
Il suo approccio interpretativo si caratterizza per una straordinaria precisione nella direzione orchestrale “dal gesto sintetico e didascalico pur mantenendo un atteggiamento flessuoso e folleggiante”, per la cura e il rispetto al dettaglio e ai musicisti, per l’attento approfondimento, l’incredibile energia e la raffinata sensibilità, come pure per la naturale capacità di trasmettere emozioni attraverso la musica, coinvolgendo il pubblico in modo spontaneo e autentico. Tutto ciò, intessuto con un’intensa e viscerale vocazione per quest’ultima, racconta in sintesi l’essenza del rinomato Maestro borettese Alfredo Barchi. Dopo averlo ammirato sulla Piccola scena estiva di Abbazia nell’ambito del concerto celebrativo del centesimo anniversario della morte di Giacomo Puccini, quest’estate lo abbiamo rivisto a Fiume in occasione della nostra chiacchierata. Tra una miriade di spartiti, cd, fotografie, depliant e scritti vari relativi alla sua opera, con cui amabilmente e con contagioso entusiasmo ha ricoperto e colorato il tavolino del caffé, ci ha generosamente raccontato della lunga e considerevole carriera, dagli anni della formazione alla direzione dell’Orchestra Filarmonica di Udine, dalle esperienze di direttore della Società Filarmonia e de “I Virtuosi di Aquileia” al progetto internazionale di Opera lirica Itinerante “Il Carro di Tespi”, il suo vanto, giunto quest’anno alla XX edizione.
Un viaggio professionale e umano, costellato da grandissimi successi, soddisfazioni, collaborazioni, riconoscimenti (ricorderemo l’alto riconoscimento ricevuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dal Ministero degli Affari Esteri, la decorazione con una Medaglia quale Premio di Rappresentanza da parte del Segretario Generale della Presidenza della Repubblica e la Medaglia d’Oro di Benemerenza dalla Camera di Commercio Pordenone-Udine conferitagli nel 2018 quale personalità di spicco di elevata professionalità e profonda cultura nel campo dell’attività concertistica), nel 2021 il Paul Harris Fellow attribuito da La Fondazione Rotary del Rotary International e nel 2022 il “I Ponti della Cultura“ – Concerto omaggio a Pier Paolo Pasolini conferito da Rovinj Art & more – premio, ma altrettanto intriso di delusioni, sogni spezzati e momenti di sconforto, affrontati tutti con grinta e tenacia. Un percorso della e nella musica che lo ha formato, ammaliato, appassionato, forgiato al punto da volerlo condividere con tutti.
Il tutto, ci ha rivelato, iniziò all’età di sette anni con un organetto in legno di marca Farfisa che suo padre Erio, appassionato di musica, autodidatta e persona brillantissima, portò in casa. A tale proposito Alfredo ha specificato che “lo strumento era la trasposizione di una fisarmonica messa a piano e da lì, lentamente, da solo e guidato dall’istinto, cominciai. Dal canto suo, mia madre Silvana non era molto interessata al mondo musicale e quando disse a suo padre dell’intenzione di sposare Erio, lui ribatté che ‘se al vò(l) far al sonadór al gavarà fam dòl sèn’ (se vuole fare il musicista avrà fame dopo cena)”.
In seguito, però, optò per l’oboe. Per quale ragione decise di cambiare?
“Inizialmente studiai flauto traverso presso la scuola di musica di Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone, creata da un amico d’infanzia di mio padre, il M° Giuliano Cabrini, il quale mi faceva da insegnante. In seguito mi iscrisse al Conservatorio ‘Arrigo Boito’ di Parma, nella classe di oboe del M° Gino Siviero, poichè quella di flauto era satura e successivamente mi trasferì al ‘GB Martini’ di Bologna per seguirlo. Quindi, suonai un po’ tanti strumenti fino a indirizzarmi verso la direzione d’orchestra con il Mº Gianfranco Masini, direttore stabile dell’orchestra del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste e del Festival Arena di Verona, nonché direttore ospite principale al Teatro di Stato di Bonn, direttore stabile dell’Orchestra Nazionale di Montpellier e direttore artistico del Teatro d’Opera di Montpellier. È un docente che porto nel cuore con sofferenza, che purtroppo venne a mancare nel 1993 a soli 56 anni, come pure Gino Siviero, il maestro di oboe, con il quale tutt’oggi ho un bel rapporto e siamo molto legati. Dagli anni Settanta/Ottanta ad oggi dalla sua prestigiosa scuola oboistica uscirono tutti i miglior oboisti internazionali, quali Alberto Negroni, Stefano Rava e Luca Vignali”.
La svolta di Udine
Nel 1989, in seguito a una serie di docenze presso i Conservatori di Parma, Brescia, Fermo e Castelfranco Veneto, Barchi approdò a Udine per assumere la cattedra di Esercitazioni Orchestrali presso il Conservatorio “Jacopo Tomadini”, a detta dell’amico Sacha Fornaciari “con un’ audacia e una caparbietà più consona ai pugili di Jack London che a un direttore d’orchestra, iniziando da subito a perseguire e a realizzare il suo sogno: portare la musica colta fuori dai teatri per condurla in ogni dove, dai palasport alle piazze di paese, fino a giungere alle case di riposo, alle comunità di accoglienza e alle celle dei carcerati. E ciò senza rinunciare a un’alta qualità d’esecuzione, garantita dalla composizione degli organici, costituiti da accurate mescolanze di musicisti affermati provenienti dalle maggiori orchestre italiane e giovani esordienti di talento”.
A tale riguardo il Maestro ha rimarcato che “andando a Udine l’idea fu di rimanerci un anno e, successivamente, avvicinarmi a Parma. Ad un certo punto mi chiesero di restare proponendomi l’affidamento dell’Orchestra udinese da camera in cui, dato che la città rimase per cinquant’anni senza teatro, restò in evidenza l’amatorialità e si sarebbe dovuto fare un immenso lavoro. Accettai alla condizione di avere carta bianca dal punto di vista professionale, senza l’imposizione di alcuna restrizione. In tale contesto, venendo da una zona in cui vidi e assimilai svariate cose non fatte benissimo e cambiate nel tempo, mai più avrei perso tempo per tenere in piedi una situazione che, a mio avviso, fosse fallimentare. Mi dissero che si poteva fare, cosicché dal 1991 al 1996 mi fermai lì, alla direzione artistica e principale della compagine, alla quale cambiai nome in Filarmonica di Udine. In seguito, purtroppo, vi furono svariati attriti e me ne andai”.
Come mai?
“Un’orchestra giovane ha bisogno di qualche anno di verifiche, di audizioni nuove, ma non con la cattiveria di volere cacciare le persone, bensì con la disponibilità di creare un gruppo di qualità. Sulla scia di queste riflessioni desideravo che nascesse la mentalità professionale di un certo tipo, cosa che riuscii a fare. A seguire, nel 1995, cominciai a toccare il delicatissimo tasto dell’opera lirica, il che fu molto difficile in quanto, purtroppo, per ragioni economiche, politiche e culturali, il Teatro regionale volle mantenere una posizione di primo livello. A dire il vero, nessuno ebbe intenzione di togliergli nulla, ma probabilmente la concorrenza poteva essere e fu fastidiosa. Il primo allestimento fu con il ‘Don Pasquale’ di Gaetano Donizetti, cui segurono due recite della ‘Bohème’ di Giacomo Puccini nel 1996 in Piazza San Giacomo, con grande successo di pubblico e di critica. Grande novità per la città! Presto iniziai ad avvertire un clima di ostilità nei miei confronti, per cui scelsi di uscire dalla Filarmonica, non accettando le condizioni imposte dal Consiglio di Amministrazione”.
La delusione fu grande?
“No, in quanto spiegai le cose e, innalzando un’orchestra amatoriale a livello professionale, dimostrai tutto quello che serviva. Pensi che, al fine di alimentare il progetto, l’azienda Electrolux ci sponsorizzò investendo cento milioni di lire per tre anni di seguito, il che stava a significare qualcosa. Credendo in quell’iniziativa, vedendola come una possibilità di rinascita dal punto di vista culturale, tutto questo permise pure il contributo di numerosi importanti artisti internazionali, molti nati in Friuli Venezia Giulia. In un momento dove la Regione, per motivi politici, non sosteneva in modo adeguato il progetto, si raccolsero 15mila firme tese a mantenere, per lo meno, la Filarmonica in vita. Tornando alla domanda, delusione? Direi di no. Semplicemente, data la grande potenzialità del Friuli, mi dispiace molto per come sia andata, ma non posso farci nulla e con me stesso sono più che a posto”.
«Il Carro di Tespi», un sogno divenuto realtà
Iniziativa internazionale di opera lirica itinerante unica in Italia, nacque nel Friuli Venezia Giulia nel 2005, a seguito dell’incontro del Maestro, avvenuto nel 1998, con il notaio Paolo Alberto Amodio, il quale si dimostrò fondamentale per la sua promozione. Il suo appellativo prende spunto, nel nome e nell’intento, dall’esperienza dall’antico poeta tragico greco Tespi del Demo di Icario citato nell’”Ars poetica” di Orazio e il progetto si rifà alle omonime compagnie girovaghe itineranti che nell’Ottocento, nonché rispolverate successivamente nell’epoca fascista, creavano occasioni di teatro coinvolgendo masse e collettività, portando ovunque cultura e consensi e garantendo una forma di intrattenimento anche alle comunità più remote e isolate. A modo delle stesse, l’idea elaborata da Alfredo Barchi si propose di portare la musica lirica italiana a un pubblico più vasto, soprattutto alle giovani generazioni aventi meno possibilità di vivere e coltivare la cultura operistica italiana e trasformando le piazze cittadine in magici scenari operistici. Essendo il suo sogno di sempre e una sua preziosa creatura, nonostante oggi non vanti la grandezza di una volta, l’artista ne va giustamente molto fiero, rilevando che con l’ambizioso progetto l’Orchestra si esibì anche all’Arena di Pola, a Zara, a Zagabria, ad Abbazia.
“Nell’ambito dell’iniziativa abbiamo vissuto anni molto belli, costellati da importanti successi e tantissimi plausi e riconoscimenti, il che ovviamente ci rende felici e orgogliosi”, ha spiegato l’artista, aggiungendo che “’Il Carro di Tespi’ fu un progetto importante e bellissimo, che crebbe nel tempo e nell’ambito del quale, tra orchestra, coristi, cantanti, macchinisti, per un lungo periodo ci lavorarono 120 persone e girò con due tir e due corriere. Con l’iniziativa realizzammo spettacoli di grande qualità, coinvolgendo e lanciando giovani cantanti che adesso calcano i teatri mondiali più significativi. Nonostante venissero eseguiti all’aperto, gli stessi vennero sempre curati nei minimi particolari”. In tale contesto, con un non celato rammarico, Barchi ha anche riferito che “in virtù di tutto ciò mi sarei aspettato che, ad un certo punto, la Regione Friuli Venezia Giulia la facesse sua e si prodigasse affinché andasse in giro e raggiungesse tutti, al fine di portare le persone ad appassionarsi e seguirla. Invece fece di tutto per smorzarla. Per fortuna, oggi riusciamo ancora a mantenere un po’ di finanziamenti per esistere”.
Nel 2011 le è stato conferito il Ventaglio d’argento, riconoscimento annuale assegnato in Friuli a una personalità particolarmente distintasi nel panorama delle proposte culturali. Per l’occasione un gruppo di amici e colleghi realizzarono in suo onore un libricino intitolato «Alfredo Barchi», in cui riportarono i loro ricordi, le riflessioni, i pensieri inerenti sia lei come persona che in qualità di professionista. Nello scritto non di rado si legge la parola «libertà». Ne deduco che le appartenga molto …
“Quando si venne a sapere che mi avrebbero assegnato il premio, l’organizzatore dello stesso cominciò a indagare sulle mie amicizie, andando addirittura fino al mio paese natio. Così mi ritrovai in mano questo libro con tutte le dichiarazioni, il che fu qualcosa di inaspettato e naturalmente mi fece commuovere. Parlando di libertà, in effetti intorno a me vi furono sempre persone che non mi costrinsero mai a fare qualcosa e, se capitava, nel momento in cui andavo incontro a una chiusura, me ne andavo, mi allontanavo. In tale senso, ebbi anche dei genitori splendidi, i quali non mi imposero mai nulla e mi misero sempre in condizioni di potermi esprimere”.
Se n’è andato molte volte?
“Si, anche se devo dire che al Conservatorio, per varie ragioni, non ebbi vita facile. In primo luogo, ciò è probabilmente dovuto al fatto che alla base di me come persona c’è una lealtà di fondo appartenente all’ambiente familiare in cui crebbi. In secondo luogo sono uno che non perde tempo, nel senso che quando mi prendo la responsabilità di un progetto, mi impegno e non voglio interruzioni. Dopodiché incontrai anche degli ambienti, nello specifico quello scolastico, in cui non mi trovai molto bene, anche perché volli sempre mantenere la libertà di riferire ai ragazzi quello che pensavo e a che punto fossero della loro formazione, senza immaginare che ciò avrebbe potuto infastidire i docenti di riferimento. Purtroppo, in tale senso, non fui mai una persona ‘diplomatica’ e dissi sempre quello che ebbi in mente. D’altronde, quando si svolge la professione di insegnante, soprattutto in attività del genere, è importante rendersi conto che si plasmano delle persone e si ha il dovere di essere molto onesti e, all’occorrenza, bisogna anche dire a un allievo ‘non è ancora il tuo momento, devi crescere, il saggio lo farai l’anno prossimo’. Capisco che magari in quel momento ci odierà per tutta la vita, ma poi, dato che ci sarebbe arrivato prima o poi da solo, ci ringrazierà. In ogni caso, avendo in mano il futuro di un giovane e le speranze della famiglia, non è semplice agire”.
Che cosa rappresenta la musica per lei?
“La musica è stata ed è ancora la mia vita. In tale contesto, ho da sempre un grande rispetto per la partitura, per l’autore e per tutto il resto relativo alla stessa. A mio avviso, quando gli spettatori acquistano un biglietto e ti danno fiducia, il lavoro dev’essere realizzato con onestà, altrimenti li si perderà nel tempo e non torneranno più. In effetti, quanto ci si trova nella routine, farlo non è scontato. Se si è un direttore che sta facendo solamente questo tipo di carriera si deve fare attenzione a non farsi prendere la mano il che, considerato tutto il contorno, è molto facile possa succedere”.
Scrivono di lei che sia un trascinatore, un entusiasta, un passionale, un ambizioso, un carismatico, vulcanico, creativo, testardo, tenace, sognatore, un professionista determinato, preparato, onesto, puro, buono e tanto altro. Si riconosce?
“Mi riconosco in tutto perché, alla fine, la realtà è quella. Effettivamente sono una bomba a orologeria, sempre pronto al dialogo e a non esplodere. Per tutta la vita sono stato ‘polemico’, ovvero reattivo a ciò che non funzionava. Ora inizialmente mi arrabbio, ma poi mi tolgo, vivo la mia vita d’artista e faccio le mie piccole cose”.
Nonostante gli ostacoli e le difficoltà «Il Carro di Tespi» non si ferma e per il 2025, nell’ambito alla sua XXI edizione, proporrà al suo pubblico l’interessantissimo progetto «QUARTET». Ce lo racconta?
“Si tratta di una proposta culturale articolata, sui generis, tesa a condividere il rapporto tra espressione poetica e musicale, ovvero tra sentimento, parola e canto e caratterizzato quale fil rouge da un quartetto vocale internazionale, accompagnato da ‘I Virtuosi di Aquileia e dell’Alto Adriatico’ diretti dal sottoscritto. Sarà un viaggio musicale prezioso, una vera delizia sia per il pubblico che per gli artisti, che percorrerà diverse proposte ed esperienze musicali come la classicità del coro lirico, della canzone napoletana, di quella autoriale e molto altro”.
Lavorando per tanti anni a stretto contatto con i giovani, quale idea se n’è fatto?
“Bisogna capire quale sia l’atteggiamento dei ragazzi di oggi, ossia se non importa loro proprio di nulla oppure ci potrebbe essere un movimento atto a riaccendere l’esigenza di iniziare una lotta e andare avanti. Per ciò che concerne l’ambito musicale, o si cercherà di catturarli con i concerti all’aperto o li perderemo. Loro stessi non hanno più la voglia e/o gli stimoli per combattere. In questo momento, drammatico sotto tutti i punti di vista, non vedo una loro attenzione tale da dire ‘facciamo una raccolta di firme per …’, per cui ci vorrebbe qualcuno che fomenti la fiamma e riesca a tirarseli dietro”.
Ha conseguito una carriera di rilievo, ricca di successi, sfide e progetti importanti. Cosa le manca?
“Non posso dire che mi manchi qualcosa. Tutto sommato sono contento di quello che sono riuscito a fare e, forse, tante cose verranno riconosciute nel tempo. Mi sarebbe piaciuto tantissimo riprendere ‘Il Carro di Tespi’ originario, ma si tratta di progetti che se non partono dalla Regione è difficile si sostengano da soli, anche se molti sponsor supporterebbero la ripresa con entusiasmo”.
Sin dalle sue prime ospitate nei nostri territori, tra cui l’ultima ad Abbazia inerente al concerto-spettacolo «Visse d’arte & Visse d’amore» in omaggio a Puccini, ha amato molto Fiume e l’Istria. Da dove nasce questo legame?
“In effetti non me lo spiego neanch’io. Forse è avvenuto perché fui sempre trattato con gli strumenti giusti e, anche quando qualche iniziativa proposta non andò in porto, non fu così penoso da accettare come invece avvenne in altre occasioni in Italia”.
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