«Aspettando Oreste», il terribile trionfo del destino

Notti estive fiumane. Nella pièce firmata da Lada Kaštelan, per la regia di Livia Pandur, le due eroine Elettra e Clitennestra sono state elevate al livello della relazione archetipica tra madre e figlia, malata e avvelenata da un clima di sfiducia e diffidenza

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«Aspettando Oreste», il terribile trionfo del destino
Nikša Eldan, Dea Presečki, Nina Violić, Filip Eldan e sotto Beti Lučić. Foto: GORAN ŽIKOVIĆ

Nell’ambito delle Notti estive fiumane, presso il quartiere artistico Benčić, il TNC di Varaždin ha messo in scena la pièce “Aspettando Oreste”, firmata da Lada Kaštelan e rifacentesi alle tematiche dell’“Elettra” sofocliana. L’opera si concentra sul conflitto tra madre e figlia, Elettra e Clitennestra, eccellentemente interpretate da Dea Presečki e Nina Violić, eroine tragiche che, secondo i classici canoni della tragedia antica, indipendentemente dal loro volere, non possono sfuggire al destino.

Il «complesso di Elettra» al centro di tutto
La tragedia della figlia degli Atridi, che grandeggia il dolore delle due donne, è stata affidata alla nota drammaturga e produttrice slovena Livija Pandur, che l’ha ambientata “dentro” una scarna e fredda struttura di latta in verticale ideata da Marko Japelj, abilmente inserita nel contesto del quartiere artistico, in cui ha assunto un carattere ancora più surreale. La scenografia, costituita da un cortile, un appezzamento di terra, un ceppo e qualche secchio, a modo di quella sofocliana si è presentata programmaticamente astorica, senza date né luoghi e piuttosto che riportare la realtà ha manifestato gli incubi, le paure, le frustrazioni, le sofferenze e i tanti altri elementi inconsci e repressi delle protagoniste tradotti negli oggetti di scena. In una dimensione psichicamente claustrofobica, dominata da tormenti e solitudini disperate, sconfinate e senza rimedio, la regista ha puntato sulla drammatizzazione del “complesso di Elettra”, elaborato da Carl Gustav Jung quale corrispondente femminile di quello di Edipo, codificando in termini psicanalitici l’odio verso la madre e l’identificazione col padre.

Paure, frustrazioni e sofferenze provate dai bravissimi attori.
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Le due eroine
Da un lato, assetata di vendetta e inflessibile nel suo odio verso la genitrice e verso il suo amante Egisto, crudeli assassini del padre Agamennone, Dea Presečki nel ruolo di Elettra rantolava, si dimenava, batteva e si sbatteva per terra in un esercizio fisico incessante, praticando coscientemente la pazzia, il phronein kakos (unica reazione possibile in un mondo che rifiuta di incarnare i suoi valori?) e sottraendo il suo lutto a ogni dimensione sociale. In tale contesto, le rabbiosamente spesso urlate “sempre” e “mai” sono parole chiave irrisolvibili in una reintegrazione comunitaria. Dall’altro, carica di pathos, spaventosamente determinata e passionale, temibile nella sua lotta contro un fato avverso, ha dominato e affascinato la figura complicata e controversa di Clitennestra. Ingannata dal marito, costretto a sacrificare la figlia Ifiginia per rimediare a un sacrilegio nei confronti della dea Artemide e fare salpare le navi per Troia, scegliendo così di essere re e non padre, ha deciso di ucciderlo, trasformandosi da vittima in colpevole. Un crimine di cui, però, non si è pentita e che, anzi, accecata dall’ira e dal rancore che hanno oscurato ogni altro sentimento e annullato ogni dubbio sulla liceità dello stesso, continuava a festeggiare.

Dea Presečki nel ruolo di Elettra.
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I coreuti e il confronto
Per chiara intenzione di Pandur nella rappresentazione le due eroine sono state elevate al livello della relazione archetipica tra madre e figlia, malata e avvelenata da un clima di sfiducia e diffidenza e, nello struggente momento del confronto finale (terzo atto), l’unico distorto residuo di reciprocità si è manifestato in un perenne contraccambio di accuse e recriminazioni. Prima dello stesso il pubblico, sapientemente guidato dall’efficace scrittura di Lada Kaštelan, ha avuto modo di entrare e conoscere il milieu d’azione dei personaggi, come pure, attraverso i monologhi di Presečki e Violić (primo atto), di approfondire la loro natura e le motivazioni che le avevano o avrebbero spinto a commettere i gesti compiuti o pianificati, fornendo a entrambe solide argomentazioni atte a giustificarli. Nel secondo atto l’autrice ha deciso di riprendere il testo del primo, stavolta sotto forma di monologo dialogato e facendo entrare in scena quelli che nelle tragedie antiche erano i coreuti, qui interpretati da Beti Lučić, Elizabeta Brodić, Filip Eldan e Nikša Eldan. Come nelle stesse, a mo’ di personaggio collettivo non ben definito, essi esprimevano una sorta di eco delle frasi e riflessioni delle protagoniste, incline a rafforzare e cristallizzare le ossessioni e le fissazioni con le quali Elettra e Clitennestra sono entrate nell’intenso incontro finale. Un raffronto crudo e inquietante nelle parole finalmente dette, nelle verità gridate, negli sguardi infuocati e impotenti, prigioniero di gesti e atti incontrollabili, figli di forze trainanti al di sopra del loro e del nostro potere, sfiorato, in un solo dolorosissimo istante, dal desiderio di lasciarsi andare e amarsi. È l’attimo in cui Elettra, sollecitata dalla madre, ha preso coscienza dell’identica natura di entrambe, restituendole di sé l’unica immagine in grado di guarirla, perché intimamente vera. Affinché nulla sminuisse o prevalesse sul loro conflitto la regista ha meticolosamente progettato anche i costumi (realizzati da Leo Kulaš), la musica (Tamara Obrovac), le luci (Vesna Kolarec) e il video (Vanda Petrović).

Il pubblico nel quartiere artistico Benčić.
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