Claudio Ugussi si racconta La scrittura e la pittura: un «male di famiglia»

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Claudio Ugussi si racconta La scrittura e la pittura: un «male di famiglia»

BUIE | Lo scrittore, pittore e poeta Claudio Ugussi, una delle colonne portanti della cultura della Comunità Nazionale Italiana, è stato insignito lo scorso dicembre del primo premio nella categoria della Prosa in lingua italiana al Concorso d’arte e di cultura “Istria Nobilissima” per il racconto “Confronto al limite” con la motivazione “All’interno della visione del paesaggio istriano marino, la vicenda narrativa s’ispira a un realismo caratterizzato da squarci poetici”. Instancabile nella sua attività creativa, lo scrittore e pittore connazionale continua a pianificare nuovi progetti e a dedicarvisi con passione e approccio critico che da sempre lo caratterizzano. Lo abbiamo raggiunto nella sua bella casa a Buie, dalla quale si apre una splendida vista sul paesaggio che da sempre vive nei suoi dipinti, per conoscere più a fondo la sua opera e ciò che lo ispira nella sua attività.

Questa non è la prima volta che vince un premio a Istria Nobilissima…

“Ne ho vinti molti, sia nel campo della pittura che nel campo della letteratura. I premi sono importanti perché sono una prova che ciò che faccio ha un valore. Un premio è sempre un incentivo per andare avanti. Nel corso dei decenni sono stato insignito di diversi riconoscimenti e molti mi sono stati conferiti anche in Italia.”

Di che cosa tratta l’opera per la quale è stato premiato?

“Per risalire all’opera è necessario comprendere ciò che viene prima, cioè l’amore che abbiamo in famiglia per la barca e la navigazione dal tempo di mio nonno, dei miei zii, fino a me e ai miei fratelli. Quindi, la barca può considerarsi una specie di obbligo a casa nostra. Dopo essermi stabilito a Buie, dove ovviamente non era possibile avere una barca perché qui non c’è il mare, acquistai un’imbarcazione di piccole dimensioni (una passera) che tenevo a Umago. Qualche anno dopo mi procurai una barca a vela di sette metri a Rovigno, con la quale navigavo nelle vicinanze, non oltre Lussino e Veglia. In seguito decisi di acquistare un’imbarcazione più grande con la quale poter navigare fino in Dalmazia, ovvero fino all’isola di Meleda.
Giungiamo ora al racconto. Esso si riferisce alla barca a vela con la quale il personaggio – che non è detto che sia autobiografico – assieme alla sua compagna vuole andare in un posto isolato. Decide di salpare verso il canale di Arsia, dove vent’anni fa i turisti erano rari e il posto era solitario, selvaggio, con un mare profondo, limpido e bellissimo. Approdano in una baia con questa barca solida, ben attrezzata, anche se un po’ vecchia. Il protagonista aveva deciso di partire per il canale di Arsia anche per approfondire il loro rapporto, in quanto la vita di città e gli obblighi quotidiani spesso impediscono di conoscersi più a fondo, mentre stare in un posto selvaggio da soli aiuta a conoscere meglio sé stessi e la persona con cui si è in compagnia. Dopo un certo tempo, però, decidono di tornare nell’Istria occidentale. Sono nudi a bordo. Salpano verso la punta dell’Istria e vedono delle persone che stanno pascolando le capre. Sono delle anziane vestite di nero che, dopo avere notato la coppia svestita a più di cento metri di distanza si mettono a gridare in croato ‘Vergogna! Dio vi castigherà!’. I due proseguono e sul punto di uscire dalla baia sentono che il vento inizia a soffiare più forte. Il maestrale è di solito un bel vento, ma questa volta non è così. Poco a poco, il vento rafforza e la compagna del protagonista inizia ad avere paura. Suggerisce di tornare indietro, ma il protagonista è deciso a proseguire, visto che sono ormai a metà strada. Nel frattempo, il vento si intensifica e le vele sono tese al massimo, tanto che la barca inizia a imbarcare acqua. Egli, però, è deciso a sfidare il mare, anche se potrebbe ancora tornare indietro, deciso ad affrontare questa sfida al limite per vedere fino a che punto la barca e il suo corpo potranno sopportare la furia del vento. Questo diventa un confronto tra l’essere umano e la natura”.

Un racconto diverso

“Si tratta di un racconto del tutto diverso da quelli che scrivo di solito – spiega Ugussi – e da quelli dei miei colleghi. Infatti, solitamente parliamo di temi sociali, storici, problemi della minoranza. Questo tratta, invece, del rapporto dell’uomo e della donna con la natura e può essere compreso a ogni latitudine. È pure un confronto con il limite, in quanto se questo fosse stato superato, la barca si sarebbe rovesciata. Il protagonista ha rischiato ed è riuscito infine a virare e ad attraccare nel porto di Medolino. È un confronto con la natura e una scuola di vita. L’uomo si sente tutt’uno con la barca e le onde, e diventano quasi un essere unico. Ho scritto questo racconto diversi anni fa, ma non ho voluto inviarlo al concorso ‘Istria Nobilissima’ per dare spazio ai giovani. Poi un giorno l’ho trovato in un cassetto, l’ho riletto, mi è piaciuto e ho deciso di spedirlo”.

L’amore per il mare

“Questo, però, non è il mio primo racconto legato al mare. Ho già scritto in precedenza il ‘Diario di bordo’, un racconto che fa parte della raccolta ‘Il nido di pietra’. Qui avevo descritto il viaggio da Cittanova fino a Meleda, fatto proprio nel periodo in cui l’ex Jugoslavia si stava disfacendo. Per illustrare l’instabilità della situazione, basti dire che partimmo da Cittanova sotto la bandiera jugoslava, ma una volta arrivati in Dalmazia, dopo aver superato l’isola di Sansego, vedemmo venirci incontro una barca di pescatori con la bandiera croata. Avendo notato la bandiera jugoslava si misero a gridare di metterla via, arrabbiatissimi. A questo punto, per evitare problemi, togliemmo la bandiera jugoslava e la sostituimmo con quella italiana, in quanto non disponevamo ancora di quella croata. Al nostro ritorno, però, anche in Istria c’era la Croazia, per dire”.

Oltre a scrivere, si occupa sempre di pittura?

“Per il momento no, perché soffro di problemi alla schiena, per cui evito di salire al piano di sopra, dove c’è il mio studio. Tuttavia, sono sempre immerso nella pittura con la mia mente. Nel corso degli anni ho alternato la pittura alla scrittura regolarmente. Non mi occupavo mai di entrambe le arti contemporaneamente.”

Da dove scaturisce il bisogno di scrivere e di dipingere? Sono due cose complementari per lei?

“Direi che la pittura e il disegno sono un ‘male di famiglia’. Mio padre fu un bravissimo disegnatore, mentre i miei due fratelli sono pure pittori. La scrittura, invece, è stata sempre un mio intimo bisogno. Avevo bisogno di parlare del nostro passato. Il primo libro, ‘La città divisa’, racconta i fatti accaduti a Pola nel secondo dopoguerra. A vent’anni avevo deciso di raccontare la nostra storia, altrimenti non avrei avuto pace. Avevo il libro dentro di me e l’ho scritto in sei mesi. Comunque, la scrittura viene dopo la pittura, alla quale mi appassionai già da ragazzo. Fui allievo di Romolo Venucci e in classe facevo i ritratti dei compagni di scuola. Venucci mi seguiva perché aveva capito subito che ero dotato per la pittura. Dopo essermi stabilito a Buie, accadde un giorno che Venucci mi capitò a casa perché aveva avuto il compito di venire in Istria per vedere che cosa facessero i pittori connazionali. Guardò con attenzione tutti i miei dipinti e si avvicinò a quello a cui stavo lavorando in quel periodo, un po’ in stile cubista. Il tratto era molto leggero, per cui commentò: ‘Ugussi, lei è un grande uomo, ma fa un dipinto così delicato. Come mai?’. Dopo che se ne andò, presi arrabbiato un pennello grosso e dipinsi sul quadro alcuni segni neri. Era il 1960.”

Il suo opus pittorico comprende anche dipinti astratti…

“Certo. Poco alla volta, si libera l’astrattismo. Io parto da ciò che ho fatto e decompongo i motivi figurativi per giungere alle composizioni astratte.”

La sua espressione artistica è stata influenzata da un pittore o da una corrente pittorica?

“Sulla mia pittura hanno influito tantissimi artisti, anche lo stesso Venucci, sebbene non ero sempre d’accordo con le sue idee. Lui diceva di ridurre sempre tutto in forme geometriche: il naso in un parallelepipedo, le guance in due sfere e via dicendo. Molte delle sue opere erano concepite in questo senso. Anch’io sono partito da questo procedimento per rendere le forme più consistenti e stabili, ma poi ho proseguito per la mia strada. Mi attraeva il paesaggio abbandonato del Buiese, le case vuote e tristi perché la gente se n’era andata, avevo modificato le tonalità della mia tavolozza per essere più vicino a questo ambiente, pur tenendo a mente la scuola di Venucci riguardo alla costruzione delle forme. Sul mio lavoro hanno influito anche i pittori francesi dell’impressionismo e gli americani, soprattutto Pollock e Stella, pochi tedeschi e alcuni pittori croati. Nella letteratura, invece, non mi sono lasciato influenzare, anche se leggevo tanto e continuo a farlo.”

Per trent’anni ha lavorato come insegnante nella Scuola Media Superiore Italiana “Leonardo da Vinci” di Buie. Era severo con gli studenti?

“Non ero severo. Credo di essere stato un insegnante abbastanza moderno, vicino ai giovani, tanto che mi chiamavano addirittura zio Ugo. Quando avevano dei problemi, venivano sempre da me per un consiglio. Ancora oggi si ricordano di me e ci incontriamo volentieri.”

Ha in programma qualche nuovo racconto?

“Attualmente sto pianificando un nuovo libro che verrà pubblicato entro la fine di quest’anno dalla Durieux, tramite la filiale di Pola della Società degli scrittori della Croazia. Il titolo sarà ‘Pagine sparse e poesia’, perché includerà tutti gli articoli più interessanti che ho scritto in questi anni: critiche letterarie, saggi sulla minoranza, su Matvejević, Tomizza, Quarantotti-Gambini, il racconto inedito per il quale sono stato appena premiato a ‘Istria Nobilissima’ e diverse poesie. Proprio di recente sono stato contattato da un professore di Vienna, membro dell’Accademia delle Arti e delle Scienze, il quale mi ha riferito di avere letto i miei racconti e di volerli tradurre e pubblicare in tedesco. Quindi, prossimamente avrò anche questa soddisfazione.”

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