Da mezzo di trasporto a oggetto di culto. Il MAUTO racconta l’automobile

Visita guidata con Mariella Mengozzi, la direttrice del Museo nazionale di Torino, in occasione della mostra La Grande Bellezza, allestita a Fiume (Galleria Kortil) e Abbazia (Centro Gervais) e che dal 12 maggio al 12 giugno sarà al Museo della Tecnica «Nikola Tesla» a Zagabria

0
Da mezzo di trasporto a oggetto di culto. Il MAUTO racconta l’automobile

Design, una parola che piace, che attira, che porta immediatamente a immaginare qualcosa di nuovo, di bello, di innovativo… da vedere, da scoprire, se possibile da acquistare. “In inglese design è il progetto, significa guardare avanti, guardare al futuro, creare qualcosa di nuovo”, chiarisce Mariella Mengozzi, direttrice del Museo nazionale dell’automobile di Torino, e pone in evidenza il legame tra design e settore dell’auto, anche questo proiettato al futuro, alle sfide, a quello che potrebbe essere e che sarà. Ma il tutto inizia molto tempo fa, sin dalla loro comparsa sulle strade le automobili strizzano subito l’occhio alla bellezza, intesa non soltanto e non soprattutto come estetica, ma in primis come prestazione. Il binomio auto-design è quindi un qualcosa di naturale. A testimoniarlo l’Alfa Romeo 8C 2300 del 1934 che il 27 aprile traslocherà dal Centro Gervais di Abbazia alla Galleria Kortil di Fiume (fino al 3 maggio) per poi spostarsi a Zagabria, nel Museo della tecnica Nikola Tesla, dove rimarrà esposta – nell’ambito della mostra La grande bellezza attraverso il design italiano dell’automobile – dal 12 maggio al 12 giugno. È una tra le più prestigiose e avanzate vetture degli anni Trenta. Potente e velocissimo, questo spider sportivo carrozzato da Touring, illustre carrozzeria milanese, poteva essere utilizzato sia come auto da gran turismo che da competizione. In gara, su strada e su pista. Fu imbattibile per molti anni: nel ricco palmarès spiccano la Mille Miglia, la Targa Florio, il Gran Premio di Monaco e ben quattro vittorie alla 24 Ore di Le Mans. Fu pilotata dai più grandi corridori del tempo: Nuvolari, Campari, Chinetti, Brivio, Sommer, Borzacchini.

Mariella Mengozzi davanti all’Alfa Romeo 8C 2300 del 1934 esposta al Centro Gervais di Abbazia.
Foto: Roni Brmalj

Estetica e funzionalità

“L’abbiamo scelta in rappresentanza della collezione MAUTO per questa mostra – spiega Mariella Mengozzi – perché è una vettura che rappresenta non solo la bellezza intesa come estetica o stile, ma anche la bellezza della prestazione, della sua storia, della sua funzione, un aspetto molto rilevante nel design dell’automobile”. Quando parliamo di automobili, aggiunge la direttrice del MAUTO, “non conta soltanto la bellezza in sé, deve essere vincente, funzionale”. E l’Alfa Romeo 8C 2300, ha un trascorso unico anche sotto questo aspetto. “Già negli anni ‘30 il concetto della prestazione legato al peso delle vetture era molto noto, si sapeva che per essere vincenti devono essere leggere. Realizzata dalla carrozzeria Touring superleggera questa vettura molto elegante – vinse il concorso d’eleganza organizzato dall’Aci per i loro 115 anni – era fatta per vincere, ma si poteva usare anche su strada, per uscire, per andare a teatro, non era una vettura estrema solo da corsa, era polifunzionale. Il modello esposto non è marciante, non è stato restaurato, è un conservato, ma quest’Alfa è stata inserita nell’elenco delle vetture sulle quali il MAUTO intende intervenire per portarla in funzione perché è una delle più belle della collezione, il suo valore commerciale sul mercato è altissimo”, dice Mengozzi.

Un dettaglio dell’Alfa che vinse il concorso d’eleganza organizzato dall’Aci.
Foto: Roni Brmalj

Il fascino degli anni ‘30

Ad Abbazia ancora per qualche giorno e poi a Fiume – dove andrà ad affiancare la Giulietta Sprint, presentata nel 1954, la “fidanzata d’Italia, e la Ferrari 308 GTB, che fece il suo debutto al Salone di Parigi del 1975 –, e quindi a Zagabria i visitatori possono e potranno ammirare dunque dei veri e propri gioielli selezionati da una collezione che vanta più di 200 vetture. “Quello che oggi è nell’immaginario collettivo il design italiano dell’automobile nasce nel secondo dopoguerra, negli anni ‘40, ‘50 e ‘60, sono gli anni delle carrozzerie Bertone, Pininfarina, di Giugiaro… nascono le automobili che si vedono ancora su strada. L’Alfa Romeo 8C 2300 è un esemplare precedente, ma crea un collegamento tra le prime automobili e quelle moderne”, chiarisce Mengozzi, e aggiunge: “E poi ci piaceva l’idea di portare ad Abbazia una vettura degli anni ‘30”.

Gli interni dell’Alfa Romeo 8C 2300.
Foto: Roni Brmalj

L’entusiasmo di Biscaretti

In fondo sono gli anni in cui prende forma anche il Museo. Tutto ha inizio nel 1933 con una piccola esposizione realizzata per merito e per volontà di Carlo Biscaretti di Ruffia, il fondatore del MAUTO. “All’epoca le auto erano molto giovani, non erano oggetto di collezione e Carlo Biscaretti di Ruffia che faceva il grafico pubblicitario, infatti, non le acquistò, le ‘raccolse’. Sapeva dove cercare e si adoperò per metterle assieme e fare una mostra a Milano, appunto nel 1933. Lui che aveva respirato la passione per le automobili – il padre Roberto era stato uno dei fondatori della Fiat (1899) e del primo Automobil club d’Italia, a Torino (1898) –, le conosceva, sapeva a chi chiedere, dove rivolgersi. La mostra la realizzò con una ventina di auto donate, perché venivano dismesse, praticamente abbandonate dai proprietari. che le cambiavano. All’epoca – fa presente Mariella Mengozzi – non avevano valore. Quella collezione però fu il nucleo di quello che oggi è il MAUTO. Con l’atto di fondazione firmato dal podestà di Torino il 19 luglio 1933 nasce il Museo dell’automobile e Mussolini lo decreta subito Museo nazionale. Tanto bastò a Biscaretti per essere sempre più motivato nonostante non ci fosse ancora un edificio. Le vetture stavano infatti all’aperto sotto gli spalti dello stadio comunale e proprio per questo oggi al Museo abbiamo alcune vetture mitragliate dagli aerei di combattimento durante la Seconda guerra mondiale – svela la direttrice –. Carlo Biscaretti di Ruffia pubblicava inviti e pubblicità sui giornali, faceva cambi per evitare ‘doppioni’ e per ampliare la collezione del Museo, che ormai tutti chiamavano ‘il Biscaretti’. Gli acquisti furono pochissimi, ma le donazioni diventavano sempre più numerose, sia da privati sia dalle case costruttrici. Certo, Biscaretti era disperato di non avere un luogo dove conservare le vetture e dove farle vedere”.

Times: «Un capolavoro da vedere»

Dovrà aspettare anni, ma poi, qualcosa cambia. “Finalmente, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia nel 1961, la città di Torino trovò un lotto di terreno sul Po, in un quartiere dove si sarebbero svolte le celebrazioni, e – racconta la direttrice del MAUTO – diede incarico di progettare e costruire il Museo nazionale, anche su intercessione dell’avvocato Agnelli che pagò l’architetto, Amedeo Albertini”. Fu così costruito l’edificio nato per ospitare la collezione del Museo nazionale. “Un edificio molto attuale, molto importante, molto sfidante come tecnologia e come innovazione. È un edificio ‘avanti’ come lo è anche il nostro settore”, dice ancora Mariella Mengozzi, che non nasconde l’orgoglio nel ricordare che la sede del MAUTO fu ampliata e sottoposta a restauro nel 2011 in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. “Il percorso fu completamente rivisto dallo scenografo franco-svizzero François Confino e nel 2013 il Times lo incluse nell’elenco dei 50 musei più belli al mondo da visitare. È un vero capolavoro”.

Il Garage del futuro

Visitiamolo. Il percorso si sviluppa su tre piani e procede come un viaggio che inizia alla metà dell’’800 per proiettarsi nel futuro, si conclude infatti nella sala chiamata Destino. Si inizia dal piano alto dove il visitatore può ammirare le tre tecnologie di fine ‘800: il vapore, l’elettrico e il motore a scoppio e ammirare, ad esempio, la Benz del 1886. Subito dopo c’è il Garage del futuro. “È la ricostruzione delle officine in cui venivano costruite le prime vetture. Dal punto di vista strutturale propone il cemento armato, il lucernaio, i carroponti… Qui sono esposte le Numero 1 delle prime case costruttrici, la Benz, la Renault e altre case francesi, c’è la prima Fiat del 1899, la 4 HP, c’è un’Oldsmobile americana… Assomigliano ancora molto alle carrozze”, racconta Mengozzi.

Foto: Roni Brmalj

Itala Pechino-Parigi

La seconda sala è dedicata al futurismo. “Qui troviamo uno dei gioielli del Museo l’Italia 35/45 HP Pechino-Parigi. Realizzata dalla casa costruttrice torinese Itala nota per una meccanica molto precisa e affidabile, partecipò nel 1907 alla corsa lunga 16mila km, appunto da Pechino a Parigi, organizzata dal quotidiano francese Le Matin alla quale parteciparono in cinque. Il principe Scipione Borghese di Roma, che aveva già fatto alcune corse importanti, decise di partire a bordo dell’Italia. Con lui viaggiavano il meccanico Guizzardi per l’assistenza tecnica e il giornalista Luigi Barzini del Corriere della Sera, che scrisse il reportage e lo corredò con fotografie, ma anche il libro Viaggio al centro della terra, che si trova ancora su Amazon. L’impresa durò 60 giorni, l’Itala arrivò per prima a Parigi con 3 settimane, 20 giorni di anticipo, sul secondo che fu una Spyker olandese – racconta Mariella Megozzi –. La vettura esposta al MAUTO è l’originale e ci dà il senso di che cosa significava l’automobile a quel tempo: superare tutte le distanze, potersi permettere di fare qualunque cosa. L’automobile – sottolinea – era una rivoluzione del modo di vivere e le corse sono sempre state uno strumento di comunicazione per le case costruttrici, facevano vedere quanto l’automobile fosse affidabile per fare cose importanti. Quindi, bisognava acquistarle. Per non parlare poi della pubblicità per la marca. L’Itala la vittoria alla Pechino-Parigi la spese bene, un po’ come fece molto tempo dopo la Ferrari con i successi in Formula 1”.

«L’automobile è femmina»

Parliamo di un mondo cronologicamente lontano, in cui tante cose che oggi vengono date per scontate non c’erano proprio. Erano gli anni in cui anche il linguaggio era diverso. L’automobile, ad esempio, veniva declinato al maschile. “Fu Gabriele d’Annunzio in una lettera di ringraziamento al senatore Agnelli, che gli aveva prestato una vettura, a scrivere: Non c’è dubbio, l’automobile è femmina”, fa presente Mengozzi. Ma già prima del passaggio dalla declinazione maschile a quella femminile c’erano già delle signore che guidavano.

“Al MAUTO è esposta ad esempio un’Isotta Fraschini nel cui sportello c’è una patente di guida, quella di Francesca Mirabile Mancusio, una siciliana di Caronia vicino a Palermo, la prima donna a ottenere la patente, nel 1913 solo due anni dopo la sua istituzione in Italia nel 1911 e che guidando arrivò fino al Polo Nord. Donò la vettura a Biscaretti dopo aver visto una sua pubblicità su un giornale”, dice la direttrice. Al Museo si trova anche la Palombella della Regina Margherita. “È la stessa Itala della Pechino Parigi, ma carrozzata per la regina, un’auto da parata tutta lussi e velluti”, spiega Mariella Mengozzi.

Turbina, quasi un aereo

Proseguendo lungo il percorso cronologico, si arriva a una vettura da Oscar, quella che vinse la statuetta nel 1950 con il film Sunset Boulevard di Billy Wilder con Gloria Swanson. “Arrivò al MAUTO perché Biscaretti scrisse a Hollywood per chiederla”, svela Mengozzi facendo notare l’infinito entusiasmo di Biscaretti, che conservò anche tutta la corrispondenza con i donatori. Al secondo piano del Museo una sala racconta la Rivoluzione italiana attraverso le innovazioni degli anni ‘50. A dominare la sala è la Turbina Fiat, un prototipo di fortissima ispirazione aerodinamica con motore a turbina. “Fu costruita nel Lingotto e testata sulla pista del Lingotto e nell’aeroporto di Caselle proprio perché era quasi un aeroplano. All’inizio di quest’anno l’abbiamo esposta in via Montenapoleone, è stato un grande successo”, dice Mengozzi. Di fronte, uno spazio tutto dedicato alla Cisitalia 202 Pininfarina del 1948, l’auto considerata la capostipite delle vetture moderne che fu esposta nel 1951 al Moma di New York a testimonianza del fatto che era stata subito riconosciuta come arte. A fianco la sala dedicata alla Rivoluzione francese, con la Citroën DS, un esempio di vettura molto d’avanguardia dal design italiano, la firma è di Flaminio Bertoni.

La Fiat Turbina.
Foto: Roni Brmalj

Davide e Golia

Il Museo propone poi il confronto tra Davide e Golia. “Sono messe in contrapposizione le grandi limousine americane supercromate con tanti dettagli e l’Isetta, una vettura della BMW ‘in scatola’, più piccola della 500, con lo sportello che si apre dal davanti. Era un disegno italiano della Iso Rivolta, ma in Italia non ebbe molta fortuna. Fu data in licenza alla BMW che in quegli anni di ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale aveva bisogno di un modello da produrre a costi bassi e piazzare sul mercato a un prezzo accessibile. L’Isetta salvò la BMW, ne produssero milioni di esemplari”, racconta Mengozzi. Procedendo lungo il percorso, sempre al secondo piano, si arriva nello spazio dedicato agli anni ‘60 e al pop dove si trovano la Jaguar E type, i modelli legati al cinema, alle serie tv… “C’è anche il Muro di Berlino, abbiamo la ricostruzione di checkpoint Charlie con la cabina della guardia che controllava chi passava il confine e abbiamo la Trabant, la vettura tipica dell’Europa dell’est, contrapposta al mito della Ferrari 365 GTB a rappresentare l’Europa occidentale di quegli stessi anni”, illustra Mengozzi. Il percorso poi prosegue con la sala Destino dedicata alle prospettive future.

La 500 del Presidente Pertini

Ma non è tutto. Nel piano intermedio il MAUTO racconta l’automobile come produzione. “In questo spazio tematico troviamo la Torino capitale dell’automobile. C’è una mappa meravigliosa sulla quale si può camminare e vedere che dalla fine dell’800 fino al secondo dopoguerra in città sono nate 130/140 aziende dell’automobile. Si vede un proliferare per tutta la città, ci sono spazi dove prima è nata la fabbrica e poi la città è cresciuta attorno”, dice Mengozzi. Poteva mancare in un Museo dedicato all’auto una 500? Ovviamente no. “Abbiamo quella che fu del presidente Pertini che la moglie Carla dono alla Città di Torino, che è nostro socio. È esposta con la Mole antonelliana sul tetto. Straordinaria”, svela Mengozzi.

La catena di montaggio

Nell’area “tecnica” del Museo ci sono i componenti, i motori, le ruote, i radiatori, i telai. Da qui si arriva alla catena di montaggio. “Nella sala ci sono le riproduzioni dei murales di Diego Rivera che erano le decorazioni della Ford, la prima fabbrica in serie di automobili al mondo. È esposta anche la Ford T del 1913, la prima vettura prodotta in milioni di esemplari, una vettura per tutti che Henry Ford voleva produrre senza alcuna possibilità di cambiamento rispetto al progetto originale. ‘Qualunque colore purché nero’, amava ripetere. C’è anche una piccola catena di montaggio con un vagoncino dove il visitatore può sedere e fare un giro per vedere come l’automobile, da guscio vuoto, piano piano si riempie, diventa un prodotto finito. Si vede anche l’evoluzione dei sistemi di produzione fino all’automazione di oggi”, spiega Mengozzi. Uno spazio importante è dedicato alla comunicazione, al marketing. “Ci sono delle postazioni dove i visitatori possono sedersi e navigare attraverso le campagne pubblicitarie dagli inizi del ‘900, dei veri e propri film che duravano 20 minuti, fino ai giorni nostri. Proponiamo una selezione delle campagne più belle”, apprendiamo da Mengozzi.

Sezione Formula, la sala più emozionante del Museo.
Foto: Roni Brmalj

Formula, quante emozioni

L’uomo e le corse è il nome scelto per la sala in cui le emozioni non mancano. “Qui c’è l’uomo che guida, ci sono la passione, l’abilità, la voglia di superare i limiti”, spiega la direttrice. Sostanzialmente, è un’introduzione alla sala Formula. “Qui ci sono i box, c’è la pista, una pedana sopraelevata, una proiezione di 60 metri di lunghezza con 20 automobili tutte a ruote scoperte, tutte da formula, da corsa. Qui ci sono le vetture più importanti della nostra collezione. C’è la prima Alfa Romeo che vinse il primo Campionato del mondo Formula 1 nel 1950 con Farina, c’è la prima Ferrari che vinse il Mondiale nel 1952 e che fu donata da Enzo Ferrari a Biscaretti. Lui non era interessato a fare un museo e oggi siamo noi a prestarla a Maranello… Qui si trovano vetture straordinarie, è – ammette Mariella Mengozzi – una delle sale più emozionanti del Museo”.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display