Pescheria. Sono tempi difficili

«Non è che manchi il pesce - vede che comunque c'è - è che mancano i soldi», ha detto una pescivendola

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Pescheria. Sono tempi difficili

Il caso ha voluto che la nostra consueta visita mensile alla pescheria coincidesse con la festa di Sant’Andrea, il Santo protettore dei pescatori, dei pescivendoli e dei fabbricanti di corde. Per chi non avesse familiarità con la Bibbia, i fratelli e apostoli Andrea e Simone (Pietro) erano umili pescatori in terra di Galilea quando incontrarono Gesù, che disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”.

Calamari nostrani a 120 kune: per i più sono un lusso

Questo 30 novembre che il calendario liturgico dedica ad Andrea è un giorno già deprimente per conto suo, ma nel contesto della pandemia la sensazione della desolazione è ulteriormente accentuata. Trovare la pescheria del mercato coperto così vuota di merce e di clienti sarà anche una scena tipicamente autunnale, ma suscita tristezza e lascia dell’amaro in bocca. Un bancone dietro l’altro tutti vuoti: la maggior parte è chiusa per ferie, altri per mancanza di profitto, altri ancora per entrambe le cose insieme. Cerchiamo spiegazioni da una pescivendola che malgrado tutto non si perde un giorno di lavoro: “Non è che manchi il pesce – vede che comunque c’è un po’ di tutto – è che mancano i soldi. I prezzi sono tutti aumentanti mentre gli stipendi sono rimasti quelli di prima. Basti prendere il mio esempio per comprendere gli altri: col guadagno di una mattina posso permettermi un chilo di calamari o di sogliole e cosa me ne faccio se poi non ho il pane, la verdura, il resto. Anch’io mangerei sogliole a pranzo, ma ho troppe altre spese a cui badare e alla fine ci rinuncio. M’immagino che così facciano tutti.”

La fugace comparsa degli “zeri”

Parole sante. I calamari nostrani costano 120 kune il chilogrammo, come i saraghi e le sogliole, se si trovano, e accade raramente. La loro presenza è più che altro stagionale. Ora è tempo di orate selvatiche. Costano un occhio della testa: generalmente dalle 80 alle 140 kune il chilo, a seconda della pezzatura. Più grandi sono più sono costose. Quelle piccolissime costano soltanto 45 kune, ma lo sappiamo tutti che seccatura è pulire le “oradele” minute. Meglio pagare di più o altrimenti lasciar perdere. Le seppie vengono 80 kune. Anche surgelate. Una pescivendola nel giorno del patrono ha poca roba da offrire ma è l’unica a vendere gli “zeri”, e infatti li vende a 50 kune. Ma alle dieci del mattino gli “zeri” sono ancora là che attendono i clienti. Come mai c’è così poca roba in circolazione? Anche le sardelle sono poche e piccoline. Possibile? Sarà questione di cultura alimentare? Le pescivendole la sanno lunga: è questione di potere d’acquisto. Il pesce migliore prende la via del mercato italiano, dove è più apprezzato per forza di cose. Quello che rimane qua è sempre una parte infinitesimale, la meno pregiata. Anche la cultura alimentare deriva dal potere d’acquisto.

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