Don Bonifacio, il ricordo è vivo

0
Don Bonifacio, il ricordo è vivo

Il 4 ottobre 2008 nella cattedrale di San Giusto a Trieste si tenne la cerimonia di beatificazione di don Francesco Bonifacio, dopo un percorso lungo oltre mezzo secolo, infatti fu il vescovo del capoluogo giuliano, mons. Antonio Santin, ad avviare, nel 1957, la causa della sua beatificazione. Il religioso nato a Pirano nel 1912, svolse il suo ministero dapprima a Cittanova e in seguito a Crassiza non lontano da Buie, l’11 settembre 1946 fu ucciso dalle guardie popolari, mentre il suo corpo senza vita fu celato, tant’è che a distanza di oltre un settantennio il luogo e le modalità della sepoltura rappresentano ancora un enigma.

Per saperne di più, per fare il punto sulle indagini concernenti l’assassinio di don Bonifacio e il successivo occultamento abbiamo intervistato Mario Ravalico, piranese residente in provincia di Trieste, proponente e anima di tante iniziative, realizzate sia a Trieste sia in Istria, legate alla figura, all’opera e al pensiero del giovane prete freddato in una giornata di fine estate. Dal nostro interlocutore veniamo a sapere che il vescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, ha costituito un Comitato ad hoc per preparare delle iniziative in occasione del decennale (del quale fa parte anche Ravalico), che abbracceranno l’intero anno pastorale 2018-2019.
Tra i prossimi appuntamenti, ricordiamo che l’11 settembre nel santuario di Monte Grisa (alle ore 18) ci sarà una conferenza di Ravalico in cui presenterà la spiritualità del Beato, seguirà una breve processione dall’esterno del santuario fino alla chiesa superiore, durante la quale saranno lette alcune parti del commento al Padre Nostro fatto da don Francesco nel 1943. Nella chiesa, mons. Crepaldi celebrerà la Santa. Messa; in quell’occasione sarà utilizzato il calice che fu di don Francesco, che il fratello Nino donò alla Diocesi di Trieste al termine del rito della beatificazione. La cerimonia sarà accompagnata da canti e musiche che vedrà il coinvolgimento del coro giovanile della Diocesi diretto dal m.o don Davide Chersicla. Il 14 ottobre, invece, nella cattedrale di San Giusto ci sarà una solenne celebrazione in ricordo della beatificazione, alla presenza dei vescovi delle vicine diocesi di Capodistria e Parenzo e Pola, rispettivamente mons. Jurij Bizjak e mons. Dražen Kutleša.

Un sacerdote molto amato dalla gente

Quest’anno ricorre il decimo anniversario della beatificazione di don Francesco Bonifacio, a Trieste si coglie una certa attenzione, ma il ricordo di questo religioso freddato nel secondo dopoguerra è vivo anche in Istria, è così?
“Sì, effettivamente è così. Da alcuni anni sta riemergendo a Trieste l’attenzione per la figura di don Francesco Bonifacio, dopo un silenzio troppo lungo quanto inspiegabile. Ma ancora di più in Istria, specie nel Buiese, la figura di don Bonifacio sta trovando tanto interesse, e non solo tra le persone anziane ma anche tra le generazioni più giovani. Segno che i vecchi hanno saputo non solo conservare la memoria, ma soprattutto trasmettere alle nuove generazioni l’interesse e la venerazione per questo sacerdote semplice e coerente con la propria fede e con il Vangelo, profondamente legato alla sua gente. Commuove sentire giovani ventenni, che raccontano episodi, certamente appresi in famiglia, riguardanti il ministero svolto da don Francesco a Cittanova prima e a Crassiza poi. Certamente colpisce molto il fatto che di questo sacerdote, dopo essere stato barbaramente ucciso, non si sia più trovato il luogo in cui il suo corpo è stato nascosto. Così come colpisce molto il fatto che chi sapeva – ed erano in diversi, qualcuno ancora vivente – non ha mai voluto dire una parola su questo mistero, anche in tempi in cui il regime comunista ormai si era disciolto e al suo posto sono sorti nuovi stati democratici. Se vogliamo, il ‘miracolo’ è proprio questo: settant’anni di oblio non hanno cancellato la memoria e il ricordo di don Francesco”.

Nell’ultimo decennio la vicenda di don Bonifacio è indubbiamente emersa, per certi aspetti è uscita dal dimenticatoio sia nel capoluogo giuliano sia in Istria. Questa constatazione regge?

“Sicuramente è così. Ormai da sei anni a Trieste, una volta al mese (più precisamente il secondo giovedì), nella chiesa di San Gerolamo di via Capodistria a Chiarbola, si ritrova un nutrito gruppo di persone a pregare il Beato, leggendo e riflettendo su qualche sua omelia adatta al tempo liturgico. Va ricordato che don Francesco, nei sette anni in cui ha svolto il suo ministero a Crassiza, ha scritto tutte le omelie su un quaderno, per cui sono disponibili. E sono una vera miniera di pensieri, riflessioni, spiegazioni della Sacra Scrittura, fatte in modo semplice ma efficace, ancora oggi attualissime.
Dicevo che anche in Istria la sua figura non è stata messa in sordina, anzi. In particolare, in questi ultimi tre-quattro anni sono uscite tre pubblicazioni dedicate al sacerdote istriano martire (di cui ‘La Voce del Popolo’ ha dato puntualmente informazione). Queste sono state presentate, assieme agli storici Denis Visintin e Kristjan Knez, oltre che a Trieste, in molte Comunità degli Italiani, sia nel territorio sloveno sia in quello croato (e non solo nel Buiese), trovando sempre molto interesse: spesso c’è stata la presenza anche di sindaci e di sacerdoti. Cosa non di poco conto”.
Fraternità, comprensione e riconciliazione

Gli incontri in Istria, i pellegrinaggi, le iniziative comuni che riuniscono grazie alla figura di don Bonifacio una comunità divisa dalla storia rappresentano dei momenti importanti e forse poco noti. Può riassumerci sinteticamente cosa è stato fatto?

“Certo, anche se non sempre è stata data un’adeguata informazioni sulle tante iniziative fatte in questi anni per ricordare don Francesco Bonifacio, sicuramente esse hanno contribuito non poco a far conoscere un pezzo di storia delle nostre terre, spesso sconosciuta a molti, la storia del sacerdote e del suo martirio, il perdono da esso donato ai suoi uccisori, la vita semplice ma profondamente religiosa della gente di quelle borgate nelle quali don Francesco ha portato la Parola di Dio, rimanendo vicino a loro fino al momento estremo del martirio. Ed è proprio vero – si rileva sempre di più – che gli incontri, i pellegrinaggi annuali dell’Azione Cattolica e di varie parrocchie nei luoghi della vita del Beato, i contatti semplici e fraterni tra le persone appartenenti a un popolo unito nelle radici ma diviso dalla storia, tutto questo ha favorito la reciproca comprensione, la conoscenza dei torti e delle ingiustizie subite da ambo le parti, il nascere di nuovi rapporti e relazioni, un tempo forse impensabili, lo svilupparsi di vere amicizie tra persone divise dai confini. E tutto questo non è poco perché, proprio attraverso la figura di don Francesco, sta nascendo un orizzonte nuovo di fraternità, di comprensione e anche di riconciliazione”.
Il 27 ottobre prossimo avrà luogo il pellegrinaggio diocesano accompagnato dall’arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, sui luoghi del Beato don Francesco Bonifacio. Ci può anticipare qualcosa?
“Quello del 27 ottobre in realtà sarà il secondo pellegrinaggio che la Diocesi di Trieste organizza nei luoghi del Beato, anche se – come dicevo – ormai da sei anni l’Azione Cattolica di Trieste si mette in pellegrinaggio (anche a piedi!) andando a Crassiza, a Grisignana, a Buie, a Cittanova, a Pirano, a Strugnano, tutti luoghi pieni di significato. Anche perché sempre, nel momento principale della Santa Messa celebrata nella chiesa che fu di don Francesco, ci si ritrova assieme a fedeli di quella parrocchia, in un clima di fraternità e di amicizia”.
“Si diceva del pellegrinaggio diocesano del 27 ottobre prossimo; ci sarà sicuramente il vescovo mons. Crepaldi a guidarlo, in particolare nella celebrazione della Santa Messa. Ecco, questa volta si arriverà in pullman da Trieste alla chiesa di Grisignana – il luogo dal quale don Francesco è partito per Crassiza senza mai arrivarci – e da qui, a piedi, si percorrerà il sentiero fatto dal sacerdote martire soffermandosi in alcuni luoghi particolarmente significativi: il cimitero di San Vito, che potrebbe custodire, nascosti, i resti mortali di don Francesco, il capitello di Peroi vicino alla casa di uno dei suoi uccisori, e sul luogo in cui due anni fa venne eretto un piccolo ma significativo monumento. Qui don Francesco venne arrestato – è l’unica certezza – e da qui sparì per sempre. Poi si proseguirà, sempre a piedi, fino alla chiesa di Santo Stefano a Crassiza per la celebrazione. Nel pomeriggio, sulla strada del ritorno, una sosta al santuario mariano di Strugnano; qui infatti egli si recò più volte, da bambino con la sua famiglia, poi da giovane seminarista e infine da sacerdote, con i suoi giovani. Qualche anziano ricorda ancora il pellegrinaggio che don Francesco fece con i suoi fedeli, in buona parte a piedi, portando una croce, per implorare alla Vergine Maria la fine della guerra”.

Cresce l’attenzio per la sua figura

 

Nella prima metà dell’anno, su iniziativa dell’Azione Cattolica di Trieste e dell’IRCI, è stata promossa la mostra In nome di Dio, a servizio del popolo, successivamente ospitata anche a Casa Tartini a Pirano. Quali sono stati i riscontri?

“La mostra su don Francesco a Trieste ha avuto un grandissimo successo; è stata vista da moltissime persone – anche l’ambasciatore d’Italia a Lubiana, Paolo Trichilo, è venuto a visitarla – che l’hanno molto apprezzata, anche per il contenuto della mostra stessa: non solo foto, molte delle quali inedite, e didascalie, ma anche oggetti personali di don Francesco, vere reliquie, come il breviario che teneva in mano al momento del martirio, il cilicio di ferro che portava alle caviglie, quaderni e libretti con scritti suoi appunti, riflessioni, meditazioni”.
“Anche a Pirano, a Casa Tartini, sede della Comunità degli Italiani, d’intesa con la Parrocchia, è stata allestita la mostra. Ed è stata una bella sorpresa l’interesse dimostrato dai tanti visitatori. Qui mi ha colpito soprattutto la visita che i sacerdoti del decanato di Capodistria hanno fatto tutti assieme alla mostra alla quale anch’io ho partecipato, offrendo loro spiegazioni e racconti sulla vita del Beato. Qui c’è da dire che l’attenzione verso don Bonifacio è stata facilitata, oltre che dalla presentazione più volte fatta delle pubblicazioni sulla sua vita, anche dall’iniziativa fatta nel 2013 dal Comune di Pirano e dalla locale Comunità autogestita della nazionalità italiana di apporre sulla casa dei Bonifacio, in Carara di Raspo, ora via Rozman, una targa ricordo di don Francesco. E poi anche dalla targa di marmo collocata nel Battistero di San Giovanni e benedetta nel settembre 2016, per ricordare il battesimo del nostro sacerdote. Tutti questi – è bene ricordarlo – sono stati momenti che hanno unito la gente, divisa e sparpagliata in vari luoghi della terra, in un abbraccio di fraternità”.
“In questi giorni la mostra è allestita ed è visitabile a Buie, nel Duomo di San Servolo, in occasione della festa della Madona picia e della festa della città. E anche qui, per l’allestimento, abbiamo trovato tanta disponilità ed aiuto non solo tra le istituzioni (Parrocchia, Comune, Comunità degli Italiani, Università Popolare aperta), ma anche tra le singole persone”.

Parte integrante di una storia comune

Ci è giunta l’informazione si stia ragionando di portare all’attenzione e all’approvazione del sindaco di Buie, ma non solo di quello, l’idea di realizzare dei segnasentieri specifici nei luoghi di don Bonifacio. Un’iniziativa lodevole, di cosa si tratta?

“Ecco, siamo in una fase non ancora completata. Il ‘sentiero Beato Francesco Bonifacio” da percorrere a piedi è stato tracciato ed esiste; anzi, è stato già testato da tre gruppi di giovani e ragazzi, ne parla Erik Moratto, uno dei due giovani che l’hanno ideato e progettato, e percorso più volte. Però si vorrebbe dare ufficialità all’iniziativa, mettendo appunto dei segnasentieri visibili nei punti maggiormente nevralgici, coinvolgendo in primo luogo i sindaci dei territori attraversati dal ‘sentiero Beato Francesco Bonifacio’, sia nel territorio sloveno sia in quello croato. Per questo si vorrebbe portare avanti questa idea proprio iniziando dal Comune di Buie al cui sindaco ho già anticipato l’iniziativa, per la quale mi ha chiesto di verificare i Comuni attraversati dallo stesso sentiero. Se ne parlerà in autunno e subito dopo anche con gli altri sindaci”.
Possiamo affermare che il giovane prete piranese attivissimo nella cappellania di Crassiza o Villa Gardossi com’era denominata tra le due guerre mondiali, sia diventato parte integrante di una storia comune che dev’essere compresa?
“Sì, di questo sono profondamente convinto. La vita di don Francesco è una storia di vita ‘normale’ di un prete, però vissuta straordinariamente nel proprio tempo, in un rapporto strettissimo con Dio e contemporaneamente con la gente che gli era stata affidata nel suo ministero. Una vita vissuta nella radicalità del Vangelo e nella fedeltà con gli abitanti di quelle borgate sparse, dalle colline del monte Cavruie fino alle borgate della valle del Quieto. Una vita sì normale ma conclusasi in modo straordinario con il martirio. Perché il suo era un tempo di martiri – si pensi all’altro martire istriano, il beato don Miroslav Bulešić –, un tempo che si intreccia con la storia del dopoguerra nelle nostre terre. È quindi una storia comune la nostra, che sicuramente va riletta con serenità in una visione più ampia dello stretto ambito locale o personale, con una capacità di comprensione dei fatti e delle situazioni e, soprattutto, con l’apertura della mente e del cuore in una prospettiva di perdono e di riconciliazione”.

Nella Diocesi di Parenzo e Pola le figure di Miroslav Bulešić e Francesco Bonifacio sono ormai da tempo presentate assieme, come simboli della persecuzione religiosa in Istria nel secondo dopoguerra e paradigma per comprendere uno dei periodi più difficili del passato della penisola e per la Chiesa. Cosa può dirci al riguardo?

“Nella Diocesi di Parenzo e Pola, il calendario liturgico ricorda il 24 agosto e l’11 settembre rispettivamente don Miro Bulešić e don Francesco Bonifacio, entrambi beati, senza alcuna differenza. Non è un fatto di poco conto. Vanno presentati assieme, perché il motivo del martirio è la fede, non l’appartenenza etnica o nazionale; sono martiri perché hanno seguito Dio fino alla morte. Ed è proprio anche per questo che nei pellegrinaggi che come Azione Cattolica di Trieste facciamo, siamo andati anche a Lanischie, il luogo del martirio di don Miro Bulešić e a Sanvincenti, dove il suo corpo riposa. Comunque, quando nei vari contesti e occasioni presentiamo la figura di don Francesco non possiamo non parlare di don Miro e del suo martirio. Perché questo, oltretutto è il senso della cattolicità, cioè dell’universalità, della Chiesa”.

A riprova di quanto sopra sostenuto, dalla cronaca di queste ultime settimane abbiamo appreso dell’iniziativa a Valbandon, di cosa si tratta?

“Più di un anno fa, don Ilija Jakovljević, parroco di Fasana e attento promotore del culto verso i due beati, mi aveva parlato di un suo progetto: voleva trovare l’occasione adatta (il luogo, il momento) per realizzare un quadro che presentasse assieme i due beati istriani martiri
in odium fidei. In un primo momento, se ricordo bene, aveva pensato alla chiesa cimiteriale di Fasana. Poi, una volta trovato l’artista, Hari Vidović di Rozzo (Roč), gli ha commissionato il lavoro, trovando una collocazione più adatta. È stato così che il 23 agosto scorso, giornata europea contro i crimini commessi dai regimi totalitari, nonché vigilia del martirio di don Miroslav Bulešić, il vescovo di Parenzo e Pola ha benedetto la pala che raffigura i due beati, assieme ad un altro sacerdote ucciso nel 1947, a soli 30 anni, don Ratmir Beletić, pala che è stata posta sull’altare nella chiesetta di Valbandon, dedicata appunto al Beato don Miroslav”.

Un groviglio di ipotesi sulla sua fine

 

Le ricerche che si riferiscono alla vita e all’attività di don Francesco Bonifacio si sono arricchite di elementi, di passaggi documentati e di testimonianze, buona parte di queste novità le dobbiamo alle sue pazienti ricerche condensate in alcune pubblicazioni. Rimane ancora aperta l’enigmatica vicenda della sua uccisione o meglio dell’occultamento del corpo senza vita. Varie sono le ipotesi, diverse sono state scartate nel corso delle indagini, altre non trovano riscontri oppure non sono suffragate da prove. Qual è la situazione attuale delle conoscenze?

“Una prima osservazione. In questi ultimi sei anni nei quali, un po’ sollecitato da don Giuseppe Rocco, l’ultimo sacerdote che don Francesco incontrò prima del martirio, mi dedicai, assieme a mia moglie Giuliana, alle ricerche volgendo la mia attenzione prima di tutto nell’incontrare e conoscere, tantissime persone che avevano conosciuto don Francesco, sia ai tempi di Cittanova sia di Crassiza, abitanti ancora in Istria o in Italia. Ne è venuto fuori uno spaccato di conoscenze molto interessanti, prima solo accennate o addirittura sconosciute. Ad esempio, una signora di Cittanova, ultranovantenne, nata e vissuta sempre in quella cittadina, è stata preziosa per raccontare di quando don Francesco aveva creato una piccola filodrammatica alla quale anche lei partecipava attivamente, anche se era molto timida; oppure le prime iniziative che aveva organizzato con le bambine dell’Azione Cattolica, alla quale anche lei aderiva”.
“Per il rapporto di don Francesco con la realtà di Daila non avevo alcun elemento, eppure, provvidenzialmente è apparsa un’anziana signora oggi abitante a Santa Croce di Trieste, che aveva da ragazza accolto con dolore e tra le lacrima la notizia, direttamente, da don Francesco che non sarebbe più andato in quella chiesa perché era stato trasferito a Crassiza. Così come queste, sono stati recuperati tantissimi altri tasselli di un grande mosaico, ancora non completato. Anche per gli uccisori, sono stati recuperati particolari non da poco, attraverso testimonianze raccolte da persone anziane del Buiese, da sacerdoti croati che avevano a cuore la figura di don Bonifacio e prezioso infine quanto raccolto dall’esame di alcuni documenti conservati in certe parrocchie dell’Istria, trovando massima collaborazione da parte di tutti”.”Per quanto riguarda invece la sorte del corpo del sacerdote, molti scritti, anche autorevoli, si sono concentrati frettolosamente sulla foiba dei Martinesi, vicino a Grisignana, sostenendo che quella era la destinazione certa e definitiva del corpo di don Francesco. Ma questa ipotesi, allo stato attuale delle cose, non è suffragata da alcuna prova certa; anche le dichiarazioni a sostegno di questa tesi sono incerte, spesso contraddittorie, soprattutto senza riscontro oggettivo”.
“Altre ipotesi, come quella dell’occultamento del corpo nel cimitero di San Vito, prassi molto in uso in Istria seppellire i cadaveri di nascosto nei cimiteri dava certezza di non più ritrovare i resti della persona, è stata troppo frettolosamente e altrettanto superficialmente abbandonata, nonostante diverse dichiarazioni in proposito, provenienti da fonti diverse, peraltro credibili come quelle a sostegno della foiba”.
“Da ultimo, anche con persone che hanno avuto ruoli di responsabilità nell’apparato della Difesa popolare ho avuto modo di incontrarmi e di parlare a lungo, ottenendo indicazioni precise di persone responsabili con nomi e cognomi, qualcuna ancora vivente con la quale pure mi sono incontrato. È un groviglio di ipotesi, una rete di fili come di ragnatele, che si è creata attorno al mistero della fine del corpo di don Francesco”.

I resti occultati nel cimitero di San Vito?

Non di rado si legge che don Bonifacio sarebbe stato infoibato. Per il momento questa può essere accolta solo come una possibile ipotesi. Negli ultimi anni nell’area in cui si consumò il delitto sono stati effettuati degli scavi e anche delle indagini speleologiche nelle cavità carsiche. Cosa è emerso?

“Come ben sanno gli storici, in alcuni casi nella memorialistica e nella storiografia, parlando delle persone scomparse, si sono definite come infoibate, dando a questo termine il significato di scomparse appunto, non necessariamente gettate nelle voragini carsiche. Ad ogni modo, si sono fatti degli scavi su terreni menzionati in testimonianze molto particolareggiate rilasciate a qualche parroco, proprio in riferimento a don Bonifacio. Così come, proprio nella voragine dei Martinesi, peraltro più volte ispezionata in modo mirato negli anni ’90 e in quelli successivi, non si è trovata alcuna traccia, anche minima, che potesse portare alla pista del martire istriano”.
“Da parte mia, l’idea che mi sono fatto, sulla base delle tante testimonianze raccolte, della documentazione esistente e delle ispezioni fatte appunto nella voragine in questione e gli scavi fatti, è che i resti di don Francesco, dopo una sepoltura probabilmente in un terreno vicino il cimitero di Buie, siano stati occultati in modo definitivo proprio nel cimitero di San Vito, il luogo più sicuro per non trovarli mai. Questa convinzione deriva anche da una delle primissime testimonianze rese da una donna del posto, in modo del tutto riservato direttamente al vescovo di Trieste e Capodistria, mons. Antonio Santin”.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display