Una necropoli sul Colle San Michele

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Una necropoli sul Colle San Michele

Non vi è ombra di dubbio: dalla scorsa estate a questa parte, la ricerca archeologica è riuscita a portare gradualmente alla luce un’intera necropoli appartenuta alla medievale Abbazia di San Michele: fanno in tutto addirittura 61 tombe. Finora l’Istituto di antropologia di Zagabria è riuscito ad effettuare l’analisi osteologica di una trentina di sepolcri e ad individuare i resti di oltre 300 defunti. Un risultato d’indagine incredibile, che dimostra una situazione straordinaria, da sepoltura di massa avvenuta a Pola nei secoli della peste e di altre grandi epidemie. La visione spettacolare che si presenta di fronte alla fortezza austroungarica e all’ex lavanderia del vecchio Ospedale di Pola, rappresenta una vera città dei morti, che permetterebbe di associare alla Dite dantesca. E l’”infernale” paragone non risulta per niente azzardato.

Non si può omettere di ricordare il caso massmediatico fatto scoppiare nel 2013, quando nella vicinissima via Preradović furono rinvenute le prime tombe di quest’area che nel passato fu sepolcrale per eccellenza. In quell’occasione si tornò a parlare di quel che tradizione vuole: il sommo poeta, durante l’esilio, nel suo ipotetico viaggio a Pola con sosta in Colle San Michele avrebbe tratto ispirazione proprio dalla visione dell’enorme necropoli che saliva in questa direzione, per descrivere il triste aspetto della Città di Dite.

Il camposanto

L’area cimiteriale, oggi scoperchiata, dimostra che il luogo era stato adibito a camposanto senza soluzioni di continuità dall’XI (epoca a cui risale la Chiesa di San Michele) al XVII secolo. È risaputo che il sottosuolo del colle rappresenti un concentrato di testimonianze del ricco passato urbano, il cui territorio, anche fuori le mura cittadine, fu costellato da templi, monumenti e pietre cimiteriali. E, stavolta, prima di costruire un’ulteriore Casa dello studente nell’area del campus, l’Alma mater studiorum è costretta a dare ampio spazio all’archeologia. L’indagine è affidata al Centro per la ricerca interdisciplinare del paesaggio operante in seno alla Facoltà di Filosofia, che è area didattica dell’’Università “Juraj Dobrila”. Impegnato un staff di studenti ricercatori, guidati dai docenti Klara Buršić Matijašič, esperta del campo archeologico e preside della Facoltà di Filosofia, coadiuvata da Robert Matijašić, già direttore del Museo archeologico istriano e rettore universitario e dal prof. Davor Bulić, della cattedra di storia antica e di archeologia.

Le descrizioni, i disegni e le tracce planimetriche lasciate da Pietro Kandler non hanno aiutato a individuare i resti di edifici sacri della storica collina (mausoleo dei conti istriani Weimar, abbazia di San Michele, chiesetta alla croce di San Clemente, tomba del re ungherese Salomone), ma in compenso, è scaturita allo scoperto la necropoli. O per lo meno una buona parte della medesima, nonostante lo scempio compiuto, nella seconda metà del XIX con la costruzione della fortezza austroungarica, prima dell’arrivo provvidenziale del conservatore Anton Gnirs.

Una fossa comune

Tornando al presente, la coordinatrice della campagna di ricerca, Klara Buršić Matijašić, indica il luogo adibito alle modeste sepolture dei monaci del chiostro e rivela tutta la complessità dei ritrovamenti per via del secolare accatastarsi di numerosi scheletri e ossa sparpagliate nel terreno, entro uno stessa tomba. I risultati del rapporto scientifico arrivato da Zagabria a firma degli antropologi Mario Novak e Mario Carić è a dir poco intrigante. “Suscita particolare interesse – rivela l’archeologa – la tomba contrassegnata dal numero 2 che conta i resti funebri di addirittura 26 persone, di cui 19 adulti e 7 bambini. La maggior parte degli scheletri si trova in un cattivo stato di conservazione con ossa sparse e frammentate. Si suppone che siano stati accatastati in seguito a lavori edili di epoche successive. Ma il quadro delle sepolture di massa è anche il risultato di tempi difficili, di terribili pandemie che avevano costretto la gente del medioevo a seppellire i numerosissimi morti in fretta e furia, con criterio d’urgenza, senza particolare attenzione nei confronti delle salme. Le diverse tracce di calcina gettata sopra le sepolture dovrebbero rappresentare la prova dell’epidemia di peste”.

Tracce di molte malattie

Altri dati di fatto forniti dall’esperta: la maggior parte dei resti umani appartengono ad adulti e la parte preponderante di giovani individui va dai 10 anni in su. Moltissimi sono gli scheletri appartenenti alla robusta razza dinarica, di adulti d’età superiore ai 40 anni, di notevole altezza. E il fatto confermerebbe la supposizione della massiccia presenza degli aiduchi (hajduci), sbarcati a Pola dalla costa orientale dell’Adriatico, in seguito alle manovre di migrazione dettate da Venezia. L’analisi antropologica va anche oltre: rivela le tracce di innumerevoli malattie, patologie ossee e di fratture come osteoartriti, ernie del disco, processi infiammatori, carie dentali. Tantissimi segnali di vita sofferta e non facile. La ricerca continua, e, attende il responso degli antropologi per l’altra trentina di tombe…

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