la stessa delicatezza con cui consola la nostalgia adulta, tessendo un elogio alla metamorfosi, alla diversità come ricchezza, alla natura come fonte di energia e cura.
L’estetica dell’incanto
Ogni elemento sulla scena irradia una bellezza tangibile e una sublime assurdità. Ogni scelta registica è pensata per incantare la vista e dialogare con lo stupore innato che abita l’animo dei bambini, e degli adulti disposti a ricordare. Le chiome rigogliose degli ulivi, rotonde come giocattoli antichi, ondeggiano tra il reale e il fiabesco, muovendosi come sospiri verdi accarezzati dalla brezza del Sud. Le ali eteree della fata Fiumina brillano di riflessi cangianti, come se contenessero la memoria del volo di ogni farfalla mai sognata (tante, soavi e luminose, conquistano l’elegiaco sfondo-cielo notturno). L’asinello Olio, incarnato da Ćelić in un costume gonfiabile di dimensioni imponenti, conquista con la sua tenera goffaggine e l’umana malinconia nello sguardo. La Balena, portata in scena dallo stesso Jovev, discende dall’alto come una visione sacra, con il ventre illuminato da luci palpitanti, quasi fosse un’entità celeste emersa dal profondo. Le luci di Dalibor Fugošić disegnano i contorni con la delicatezza di un chiarore lunare, mentre le favolose videoproiezioni di Branimir Štivić e Ivan Marušić Klif dilatano i confini fisici del palco, trasformandolo in un cosmo in espansione. In quei momenti, il teatro si fa santuario della meraviglia nella sua forma più primitiva, quella che nasce dallo stupore infantile, quello stesso sentimento che Aristotele indicava come origine del pensiero filosofico. I bambini osservano, sorridono, indicano, bisbigliano ed esclamano, tendono le mani. In quello sguardo incantato, nel luccichio silenzioso degli occhi spalancati davanti a ciò che supera la realtà, il palcoscenico ritrova la sua patria.
Un’eredità poetica e simbolica
Questa forma di teatro, immersivo, lirico, visivo, si colloca nel solco di una tradizione nobile, che attraversa le pagine del “Piccolo principe” di Saint-Exupéry (molto suggestivo il richiamo alla sua Luna, simbolo dell’ingenuità e invito a non dimenticare il proprio bambino interiore), la reinvenzione scenica di “Pinocchio” di Carmelo Bene, le fiabe teatrali di Maeterlinck come “L’uccellino azzurro”, in cui l’infanzia viene riconosciuta come dimensione sapienziale. In queste opere il bambino non è mai mero fruitore, bensì interprete silenzioso, viandante nei simboli, esploratore dell’essere. Così come nella “Tempesta” shakespeariana, in cui l’isola di Prospero diventa spazio iniziatico, anche in questa pièce la scena si trasforma in soglia trasformativa, dove Olio intraprende un percorso interiore e attraverso l’universo, un’odissea simbolica che tocca corde profonde – la solitudine, il desiderio, la fiducia, l’amicizia, il cambiamento. Il bambino, seguendo il suo cammino, riflette segretamente sul proprio. In questo giardino sospeso tra le onde e le costellazioni, diventa re e poeta, artefice e custode del mondo che osserva e interiorizza. E forse è proprio questa la rivelazione più preziosa, che la bellezza prende forma solo se accolta da sguardi colmi di meraviglia, che ogni asinello può giungere alla sua balena e che il mare dell’immaginazione non conosce confini per chi si lascia trasportare dal vento delle storie.
La sinfonia dei sensi
La colonna sonora, composta dagli stessi Mrle e Mazurkijević, è parte integrante del sortilegio. Le melodie, potenti e intrise di ritmi incalzanti e armonie oniriche, evocano paesaggi remoti e misteriosi, penetrando nei cuori dei bambini come una ninna nanna cosmica, mentre negli adulti risvegliano echi sopiti dell’infanzia. La coreografia di Paolo Mangiola aggiunge un ulteriore strato di lirismo, in cui ogni gesto, ogni movimento è portatore di senso, eppure mai forzato. I corpi degli attori si muovono con grazia e precisione, interagendo con i costumi gonfiabili, solo all’apparenza ingombranti, che si rivelano invece strumenti raffinati di espressività visiva e simbolica.
Il dono della scena
Il culmine emotivo si raggiunge quando Olio, ormai libero dalle sue paure, riesce finalmente a realizzare il suo sogno. È un’allegoria potente, quella del piccolo che trova il coraggio di abbandonarsi all’infinito, in questo caso, di immergersi nel mare, sostenuto dalla fiducia altrui e dalla propria determinazione. Un messaggio che colpisce nel profondo, espresso con tatto e intelligenza emotiva, senza alcuna condiscendenza. Il finale si trasforma in un’apoteosi di gioia collettiva, che racchiude l’anima stessa di quest’esperienza, fatta di incontro, di festa e di pura possibilità. “L’asinello e la balena” apre così spazi interiori, nutrendo lo stupore, la gentilezza e l’immaginazione. Soprattutto, introduce i bambini al grande teatro con delicatezza e rispetto. È un atto di amore verso il pubblico futuro, un varco tra il presente e ciò che ancora deve essere sognato. Dimostra che la scena della vita può essere casa, rifugio, trampolino. È una favola contemporanea che risuona di mare e foglie, di Mediterraneo e lucciole canterine, di risate e silenzi, di creature umili e divine, di tutto ciò che ci rende, irriducibilmente, umani e incantati.
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