«Babae», un esperimento riuscito di tecnologia VR

Per la prima volta in Croazia gli spettatori all’HKD hanno avuto l’opportunità di visionare una performance di danza contemporanea con l’utilizzo della tecnica della realtà virtuale

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«Babae», un esperimento riuscito di tecnologia VR

Alla Casa croata di cultura (HKD) di Sušak ha avuto luogo un evento che per certi versi segna un momento storico per la scena artistico-culturale croata (e forse anche mondiale): per la prima volta in Croazia, le persone hanno avuto l’opportunità di visionare una performance di danza contemporanea con l’utilizzo della tecnica della realtà virtuale (VR).

 

 

Il progetto «Springback Ringside»
Ideata e interpretata da Joy Alpuerto Ritter, danzatrice e coreografa statunitense di origini filippine cresciuta in Germania, la performance intitolata “Babae” fa parte del progetto “Springback Ringside” dell’hub Aerowaves, di cui fa parte anche l’HKD fiumana. L’intento dichiarato dell’iniziativa è quello di studiare le possibilità della ripresa di performance di danza con la tecnica VR per scopi documentativi, piuttosto che creare lavori specificatamente per tale tecnologia, come verrebbe da pensare. In particolare, stando alla pagina web ufficiale di Aerowaves, il progetto vuole rispondere alla domanda: è possibile provare empatia cinetica attraverso la VR? Grazie alla collaborazione con il Centro culturale Španski borci di Lubiana, il Festival ceco Tanec Praha e l’HKD di Fiume, la performance “Babae” di Joy Alpuerto Ritter è stata presentata per la prima volta in formato VR. Un’esperienza unica che sfugge a qualsiasi etichetta o genere, pur basandosi su un tipo di performance che già a partire dalla prima metà del Novecento si è conquistata il suo posto sulla scena artistica internazionale.

 

Dal femminile al rituale
Seduti sulle poltrone poste sul proscenio dell’HKD e rivolte verso il fondale, gli spettatori hanno potuto visionare “Babae” grazie agli occhiali VR forniti dagli organizzatori che, prima dell’inizio, hanno introdotto al pubblico il progetto, dando tutte le informazioni necessarie per la corretta visione del lavoro. Grazie all’utilizzo della tecnologia VR, ogni spettatore ha potuto assistere a “Babae” avendo la sensazione di trovarsi proprio su un proscenio, sullo stesso piano e nello stesso spazio in cui la performer si esibisce non infrangendo ciononostante la quarta parete. A differenza di molte esibizioni di danza contemporanea che, incentrate su una trasposizione simbolica e concettuale di elementi che di conseguenza risultano difficilmente decifrabili, quella di Joy Alpuerto Ritter è una performance che riesce a comunicare anche con lo spettatore che per la prima volta si avvicina alla danza contemporanea. Reinterpretando e ispirandosi alla danza della strega (“Hexentanz”) di Mary Wigman, una delle pioniere della danza moderna, la coreografa statunitense esplora il rapporto tra la femminilità e la ritualità, in cui la figura della donna arriva a incorporare gli impulsi nascosti dell’anima. L’assoluta padronanza dei movimenti del corpo di Joy Alpuerto Ritter offre così agli spettatori l’immagine della dimensione rituale, femminile e, allo stesso tempo, animalistica della danza. Il risultato di una tale creazione è un’armonia di elementi eterogenei che, in un certo senso, danzano insieme alla performer, comprendenti la danza rituale filippina, l’hip hop e il voguing, racchiusi nella cornice della danza della strega di Mary Wigman. Come altri lavori che rientrano nel genere della danza contemporanea, nemmeno “Babae” (che nella lingua tagalog delle Filippine significa “donna”) segue un filo narrativo, limitandosi invece a dare forma fisica al concetto mistico della danzatrice-strega-sciamano. Nella performance della durata di 35 minuti, Joy Alpuerto Ritter si esibisce su un palcoscenico di circa 30 metri quadri di superficie, accompagnata da una partitura musicale che incorpora suoni e rumori della natura, come il canto degli uccelli che, prima silenziosamente poi sempre più chiassosamente, introduce la coreografia. Lo spazio della performance è delimitato da cinque vasi di ceramica che, nella seconda parte del pezzo vengono posti uno sopra l’altro. Da uno dei recipienti, nel finale della danza, la performer estrae una polvere brillante rossa, quasi a indicare la fine dell’esplorazione della figura della donna, ovvero il momento in cui viene raggiunta la parte carnale, il sangue, il centro della femminilità e della ritualità di cui la donna-strega-sciamano è portatrice. È proprio così che si conclude “Babae”: una volta toccata l’essenza del lavoro, la performer raccoglie i cinque vasi, li pone sulla propria testa e si allontana dalla scena.

Il pubblico ha seguito la dimensione rituale, femminile e animalistica della danza

Non uno spettacolo teatrale
Durante tutta la durata della performance, ciascun spettatore, grazie ai visori VR, ha la sensazione di trovarsi da solo di fronte alla danzatrice, potendo vedere gli elementi del palcoscenico che di solito vengono nascosti dalla visione del pubblico, come il fondale, le quinte e le luci di scena. Come accennato, si tratta di un’esperienza unica, che risulta difficile collocare nelle consuete categorie e generi artistici. Tuttavia, ciò che è certo è che non si tratta di uno spettacolo teatrale, o di qualsiasi performance riconducibile al teatro, in quanto mancano i due elementi chiave che caratterizzano l’esperienza teatrale, ovvero il rapporto con il pubblico e il “qui e ora” della rappresentazione. Se è vero che, grazie agli occhiali VR, da un lato abbiamo la sensazione di trovarci vicini alla performer, dall’altro lato si tratta di un’illusione di vicinanza: pur vedendo “da vicino” la danza, lo spettatore non è davvero lì, nella sala teatrale, di fronte o accanto alla performer, e non può vedere sé stesso all’interno di questo spazio. Allo stesso modo, la danzatrice non può in nessuna maniera percepire lo spettatore e ricevere quel preziosissimo feedback del pubblico nel corso dell’esecuzione, che modifica, stimola e rafforza (o indebolisce) l’esecuzione. D’altro canto, si tratta di una performance rappresentata in un altro luogo e in un altro tempo che, in questo modo, non dà spazio a tutto ciò che avviene durante un’esibizione dal vivo, come il sudore del performer o il calore emanato dal suo corpo come da quelli degli spettatori che in quello stesso momento vengono a formare quell’ambiente e quella particolare esperienza condivisa. Ciò che in questo modo viene offerto alla visione del pubblico è una performance forse troppo “perfetta”, che pertanto si discosta molto da uno spettacolo teatrale o da un’esibizione di danza di cui è pressoché impossibile individuare due repliche identiche.

 

Relazione tra scena e spettatore
Ciononostante, il progetto dell’Aerowaves offre, in quest’epoca di crisi del teatro dovuta alla pandemia da Covid-19, un’esperienza quanto più vicina alla visione di uno spettacolo teatrale senza le restrizioni attualmente in vigore, come sottolineato dal direttore dell’HKD Edvin Liverić Bassani in occasione dell’incontro Zoom con l’autrice organizzato al termine dello spettacolo. “Babae” non è, infatti, un lavoro creato specificatamente per la tecnologia VR, bensì nasce come una performance dal vivo, allestita per un pubblico che assiste allo spettacolo in presenza. “Questo lavoro non vuole e non può essere una sostituzione dello spettacolo dal vivo”, ha spiegato l’autrice. “Una rappresentazione registrata e allestita con la tecnologia VR – ha aggiunto – non può prendere il posto di una performance di fronte a un pubblico, in quanto il rapporto con lo spettatore rimane la vera essenza dell’esperienza teatrale”.
In ogni caso, può considerarsi assolutamente riuscito l’esperimento di Springback Ringside che, senza alcuna pretenziosità, indaga la relazione tra la scena e lo spettatore e le modalità con cui è possibile instaurare un tale rapporto anche in epoca di restrizioni rigorose imposte alle esibizioni dal vivo. Ciò che indubbiamente ha garantito l’ottimo esito del progetto è l’innegabile talento artistico di Joy Alpuerto Ritter che, seppur a distanza di luogo e di tempo, riesce a comunicare con il pubblico esprimendo un concetto che supera le consuete distinzioni tra il femminile, il rituale, il mistico e l’animalistico.

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