«Ci vedremo presto sul palco, a criticare…»

Giornata Mondiale del Teatro: l’augurio di Giuseppe Nicodemo

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«Ci vedremo presto sul palco, a criticare…»

Caro pubblico,
scrivo queste righe con una pietra nel cuore, il 27 marzo, Giornata mondiale del Teatro. Vorrei riproporre il messaggio che, dal 1962, viene affidato a una personalità della cultura mondiale per testimoniare le riflessioni vive sul tema del teatro e della cultura della pace dall’International Theatre Institute dell’Unesco. Quest’anno il pensiero è quello del drammaturgo pakistano Shahid Nadeem. (Traduzione di Roberta Quarta per il Centro Italiano dell’International Theatre Institute).
Alla fine di uno spettacolo del Teatro Ajoka sul poeta sufi Bulleh Shah, un uomo anziano, accompagnato da un giovane, si avvicinò all’attore che aveva interpretato il ruolo del grande Sufi (3) e gli disse: “Mio nipote non sta bene, per favore, lo benedica”. L’attore rimase sorpreso e gli rispose: “Non sono Bulleh Shah, sono solo un attore che interpreta questo ruolo”. L’uomo anziano gli disse: “Figlio mio, tu non sei un attore, sei una reincarnazione di Bulleh Shah, il suo avatar”. Improvvisamente si dischiuse davanti a noi un concetto completamente nuovo di teatro, in cui l’attore diventa la reincarnazione del personaggio che sta interpretando. Esplorare storie come quella di Bulleh Shah, e ce ne sono tante in tutte le culture, può diventare un ponte tra noi, persone di teatro e un pubblico inconsapevole, ma entusiasta. Quando siamo sul palcoscenico, a volte veniamo assorbiti dalla nostra filosofia di teatro, dal nostro ruolo di precursori del cambiamento sociale e ci dimentichiamo di gran parte delle masse. Nel nostro impegno con le sfide del presente, ci priviamo della possibilità di un’esperienza spirituale profondamente toccante che il teatro può offrire. Nel mondo di oggi in cui l’intolleranza, l’odio e la violenza aumentano sempre di più, e in cui il nostro pianeta sta precipitando nella catastrofe climatica, abbiamo bisogno di recuperare la nostra forza spirituale. Abbiamo bisogno di combattere l’apatia, l’indolenza, il pessimismo, l’avidità e il disprezzo per il mondo in cui viviamo, per il pianeta in cui viviamo. Il teatro ha un ruolo, un ruolo nobile, nel dare energia e spingere l’umanità a resistere alla sua caduta nell’abisso. Il teatro può trasformare il palcoscenico, lo spazio dello spettacolo, rendendolo qualcosa di sacro. Nell’Asia del sud, gli artisti toccano con riverenza le assi del palcoscenico prima di salirvi sopra, secondo un’antica tradizione che risale a un tempo in cui lo spirituale e il culturale si intrecciavano. È tempo di riguadagnare questa relazione simbiotica tra l’artista e il pubblico, tra il passato e il futuro. Fare teatro può essere un atto sacro e gli attori possono davvero diventare gli avatar dei ruoli che interpretano. Il teatro ha il potenziale per diventare un tempio e il tempio uno spazio dello spettacolo.
In questi giorni mi manca andare allo Zajc, provare coi miei colleghi, recitare davanti al pubblico, bere il caffè al bar del teatro. Sono a casa, come tutti, perché dobbiamo stare a casa, per fermare questo nemico invisibile, per proteggere e prendersi cura dei più deboli: anziani, malati, immunodepressi.
La nostra società inquinata che coltiva il mito del più forte, del lavoro, del correre ed apparire, sembra sia stata colpita dalla dantesca legge del contrappasso.
Si deve stare a casa senza vedere nessuno, senza parrucchieri, jogging, aperitivi, auto, viaggi…
L’aria è più pulita, le strade vuote, i negozi, i cinema, le biblioteche, i musei, le scuole e i teatri chiusi.
Ci siamo svuotati e sgonfiati come una bolla di sapone; abbiamo corso per 70 anni per nulla. Siamo stati fermati dal SARS-CoV-2, un virus 600 volte più piccolo del diametro di un capello, e ora dobbiamo difenderci dalla gocciolina di uno starnuto, da una stretta di mano, da una coda alle poste.
Tutte queste elucubrazioni mentali mi riempiono il cervello mentre sto a casa e mi occupo delle piante sulle scale del condominio: limone, avocado, gelsomino, fico d’India, basilico e le altre mie amiche che mi danno tante soddisfazioni. Ho cominciato anche a contare le foglie delle piante durante la pulizia, ma credo sia un sintomo di disturbo mentale, per cui è meglio soprassedere (ride). Leggo, scrivo, guardo spettacoli su Rai 5 (per alcuni no comment!), ascolto tanta radio, parlo con i miei amici e la mia famiglia al telefono. Dall’Italia mi arrivano solo notizie brutte, ma siamo forti e supereremo anche questa, come qui in Croazia, ma ci vorrà tempo e pazienza.
Sentire i miei colleghi attori in Italia “restati in braghe di tela” dopo la chiusura dei teatri mi fa sentire privilegiato a lavorare in una struttura a cui do tanto, ma che allo stesso tempo mi protegge e sostiene.
Abbiamo registrato nel palcoscenico pressoché vuoto alcune fiabe della buona notte prima che chiudessero definitivamente il teatro. Da casa, poi, abbiamo registrato delle poesie con il nostro telefonino: tutti questi video sono disponibili sulle pagine Facebook del Teatro e del Dramma Italiano e su YouTube.
Mi ha fatto un certo che, devo dire la verità, prepararmi in camera mia per il video e poi andare in cucina a “lavorare”.
Lo racconterò sicuramente un sacco di volte, quando diventerò vecchio.
Avevo cominciato così bene col messaggio del drammaturgo e sono finito a parlare dei fatti miei.
Restate a casa, proteggetevi e proteggete i vostri cari.
Ci vedremo presto a teatro a criticare gli spettacoli, i costumi, a brontolare sulle gestioni varie, a chiederci dov’è finito l’Italiano… Ora come ora attendo con ansia di sentire brontolare la gente accanto a me, basta che sia a teatro, sul palcoscenico, a recitare, a fare il mio lavoro.
Ora vi saluto, che devo andare a contare le foglie del rosmarino.
Giuseppe Nicodemo

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