Scrivere in dettaglio i sentimenti aiuta a guarire

Con la psicologa e psicoterapeuta connazionale Luana Poleis abbiamo parlato della bulimia, tema affrontato nell’ambito di un progetto dell’associazione «Snaga u meni»

0
Scrivere in dettaglio i sentimenti aiuta a guarire
Luana Poleis. Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠ

“Soffoco, dimentico di respirare. Esistere da autosufficiente, questo non riesco. Io sono nulla. Da qualcosa fui creata e in niente trasformata. La commiserazione è un agire efficace”…. Oppure “questo è perché non amate voi stessi e poi vomitate tutto quello che mangiate! Io mi sono alzata e inchinata a tutti i presenti in una sala tutt’altro che piccola e ripetuto lo stesso a tutti coloro che forse non lo hanno sentito”. Sono solo poche frasi, attinte da un diario di una persona bulimica, che ha avuto il coraggio di inserire in un libro tutta la propria sofferenza, una condizione che tormenta e rende la vita invivibile a un’inimmaginabile numero di persone. Più il mondo va avanti e più la scienza psicologica sembra perfezionarsi e individuare molteplici diagnosi e sfaccettature dei disturbi alimentari: anoressia, ortoressia, ossessione patologica per il cibo puro e salutare, sindrome da night eating, comportamento nervoso e voglia incontrollata di ingoiare cibo, viceversa disturbo restrittivo dell’assunzione del cibo, purging disorder e vomito autoindotto…

La paura del cambiamento
Sarà anche perché il mondo si fa sempre più complicato. Ma il problema più grande nella maggior parte delle persone con disturbo alimentare è considerata la scarsa consapevolezza di avere un problema, mentre la paura di affrontare un cambiamento è fortissima. Ad aiutare in questo senso può essere proprio un libro autobiografico, prezioso (e dal quale sono state attinte le frasi di cui sopra), come quello uscito dalla penna di Jasna Šurina, dal titolo alquanto intraducibile “Polupani lončići”. Non è un caso se l’associazione “Snaga u meni” (La forza che c’è in me), ente della Regione istriana che affronta i disturbi alimentari, ha scelto proprio questo testo per veicolare la propria disponibilità ad aiutare coloro che necessitano di affrontare il problema in maniera assistita e con approccio terapeutico. La confessione di chi ha vissuto ed è guarito dalla bulimia in prima persona è diventata l’altra sera, alla Biblioteca universitaria di Pola, oggetto del primo laboratorio gratuito guidato con sapienza dalla psicologa e psicoterapeuta Luana Poleis, esperta in biblioterapia e scrittura terapeutica, attivissima fin da principio nell’anzidetta Associazione, tra l’altro nostra connazionale, presidente della Comunità degli Italiani di Visinada. L’incontro proposto dall’esperta è stato ideato per entrare nel bel mezzo del racconto-confessione al fine di capire e conoscere la bulimia attraverso un approccio biblioterapeutico. Discrezione ha voluto di non imporre la nostra presenza massmediatica in laboratorio, ma prima che tutto cominci ecco che si è avuto il piacere di intrattenere una breve e interessante conversazione con Luana Poleis.

Il libro sul piatto
“Questa serata – rileva la nostra psicoterapeuta – fa parte in realtà di un progetto più grande che si chiama Book Club, Il libro sul piatto, dell’Associazione Snaga u meni, finanziato dalla Regione e propone tutta una serie d’incontri con il pubblico assieme a un’équipe multiprofessionale tra cui nutrizionisti, psicologi e psicoterapeuti. Parleremo di un volume, direi non facile da reperire. Ma non sarà una presentazione, anche perché è uscito dalle stampe ancora nel 2002. Negli incontri con me si fa quella che chiamiamo biblioterapia o libroterapia, un metodo che ricorre alla lettura per attuare un processo d’introspezione che induce la persona a riflettere su di sé, perché scopriamo i contenuti che ci sono nel testo e attraverso i medesimi troviamo narrazioni ed emozioni con le quali scopriamo parte di noi stessi. Impariamo come usare i libri per farli diventare una sorta di terapia e questa libroterapia è per l’appunto un approccio in più adottato da psicologi e psicoterapisti, che si sono specializzati in questo campo. Nel mio caso, oltre a questo, propongo anche la terapia basata sulla scrittura, quindi quella che spinge a usare le parole, a scrivere in un determinato modo per avere degli insight, delle percezioni nette e immediate di fatti esterni o interni, delle visioni del proprio interno e del proprio inconscio molto particolari”.

È forse una scrittura-terapia come liberazione o come visualizzazione su carta dei propri pensieri o problemi?
“Veramente, in inglese si chiama proprio terapy journal, e non è ancora stata trovata una traduzione in italiano sufficientemente corretta ed esatta della definizione. Uno dei modi più efficaci per ridurre lo stress con il journaling consiste nello scrivere in dettaglio i sentimenti e i pensieri relativi a eventi stressanti, allo stesso modo con cui si discuterebbe durante una sessione di terapia cognitivo comportamentale e brainstorming. Praticamente è un modo di scrivere il proprio ‘diario’ tra virgolette, ma essere comunque condotti da una persona che sa dove portarti”.

Parliamo dunque di una scrittura guidata?
“Diciamo di sì. Scrittura guidata che diventa terapeutica, perché si sa in che direzione andare. Ed è particolarmente adatta alle persone che magari hanno più difficoltà a parlare, a narrare i propri problemi, che a tradurli sulla carta”.

Lei ha 10 anni d’esperienza nel campo della psicanalisi e della psicoterapia. Nella sua prassi ha incontrato il problema della bulimia? Siamo a conoscenza di una statistica che riguarda la presenza del problema a livello di territorio istriano?
“Certo, ho incontrato anche anoressia e altri disturbi dell’alimentazione… Tuttavia, io non parlerei di aumento per quanto concerne le statistiche, quanto del fatto che, forse, finalmente la stigmatizzazione riguardo ai disturbi alimentari, alla pari dello stigma su tutta la salute mentale, sta un po’ decrescendo. Se ne sta parlando di più, e pertanto sembra che ci sia un incremento delle statistiche, ma il fatto è che questi disturbi sono sempre esistiti. Purtroppo, per quanto riguarda il mondo femminile, si parla sempre più spesso del mito della bellezza: ‘bisogna’ avere un determinato corpo, determinate forme, determinati chilogrammi e quindi i disturbi dell’alimentazione finiscono anche avvalorati da questo tipo di giustificazione socialmente accettabile. Meno male che adesso stiamo togliendo piano piano, anche a livello mondiale e della società, le aspettative che riguardano il look non soltanto delle donne, ma anche del sesso maschile, nei confronti del quale ci sono delle pressioni belle e grandi. Stiamo veramente cominciando a parlare di accettazione del proprio corpo e stanno finalmente emergendo richieste d’aiuto e soprattutto sostegno per accettare sé stessi “.

Gli uomini, stile Apollo, gonfi di steroidi anabolizzanti. È un altro tipo di pressione, rispetto alle donne?
“I maschi devono essere forti, devono essere muscolosi, perfetti. Indipendentemente dal sesso, parliamo di un problema condiviso sia da donne che da uomini”.

Allora, pur essendo stato sempre presente, al problema dei disturbi alimentari risulta comunque aggiunto lievito dalla moda, dalla smania per l’estetica e dai dettami di Hollywood?
“Tutto questo lo ha fatto sì crescere, però, d’altra parte i social media hanno anche indotto a emergere su scala planetaria. Persone famose che hanno sofferto di disturbi dell’alimentazione ne parlano pubblicamente ed esercitano un’influenza positiva”.
Qual è l’età critica nella quale lei ha individuato l’insorgenza di un disturbo alimentare?
“Veramente, sono disturbi che hanno un certo iter e quindi non possiamo dire esattamente quando accadono se a 30, 40, a 12 o 15 anni. È una cosa che va valutata da caso a caso. Sicuramente quello che salta maggiormente all’occhio sono i più giovani. Poi, una volta superato lo stigma, se ne parla. Bisogna lavorare tanto e formare le persone a saper distinguere quando uno ha un problema d’alimentazione e a riconoscerlo. Noi siamo abituati a vedere i giovani sempre a dieta. E la dieta diventa una faccenda giustificata che spinge a dire ‘Ah brava!’ e questi sono commenti che non fanno bene ad alcuno, figuriamoci alle persone che hanno un cattivo rapporto con il cibo. Ci sono disturbi dell’alimentazione che colpiscono anche i bambini, tuttavia quel che vale per tutti è che non sono mai legati solamente al fatto del cibo e del mangiare, quanto al funzionamento e alla gestione delle emozioni, della famiglia, dello stare bene con sé stessi. Sono i problemi che spuntano fortemente in superficie attraverso il cibo e si ripercuotono sul piano dell’alimentazione”.

Torniamo alla nostra realtà territoriale. Come mai si è inclusa in quest’iniziativa?
“Faccio parte del gruppo ‘Snaga u meni’ da quando è stato fondato. È importante dare delle indicazioni utili e far sapere a chi rivolgersi a coloro che hanno bisogno d’aiuto. Tra gli enti che promuovono la salute mentale legata ai disturbi dell’alimentazione in Istria c’è quest’Associazione con sede a Pola, cui si aggiunge il Centro BEA a livello nazionale di Zagabria; vi è poi l’Istituto regionale per la salute pubblica. Chi ha bisogno, può parlare con il proprio medico ambulatoriale e quindi trovare degli psicoterapeuti che si sono formati per parlare e affrontare i disturbi dell’alimentazione. A livello di Regione istriana, però, ci vorrebbero più istituzioni, al punto che sarebbe davvero bello e utile poter disporre anche di un servizio pubblico specializzato”.

Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, è possibile soltanto dietro autorizzazione dell’editore.

L’utente, previa registrazione, avrà la possibilità di commentare i contenuti proposti sul sito dell’Editore, ma dovrà farlo usando un linguaggio rispettoso della persona e del diritto alla diversa opinione, evitando espressioni offensive e ingiuriose, affinché la comunicazione sia, in quanto a contenuto e forma, civile.

No posts to display