«Don Carlo», un’opera monumentale

Al TNC «Ivan de Zajc» di Fiume ha avuto luogo la première dell'opera di Giuseppe Verdi prodotta in collaborazione con il Teatro Nazionale Sloveno di Maribor

0
«Don Carlo», un’opera monumentale
Gabrijela Deglin e Diana Haller. Foto: RONI BRMALJ

È stata un successo la première dell’opera “Don Carlo” di Giuseppe Verdi al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, prodotta in collaborazione con il Teatro Nazionale Sloveno di Maribor. Considerata la lunghezza e la complessità dei contenuti musicali e della trama del melodramma, mettere in scena “Don Carlo” (originariamente “Don Carlos”) si presenta come un progetto ambizioso che i due Teatri hanno realizzato con serietà e impegno.

L’originale in francese
La più lunga opera di Giuseppe Verdi venne composta su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle, e fu tratta dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller. La richiesta di comporre un nuovo Grand-Opéra giunse a Verdi nel 1864, mentre nel 1865 venne completato il libretto. La prima dell’opera, originariamente in cinque atti e in lingua francese, ebbe luogo l’11 marzo 1867 alla Salle Le Peletier del Théâtre de l’Académie Impériale de Musique di Parigi (all’epoca sede dell’Opéra national de Paris). Successivamente, l’opera venne tradotta in italiano da Achille De Lauzières e in questa versione ebbe la sua prima rappresentazione al Royal Italian opera di Londra (oggi Royal Opera House, Covent Garden) sempre nel 1867. In Italia venne rappresentata per la prima volta il 27 ottobre 1867 al Teatro Comunale di Bologna e in seguito ebbe ancora diverse revisioni. In Croazia, l’opera venne messa in scena per la prima volta il 20 maggio 1939 al Teatro Nazionale Croato di Zagabria nella sua versione italiana in quattro atti, mentre a Fiume andò in scena il 20 febbraio 1960. L’ultimo allestimento fiumano risale al 2001.
A voler descrivere “Don Carlo”, la parola che meglio si addice a questo melodramma è “monumentale”, non soltanto per la sua lunghezza (dura quasi quattro ore), ma soprattutto per i temi che vi si intrecciano e che spaziano dalla politica europea del XVI secolo, ai conflitti tra lo Stato e la Chiesa cattolica e ai rapporti, ben delineati, tra i protagonisti. Dal punto di vista musicale, l’opera si presenta molto esigente sia per i solisti che per il Coro e l’Orchestra e contiene diversi segmenti solistici, duetti e cori di straordinario impatto.

Una scenografia minimalista
Nella coproduzione croato-slovena, la trama si svolge su un palcoscenico delimitato da altissime “gabbie” a forma di parallelepipedo (scenografia e disegno luci di Wolfgang von Zoubek), che associano al carcere e che nel corso della rappresentazione cambiano posizione a seconda delle necessità. Sullo sfondo del palcoscenico, i vari ambienti nei quali si svolge l’azione vengono rappresentati sommariamente con proiezioni video e la scena è immersa nella nebbia durante tutto lo spettacolo. Non avendo molta attinenza con l’ambientazione dell’opera, in quanto un carcere, nel quale viene rinchiuso Don Carlo, diventa il luogo dell’azione soltanto nel terzo atto, è chiaro che le “gabbie” hanno un significato simbolico e possiamo soltanto azzardare una possibile spiegazione: esse forse simboleggiano la “prigione mentale” nella quale è intrappolato l’amore di Don Carlo per Elisabetta de Valois, dapprima sua fidanzata e ora moglie di suo padre Filippo II, oppure l’oppressione nella quale vive il popolo fiammingo sotto il dominio del re di Spagna. Ci pare, però, più probabile che la scenografia rifletta lo stato d’animo del regista, Marin Blažević, che – come spiega egli stesso nel programma di sala – si è identificato con i protagonisti dell’opera, i loro rapporti e le situazioni in cui si trovano. Nella sua, tutt’altro che ermetica e alquanto inelegante, nota all’ultima pagina del programma, infatti, Blažević ha voluto “ringraziare i cospiratori, gli imbroglioni, i dilettanti, gli aggressori politici e i molestatori mediatici la cui cattiveria e viltà lo hanno ispirato a immaginare questo dramma lirico come una scena di costante minaccia e un carcere spirituale e fisico, metaforico e reale”, trasformando così l’allestimento in un progetto permeato dai suoi conflitti personali.

Il rogo degli eretici
La regia, firmata da Blažević, è piuttosto statica, mentre la scena più impressionante e di maggior impatto segna la fine del secondo atto, quando tutti i protagonisti assieme al popolo (il Coro dell’Opera) assistono al rogo degli eretici. Impressionante è anche il balletto, coreografato da Maša Kolar, che vede i sei ballerini (Laura Orlić, Jody Bet, Antoine Salle, Alejandro Polo, Rachele Cortopassi e Farah van Bluck) indossare dei macabri mantelli con una testa recisa, al loro interno “decorati” con membra umane insanguinate. Bella la scena, interamente illuminata di azzurro, in cui Elisabetta de Valois (Anamarija Knego), anche lei vestita interamente di azzurro, canta l’aria “Tu che le vanità… Francia, nobile suol”.

Solisti all’altezza del loro compito
Tutti i solisti sono stati all’altezza del loro compito. Luka Ortar nei panni di Filippo II ha avuto finalmente la possibilità di mettere in mostra le sue notevoli doti canore e attoriali in un ruolo complesso sia dal punto di vista vocale che da quello della recitazione. Particolarmente ben riuscita è risultata la struggente aria “Ella giammai m’amò”, mentre il celebre duetto dei bassi, assieme a Giorgio Surian – sempre espressivo nei suoi interventi –, minaccioso nei panni del Grande Inquisitore, è stato uno degli apici dello spettacolo. La cupa melodia degli ottoni, che in quest’opera hanno un ruolo di spicco, contribuisce a rendere minacciosa l’atmosfera del duetto in cui si trama l’assassinio di Don Carlo. Aljaž Farasin è stato un Don Carlo innamorato e sofferente, mentre dal punto di vista vocale è stato sicuro e affidabile. Anamarija Knego (Elisabetta de Valois) ha offerto una sentita interpretazione del suo difficile ruolo, che spazia dagli acuti alla voce di petto nell’arco di poche note, anche se questo richiede una voce più possente della sua. Diana Haller ha interpretato la principessa Eboli con disinvoltura, mentre vocalmente è stata ineccepibile. Un’ottima impressione l’ha lasciata il baritono sloveno Jaka Mihelač, che con la sua voce ben modellata ha impersonato Rodrigo, il marchese di Posa e grande amico di Don Carlo. Ha avuto un po’ di difficoltà negli acuti nell’aria “Per me giunto è il dì supremo”, ma ciò non ha inciso più di tanto sul risultato complessivo. Hanno partecipato anche Slavko Sekulić (Carlo V, vecchio frate), Gabrijela Deglin (Tebaldo, voce dal cielo), Sergej Kiselev, Martin Marić e Sabina Salamon.

Costumi originali
In contrasto con il minimalismo della scenografia sono stati i costumi di Sandra Dekanić, che ha offerto un’originale interpretazione della moda del Cinquecento.
Il Coro dell’Opera, istruito dal Maestro del coro Matteo Salvemini, è stato sicuro nei suoi interventi. Particolarmente ben riuscito è stato il coro maschile degli emissari fiamminghi. L’Orchestra sinfonica di Fiume, sotto la direzione del Maestro Simon Krečič, è stato un sostegno solido ai solisti e ha seguito accuratamente ogni slancio espressivo dei protagonisti in scena. Particolarmente ben curati sono stati gli interventi degli ottoni che, come detto più sopra, hanno un ruolo di spicco in quest’opera.
Il pubblico ha premiato con calorosi e prolungati applausi tutti i protagonisti dell’allestimento.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display