Claudio Ugussi. «La nostra è la poetica della sopravvivenza»

A colloquio con lo scrittore, pittore e poeta Claudio Ugussi, vincitore del primo premio al Concorso d'Arte e di Cultura «Istria Nobilissima» nella categoria Prosa in lingua italiana

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Claudio Ugussi. «La nostra è la poetica della sopravvivenza»
Foto: ŽELJKO JERNEIĆ

Instancabile nella sua attività creativa, lo scrittore, pittore e poeta Claudio Ugussi ha vinto lo scorso dicembre il primo premio al Concorso d’Arte e di Cultura “Istria Nobilissima” per l’opera “Fuori regola” nella categoria Prosa in lingua italiana, con la motivazione “un racconto che si dipana attraverso dettagli di vita quotidiana che ricostruiscono senza retorica un’epoca di transizione forzata, in uno stile asciutto ed essenziale con luoghi e personaggi ben delineati”. Per l’inossidabile connazionale, la cui creatività spazia in diversi campi e come tale si inserisce tra gli apici della produzione culturale della Comunità Nazionale Italiana, il premio “Istria Nobilissima” si aggiunge ai numerosi riconoscimenti ottenuti nel corso della sua illustre e appagante carriera, di cui molti sono stati vinti proprio nell’ambito del Concorso promosso dall’Unione Italiana e dall’Università Popolare di Trieste.

I microcosmi
“Per spiegare il mio racconto ‘Fuori regola’, ‘usurperei’ il titolo usato da Claudio Magris per il suo libro ‘Microcosmi’, un’opera molto attuale che sto rileggendo in questo periodo – ha esordito Ugussi -. Perché ‘microcosmi’? Perché il mio racconto fa parte di un microcosmo. Come Magris racconta i microcosmi delle isole dei Lussini, dell’Istria, io racconto il nostro microcosmo, una vita che si svolge in una cittadina istriana subito dopo l’esodo, nel 1947. Il mio primo libro, ‘La città divisa’, trattava invece il periodo dal 1944 al 1947 e finiva con l’esodo da Pola e la partenza della motonave Toscana. Questo racconto lungo invece è un microcosmo di ciò che succede poco dopo la partenza di tanti italiani da queste terre. In una cittadina dell’Istria c’è un convitto di scuola media e liceo che ospita una moltitudine di ragazzi istriani che prima non si conoscevano. All’epoca le persone non si spostavano con facilità come accade oggi: chi stava a Pola rimaneva a Pola, chi era a Gallesano rimaneva lì. Nel convitto, invece, tutti gli studenti, che provengono da diverse parti della penisola, parlano e studiano l’italiano, si conoscono e capiscono che sono tutti figli di questa terra istriana e che fino a quel momento erano rimasti divisi. Nel convitto, dove si vive, si mangia e si studia, nascono dei conflitti perché comunque ci sono delle differenze tra loro. Ad esempio, quelli che vengono da Pisino sono figli della borghesia rimasta ancora per poco, ma ci sono anche i figli di contadini, che vengono da Dignano, e poi i figli dei polesi. Ognuno di loro porta con sé una parte del suo mondo che si intreccia in questo microcosmo e vengono fuori anche dei contrasti di carattere ideologico, non soltanto di carattere personale. Il racconto, quindi, parla di quel periodo, quando imperversa il lavoro volontario domenicale, per Natale e per Pasqua. Questo lavoro era quasi obbligatorio perché chi non si iscriveva e non andava a questi lavori, non avrebbe avuto poi il diritto di ritornare al convitto”.

Il rifiuto delle nuove regole
“Il racconto è abbastanza lungo, conta una cinquantina di pagine – ha spiegato -. Doveva essere un libro, ma poi ho avuto dei problemi di salute abbastanza complicati per cui ho interrotto la scrittura trasformando il testo in un racconto lungo, che spero di riprendere e di farne un romanzo completo.
Questo racconto è interessante perché è una via di mezzo tra il romanzo ‘La città divisa’ e i racconti che vengono dopo. L’ho intitolato ‘Fuori regola’ perché il personaggio principale Valerio non vuole e non può vivere secondo le regole del nuovo sistema che si sta instaurando.
C’è da dire che in questi passaggi di microcosmi, di fatti storici, ci si chiede come mai i ‘rimasti’ si siano svegliati un po’ in ritardo per raccontare le vicende di quell’epoca. Le prime espressioni furono di carattere poetico o si preferiva l’arte figurativa: così si poteva dire ed esprimere molto di più senza essere malvisti. Era improbabile che un politico di quella volta capisse qualcosa di arte contemporanea. La seconda forma che permetteva di esprimere i propri pensieri più liberamente era la poesia. Noi siamo fortunati perché abbiamo potuto avere come esempio dei poeti italiani, ovvero gli ermetici come Ungaretti, Montale e altri, per esprimerci. C’era poi la poesia dialettale, anch’essa difficile da interpretare, come quella che scrivevano Ligio Zanini, Loredana Bogliun e altri poeti. Il mio racconto parla invece in modo abbastanza esplicito della nostra storia tra il 1947-1949”.
Il suo racconto può venire quindi inteso come una continuazione del suo primo libro?
“Il racconto effettivamente riprende nel punto in cui si è concluso il libro. In un certo senso, si tratta di un racconto autobiografico, ma è anche biografico per coloro che subiscono la storia. Durante gli studi a Zagabria, all’Università c’erano tanti istriani, anche italiani, e quasi tutti noi dopo aver finito gli studi tornammo in Istria. Pochissimi se ne andarono via. Eravamo troppo attaccati alla nostra terra per lasciarla. Andare a studiare rappresentava per molti un grande sacrificio. A Zagabria e durante le vacanze estive ho sempre lavorato, ho fatto tutti i lavori possibili per poter tirare avanti. Non era facile. I momenti più belli erano quelli in cui potevamo darci all’arte, ossia alla pittura e alla poesia, successivamente alla narrativa. Questo racconto è nato trent’anni fa, ma poi è rimasto nel cassetto, mentre recentemente ho deciso di dargli le ultime ‘pennellate’ per poterlo inviare al Concorso.
Parlando del Concorso, possiedo tutti i numeri dell’antologia di ‘Istria Nobilissima’ e quando le guardo sono orgoglioso della produzione di noi ‘rimasti’. Questo è il nostro tesoro, ma è un peccato che l’antologia non viene più pubblicata in quanto la più grande ambizione per uno scrittore è vedere la sua opera scritta e letta, capita. Spero che si riprenderà a stamparla.
In questo momento leggo molto. Oltre a Claudio Magris, ho ripreso a leggere gli autori russi, ma anche Kundera e vedo che raccontano più o meno quello che è successo a noi. Ad esempio, Kundera ci fa sapere che quando i russi vennero a Praga, cambiarono tutti i nomi delle strade e piazze in nomi di artisti, poeti e politici russi, mentre i nomi antichi di Praga vennero cancellati.
Vorrei aggiungere pure che, anche se ci occupiamo di cose diverse, ovvero siamo pittori, scrittori, poeti abbiamo tuttavia una poetica comune. La nostra è la poetica dei rimasti, di coloro che vogliono far vivere la nostra cultura e il nostro dialetto. La nostra è la poetica della sopravvivenza o della resilienza, come si usa dire oggi”.

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