Dal Commodore 64 alla ludicizzazione

Dalle sale specializzate degli anni ‘80 e ‘90 alla comodità del salotto di casa dove scrivere nuovi scenari virtuali

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Dal Commodore 64 alla ludicizzazione

Sono passati poco meno di quarant’anni dal glorioso home computer Commodore 64. Ricordo che coincise negli anni ’80 e ’90 con l’esplosione di vendite di cassette magnetiche con videogiochi dai titoli più disparati; sostanzialmente copiati da quelli americani e giapponesi e rimessi in vendita nel mercato italiano. Si potevano acquistare nelle edicole, in allegato alle riviste specializzate. All’epoca bastava inventare un titolo italiano nuovo per un videogioco e i problemi sui diritti d’autore erano risolti spendendo poche lire.

 

Impossibile scordare i cosiddetti Arcade su console e computer come Donkey Kong, Pac Man, Berzerk e Mario Bros, ma anche tanti altri con le loro colonne sonore sgangherate e metalliche.
Si caricava la cassetta come fosse un nastro musicale e una volta digitata la parola magica “Run” significava che il tempo dei compiti per casa era scaduto. Consapevole che la storia dei videogiochi è molto articolata, mi attengo esclusivamente alla memoria personale e tralascio tutte le generazioni di console che si sono succedute negli anni tra le case produttrici Nintendo e Sony.

Il nome sullo schermo
Ma il gioco, quello più accattivante, si “faceva duro” quando proseguiva nei bar di quartiere. La sfida consisteva nel superare i veterani del giorno prima e poter scrivere il proprio nome sullo schermo a dimostrazione della vittoria. Grandi e piccoli si ritrovavano ammassati in spazi ristretti dove si accendevano, oltre a molte sigarette, discussioni che spesso si concludevano sulla strada. Inebriati da quell’odore di toast e cenere che andava mescolandosi con la puzza della plastica surriscaldata dei circuiti dei videogiochi, avveniva l’alchimia dello sfogo; perché oltre al confronto con gli amici bisognava affrontare anche quello con le grandi cabine di legno che parevano ora astronavi, ora mostri fagocitanti. Non era raro, infatti, vedere i ragazzi più grandi, dopo aver perso la partita sui campetti, prendere a calci e spintoni le cabine e scuoterle per riottenere i crediti qualche volta non accettati.

La magia dei flipper
Con i flipper da bar, poi, era un vero e proprio duello da Far West tra il giocatore e i pulsanti che comandavano le alette ai lati della macchina. La biglia d’acciaio scaraventata dentro al flipper pareva spiritata: colpiva bersagli, scompariva dentro cunicoli e azionava ogni tipo di marchingegno presente; un vero e proprio capolavoro d’arte meccanica-elettronica. La magia del videogame una volta avvertito il suono metallico del credito, finiva velocemente non solo per la poca quantità di monete trafugate dal salvadanaio, ma principalmente perché arrivava il momento, a metà partita, che qualcuno sul più bello veniva a prenderti per le orecchie per riportarti a casa. Una ventina d’anni dopo, riposti i vecchi portatili e le console nelle cantine e trasformate le leggendarie sale giochi in casinò, ecco arrivare nel 2007 il grande “supermercato” gratuito di app e videogiochi di “Google play”. Da quel momento, passando per gli smartphone, il settore dei videogiochi, con il suo apporto di tecniche e meccaniche è stato esteso a comparti molti diversi per rendere le esperienze umane più coinvolgenti.
Insieme, ma separati
Il 2020 è stato l’anno in cui il gioco online ha sostituito le piazze e la socialità a scuola al punto che anche l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha cambiato approccio, smentendo quanto affermato in precedenza sull’alienazione da videogioco. In occasione del primo “lockdown”, quello primaverile, l’OMS ha lanciato infatti l’iniziativa Play Apart Together, (Giocate insieme ma separati). Alcuni videogiochi su console, ma anche sulle altre piattaforme, hanno raggiunto con l’aggiunta o meno del visore (VR) delle situazioni di interattività in cui l’utente può sviluppare abilità di soluzione a problemi specifici, comportamenti positivi e persino la capacità di viaggiare nel tempo e nello spazio per conoscere luoghi e tempi del passato perfettamente ricostruiti nella realtà virtuale. Nella storia che “vive”, il giocatore, può diventare infatti coprotagonista in ambienti interattivi e persino coautore, perché coinvolto in scelte multiple. È il caso di giochi come “Seed” o “Nostos”, il primo della berlinese Klang e il secondo della compagnia cinese Netease che si possono giocare da tutto il mondo su diversi apparecch e dove gruppi di giocatori interagiscono per costruire le loro città posizionate in differenti ecosistemi e darsi delle strutture politiche senza che nulla di quanto realizzato scompaia una volta usciti dal gioco. L’idea di fondo è quella di vivere avventure e storie che sono state create all’interno di questi mondi alternativi portando avanti delle nuove sfide.

Un’industria in crescita
I numeri dell’industria videoludica sono impressionanti e in continua crescita: il 2020 ha chiuso secondo “Superdata Research” a 150 miliardi di dollari di fatturato nel mondo, il doppio circa della musica e del cinema assieme; mentre nel mondo il numero di console da gioco vendute ha toccato quota un miliardo di pezzi. A questo vanno aggiunte due tendenze che stanno crescendo: i videogame scaricabili su smartphone e tablet e lo streaming su YouTube e sulla nuova piattaforma Twitch di Amazon. Ma quando si parla di industria del gioco occorre pensare che dietro ai numeri di mercato si generano possibilità per nuove professioni, che negli ultimi anni stanno creando occupazione per i giovani.
Le ragioni del gioco digitale nell’uomo neotenico

Un mondo che cambia
Gli esempi di ludicizzazione o gamification legati al business sono spesso concepiti per soddisfare gli interessi economici e commerciali dell’azienda che li implementa e non per un’interazione reciproca e vantaggiosa per il lavoratore. In altri settori come quello culturale, sanitario, politico, di studio e ricerca possiamo pensare alla gamification come a un adattamento evolutivo. Si può vedere il mondo di oggi come “un gioco di giochi”, perché nell’epoca del digitale sono tantissimi gli esempi di un loro uso massiccio e diffuso. Ma per quale ragione dovremmo mantenere questa visione infantile del gioco o meglio del gaming anche in età adulta? La necessità di imparare è nella natura umana e oggi più che mai è difficile credere a un posto di lavoro fisso, a un tipo di studio che una volta concluso garantisce il posto a vita. Una volta iniziato un lavoro per quanto tempo durerà?

La neotenia
Un termine come neotenia, il permanere delle caratteristiche morfologiche durante il processo di crescita, può essere usato per estensione in questo contesto nel fornire una parziale risposta. È tipico della specie umana mantenere caratteristiche infantili anche in età adulta: curiosità, propensione al rischio e sperimentazione la ritroviamo insieme ai giochi fisici e virtuali. Nel gioco la coscienza critica si abbassa e si posiziona in uno stato di flusso, di emozioni positive, con attenzione e concentrazione massima per produrre risultati superiori e con una gioia interiore che si ottiene solo nei giochi di miglior qualità. Naturalmente ci dovrebbe essere un reale beneficio derivante dal giocare, altrimenti si tratta di solo e puro intrattenimento. Giocare per imparare con gioia e più velocemente, usando tutti i sensi, oppure per superare una terapia dolorosa o per esercitare in sicurezza delle abilità da riutilizzare nel mondo reale.

Vantaggi e rischi
È anche vero che di alcuni effetti benefici, come lo sviluppo della serotonina, non bisognerebbe abusare e la persuasione praticata con la gamification, se usata male, potrebbe portare a una catena di pensieri ossessivi che nel lungo periodo creano dipendenza, alienazione, disturbi del sonno, perdita di concentrazione a tutto danno dell’istruzione o della carriera e che ci portano a compiere azioni che altrimenti non faremmo mai. È un po’ come essere manipolati da un’app che con opportuni stratagemmi ci promette guadagni, tenendoci per ore nel traffico cittadino in modo da garantire un servizio “a richiesta”. Oppure, nell’ipotesi estrema di un drone, seduti comodamente nel salotto di casa, potremmo recare danni a qualcuno lontano da noi, carpendo informazioni sensibili o anche facendo molto peggio. Nell’ambito della televisione e dell’intrattenimento culturale è interessante il film Bandersnatch, trasmesso sulla piattaforma Netflix, realizzato dai creatori della serie sulle paure legate alla tecnologia Black Mirror. In questo game-film lo spettatore può indirizzare la trama con scelte accessorie, ma anche incanalando l’azione verso finali alternativi e scegliere la musica che preferisce come colonna sonora. Anche in quest’esempio di game-tv la piattaforma raccoglie informazioni sulle nostre tendenze per poi potenzialmente rivenderle ad aziende terze, mentre sul piano artistico personalizzando una delle possibili scelte registiche, toglie forza a un’interpretazione registica rischiando di semplificare e banalizzare il film.

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