Otava division: da Psichiatria a tetto temporaneo del «Ruža Petrović»

Il reparto è stato l’ultimo a trasferirsi dentro la nuova struttura. L’edificio è trascurato e fatiscente negli esterni, mentre tempo addietro gli interni erano stati recuperati

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Otava division: da Psichiatria a tetto temporaneo del «Ruža Petrović»
Sbarre in quantità e vetri infranti. Foto: ARLETTA FONIO GRUBIŠA

Non “era una casa molto carina… bella, bella davvero, in via dei Matti, numero zero”. Al contrario dei versi a firma di Sergio Endrigo, era stata da sempre sinonimo di fatiscenza e di degrado per la dignità umana, dove si poteva eccome andarci “dentro”. Era l’Otava division, “el manicomio de Pola”, senza offesa per tutte quelle povere anime che per malattia vi sono finite per soggiornare o per quelle tantissime persone normali, che più normali non si può, hanno dovuto qui ricorrere a un servizio d’assistenza medica causa “normale” crisi di nervi generata da disgrazia o semplicemente dai malanni del vivere quotidiano.

Brutto fuori, meno dentro
All’epoca, quando si appioppava lo stigma sulla malattia mentale, a Pola dicevano sussurrando con imbarazzo estremo “el xe finido in buso”, solitamente pronti a incollarci l’etichetta de “quel che ga perso le rodele”, perché manco la branca medica psichiatrica (a parte riconoscere la dipendenza dall’alcol), sapeva far troppa distinzione. Schizofrenia, disturbi ossessivo-compulsivi, neurosi-depressione, sindromi maniaco-depressive o quant’altro finivano anche confuse nella stessa saccoccia delle diagnosi azzardate. Solo l’altro “manicomio” di Bosco Rizzi, nella sfortunata e derelitta villa del famoso podestà Ludovico Rizzi (nei cui confronti Pola ha un debito sempre aperto), finivano i cosiddetti stolti per davvero, gli aggressivi, i pericolosi, dissociati per sempre dalla realtà o sotto ogni aspetto irrecuperabili. Per chi entrava nell’ottava divisione dell’Ospedale provinciale di Pola c’era ancora speranza di resuscitare: di più, nel caso dei pazienti meno gravi al primo piano, meno per quelli al pianterreno dotato di gabbie, stanze antiurto, lacci e camicie di forza ed elettroshock per terapia elettroconvulsivante cui venivano sottoposti malati effettivi e non, o che tali diventavano soprattutto per ignoranza o usufrutto di errate e antiquate terapie farmacologiche. Davvero brutti tempi. E anche oggi, visto da fuori, questo “buso”, purtroppo affittato agli adolescenti in sistemazione provvisoria finché non si ripara l’orfanotrofio “Ruža Petrović”, si presta quale ambientazione ideale per una sceneggiatura con demoniache presenze da Poltergeist o phenomena (vedi Argento, re del brivido). La bruttura è tutta fuori, perché dentro è stato messo a posto, tenuto pulito e in tutta decenza, non fosse per le orripilanti sbarre, che continuano a tenere segregato un luogo, memore di immani e inimmaginabili sofferenze umane. Tant’è vero che la scienza psichiatrica afferma che il dolore mentale sa essere più invalidante e atroce di quello fisico.
Andando un po’ a ritroso, va detto che la storia dei manicomi di Pola non inizia dalla vecchia Psichiatria del Santorio Santorio. Prima ancora di essere istituita al “Civico Ospitale” (poi Provinciale), nel 1875, dietro all’Arena, immediatamente adiacente alla Chiesa di Sant’Antonio, ci stava un’istituzione ospedaliera con i reparti Interni, Chirurgia, “Sifilitici” e un bel numero di celle utilizzate per segregare gli ammalati mentali, con in tutto 165 posti letto. Dopo la grande espansione della città, avvenuta in epoca austroungarica e la costruzione del Santorio Santorio sul Colle di San Michele, ecco nascere 8 edifici-padiglione, mentre il reparto psichiatrico si insedia in quest’edificio a partire dal 1925. Il resto è storia risaputa; il medesimo è l’ultimo padiglione ad essersi trasferito (nella primavera del 2022) dentro le mura del nuovo Ospedale, offrendo una sistemazione per la prima volta non “vergognosa” agli affetti da disturbi o alterazioni dello stato mentale. Vero è anche che il numero dei posti letto nella storia della locale psichiatria è andato a mano a mano riducendosi, sulla scia dei nuovi traguardi raggiunti dalla medicina, che limita le degenze all’acuto e allo stretto indispensabile privilegiando sempre più la prassi delle terapie ambulatoriali.

Con le tracce del passato
Tutto bene o quasi. Non fosse per l’improprio utilizzo che si sta facendo del deprimente ex edificio psichiatrico. Se la vita non ha accarezzato il destino di 25 ragazzi e giovani finiti in una struttura d’accoglienza pubblica come quella della Casa “Ruža Petrović”, per essere stati abbandonati o trascurati dalle rispettive famiglie oppure orfani, non serve aggiungere ulteriori oneri e sistemarli in una casa dall’immagine esterna opprimente che tuttora filtra luce dalle stanghe di ferro ormai ruggini e dai vetri infranti. Inutile dipingere di rosa e imbottire di poster giovanili il piccolo mondo interno, quando l’imballaggio fa pena ad ogni angolo mangiato dai rovi e dall’edera. L’intonaco cade a pezzi e mostra il vecchio scheletro di mattoni; l’ingresso esibisce ancora le vecchie glorie dell’Otava division, quelle pallide tracce della storica scritta “SEZIONE PSICHIATRIA”; dei graffiti sono attecchiti su una parte dell’alto muro di recinzione mezzo diroccato, il cortile interno è una giungla di alberi dalle enormi ramificazioni seminude; sotto le gradinate dell’ingresso ecco una pavimentazione rotta, delle pareti sudice con davanti qualche sedia e un portacenere pieno di mozziconi; sopra alle finestre delle antenne tv e le unità esterne dell’aria condizionata per sopravvivere d’estate.
Tempo fa c’erano state delle lamentele causa la necessità di razionare l’acqua calda, mentre la direzione aveva minimizzato il problema pur ammettendo dei problemi con l’installazione e gli scaldabagno ereditati – incredibile ma vero – ancora dal vecchio Ospedale decenni or sono. I responsabili asseriscono che la sistemazione per i ragazzi è comunque decente, nonostante l’ombrosa reputazione del luogo e l’oscenità esterna. Al momento dell’inizio dei lavori di recupero della Villa che ospita la Casa “Ruža Petrović”, in via Budicin, dal 1954 a questa parte, l’edificio psichiatrico era stato offerto dall’Ospedale di Pola e dalla Regione istriana quale unica, possibile residenza temporanea. O così o gli assistiti dell’istituzione sarebbero stati sparpagliati in altri istituti analoghi del Paese.

Ritorno a casa a maggio
Quale la prospettiva? Il progetto di ricostruzione con un investimento europeo pari a 1,7 milioni di euro, iniziato ancora nel 2019, dovrebbe arrivare alla sua conclusione all’inizio del prossimo mese di maggio, ammesso che non ci siano imprevisti scaturiti durante i lavori edili. E finalmente anche nella vita di questi ragazzi tornerà un po’ di decoro, tanto più che la progettazione in atto contempla pure il rinnovo e l’arredo di alloggi e spazi d’abitazione esterna all’istituto, tali da conferire margini di autonomia, formazione e crescita più indipendente agli adolescenti in età più matura. Da fare gli scongiuri affinché tutto si compia quanto prima.
Quanto alla nostra Otava division, resti abbandonata per sempre, un monumento, muto testimone di cupe e disgraziate vicissitudini, fardello buio ancora iscritto nella memoria cittadina polesana.

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