Fiume dal punto di vista linguistico, culturale e artistico è il tema del saggio che si è imposto alla seconda edizione del “Premio Ambra Beggiato per la cultura veneta nel mondo” vincendo nella categoria “Testi, racconti e poesie”. L’autore dello scritto è il connazionale Albert Merdžo, appassionato di lingue e linguistica, laureato in inglese e storia e insegnante di lingua inglese alla SEI Gelsi. Si tratta di un riconoscimento di grande valore, in quanto al concorso erano pervenute 37 candidature, di cui il 40 per cento dall’estero, ovvero da Argentina, Brasile, Croazia, Messico, Paesi Bassi e Slovenia. In una breve intervista, Albert Merdžo ci ha parlato del concorso e della sua passione particolare per l’istroveneto e le ricerche linguistiche, che vede come un piacevole hobby.
“Il concorso è stato indetto dall’Associazione Veneti nel Mondo al fine di far conoscere la cultura, l’imprenditorialità, insomma, tutti gli aspetti della civiltà veneta e anche dell’emigrazione veneta nel mondo, come pure nei territori che sono appartenuti alla Serenissima, in cui è presente il dialetto veneto – ci spiega il nostro interlocutore –. Il premio è dedicato ad Ambra Beggiato, che era una giovane ricercatrice veneta venuta a mancare molto giovane. Ambra era figlia di Ettore Beggiato, che è vicepresidente dell’Associazione Veneti nel Mondo e ha pure promosso una legge che porta il suo nome, a favore del restauro dei monumenti veneti in Croazia e Slovenia. Sono pertanto onorato e sorpreso di averlo ricevuto perché davvero non me l’aspettavo”.
Da dove nasce l’idea di partecipare al concorso?
“Essendo molto attivo su Facebook, in uno dei numerosi gruppi di cui sono membro, intitolato ‘Dalmati nel mondo’, avevo visto il bando del concorso. A quel punto mi sono detto: ‘Perché non far conoscere anche al pubblico veneto, e non solo, Fiume con tutte le sue peculiarità e con tutto quello che può essere riconducibile all’influenza veneta, ovvero alla ‘veneticità’?’ Siccome il materiale su questo tema è molto ampio, ho deciso di articolare il saggio in quattro sezioni: la prima parla del dialetto fiumano, che, come sappiamo, è di origine veneta. Parlo del suo sviluppo storico, della sua genesi, dei vari dubbi, incertezze e teorie che esistono sulla sua origine, ma anche della sua diffusione attraverso il tempo dal Medioevo fino ai giorni nostri. Nella seconda parte mi soffermo su alcuni autori dialettali, dei quali ovviamente non sono un esperto e la cui opera è già stata analizzata egregiamente dalle colleghe del Dipartimento di Italianistica di Fiume: Zuane dela Marsecia, Russeto e altri. Ho voluto comunque inserirli e fare degli accenni, riportare alcuni versi di qualche poesia e commentarli brevemente. Si tratta di autori molto veraci e schietti e c’è un gusto particolare a leggere in dialetto le loro poesie.
Nella terza sezione mi concentro sulla toponomastica, soprattutto della Cittavecchia, perché lì convivono da sempre toponimi sia veneti che ciacavi, per cui ho voluto spiegare zona per zona, rione per rione e accompagnare i lettori in una specie di passeggiata per l’antico nucleo cittadino: quindi parlo della Gomila, della Marsecia, della Zuecca, del Barbacan, del Duomo (in ciacavo Vela crekva). Infatti, anche se mi concentro sui toponimi veneti e italiani non ho voluto ignorare la parte ciacava e croata. In questo contesto ho fatto anche degli accenni alle case patrizie: Garbas, Zanchi, Marchesetti, Benzoni, e altre.
Nella quarta sezione mi soffermo sull’aspetto architettonico-artistico, in particolar modo sulle varie chiese della città, siccome nella cattedrale di San Vito e nel Duomo (chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, nda), per fare qualche esempio, ci sono numerosi ricchi altari barocchi, in marmi policromi, realizzati da scultori e pittori di origine fiumana, veneziana, goriziana e veneta quali Michelazzi, Lazzarini, Pacassi, come pure il fiumano Sebastiano Petruzzi che ha lavorato nel Duomo. Nomino anche Giovanni Simonetti, pittore fiumano dell’Ottocento. Qui analizzo anche la Civitas nova, ovvero la città fuori dalle mura della Cittavecchia, concentrandomi soprattutto sugli architetti Emilio Ambrosini e Giacomo Zammattio, che hanno dato un apporto immenso all’edificazione dei nuovi rioni cittadini. Tra i palazzi di maggior spicco progettati da loro ci sono quelli della Filodrammatica e dell’ex Liceo (oggi Scuola media superiore italiana, nda). Ovviamente, non sono un esperto di storia dell’arte, ma ho voluto sottolineare anche quest’aspetto dell’influenza veneta nella nostra città.
Personalmente, sono maggiormente interessato all’aspetto linguistico e toponomastico di Fiume. Di questi argomenti ho già scritto anche su ‘La Tore’. Mi ero soffermato sul dialetto fiumano nei testi quattrocenteschi dei libri del cancelliere Antonio de Reno. Finora erano conosciuti quattro testi – la tariffa del pesce, l’elenco degli oggetti preziosi del Duomo e due testi di carattere commerciale –, però leggendo questi quaderni in versione online ho trovato altri tre testi in veneto che sono in realtà elenchi di oggetti, beni legati alla navigazione. Si può dire che questa è una piccola scoperta, in quanto i quaderni di de Reno vennero pubblicati integralmente già nel 1959, però finora nessuno si era accorto di questi brevi testi in veneto inseriti all’interno di testi latini. Di conseguenza, faccio un appello ai nostri italianisti e latinisti affinché li approfondiscano con maggiore perizia”.
Quale aspetto della linguistica e della toponomastica le interessa maggiormente nel contesto fiumano?
“Sono interessato in particolare alle origini del dialetto fiumano perché sono ancora avvolte dal mistero. Infatti, già Kobler si chiedeva se l’italiano fosse arrivato in questi territori con i mercanti immigrati veneti, oppure se si fosse sviluppato direttamente dal latino. Io mi chiedo se forse ci sia una terza via, che secondo me sarebbe l’ipotesi più probabile, ovvero che qui dal latino si sia sviluppata una lingua romanza preveneta, come è successo con l’istrioto in Istria e col dalmatico a Veglia e in Dalmazia, e che questa lingua neolatina si sia pian piano ‘venetizzata’ fino a quando i parlanti neolatini non l’hanno poi sostituita con il veneto che poi si è trasformato nel nostro dialetto fiumano. Non ci sono prove vere e proprie che possano sostenere questa mia tesi, ma credo che studiando in modo approfondito i sette testi di de Reno si potrebbe forse giungere a delle conferme. Infatti, ci sono degli indizi linguistici che potrebbero indicare delle caratteristiche simili alla lingua dalmatica. Credo che si tratti di indizi che meritano ulteriori approfondimenti. Faccio l’esempio di Zara, dove si parlava una versione zaratina del dalmatico, lo jadertino, che con il passare del tempo i parlanti sostituirono con il veneto a causa dell’influenza culturale di Venezia in questi territori. Questa influenza era molto diffusa e profonda, anche senza dominazioni militari”.
A proposito di dialetto, questo saggio è particolare perché è scritto in fiumano. Come mai questa scelta?
“Non si è trattato di una delle condizioni del concorso, ma mi è stato riferito che il fatto che sia stato scritto in fiumano è stata una delle caratteristiche del testo che ha fatto più piacere alla giuria del concorso. Il premio è senza dubbio un’ulteriore motivazione a continuare a valorizzare e ad esplorare il nostro patrimonio locale, fiumano, della CNI in generale, in quanto sono molto interessato agli aspetti storico-culturali e linguistici di tutta la CNI, da Trieste fino a Cattaro. Pertanto spero di andare avanti nelle ricerche, che sono un mio hobby, e forse un giorno ne uscirà anche qualche pubblicazione”.
Domanda d’obbligo quando parliamo di fiumano in questa nostra realtà. Secondo lei, il nostro dialetto ha un futuro?
“Tendo a essere ottimista, nel senso che se oggi in prima classe abbiamo bambini di madrelingua fiumana; essi, speriamo, lo trasmetteranno ai loro figli e questi figli a loro volta ai loro figli, per cui il dialetto dovrebbe sopravvivere. Credo che il fiumano con il tempo si trasformerà, probabilmente avrà sempre più influenze italiane e croate. Già noi non parliamo più come si parlava nell’Ottocento, per cui credo che la parlata sopravvivrà e che grazie alle nostre istituzioni la componente italofona resisterà ancora per tanto tempo”.
Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.
L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.