Le ruspe interrompono il sonno dell’ex «Delfin»

Investimenti. Il ristorante con vista verso il recupero

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Le ruspe interrompono il sonno dell’ex «Delfin»

C’era una volta un ristorante di piatti tradizionali di carne e di pesce, uno di quelli che hanno fatto la storia della ristorazione ai tempi dell’ex Federativa, quando i locali erano gestiti da un solo gigante alberghiero di stampo socialista, solitamente l’Arenaturist. Si chiamava “Delfin” e aveva collocazione in centro città, nell’attuale via Kandler (con la terrazza rivolta all’attuale piazza San Tommaso, la piazza del Duomo). Lo ricordano certamente le generazioni più in là con gli anni e forse anche qualche cinquantenne con buona memoria, perché all’epoca i grandi eventi della vita privata ruotavano sempre intorno a un ristorante come questo. D’accordo, le feste in occasione dei battesimi e delle prime comunioni non erano ancora in voga e anche quando ce n’erano, si facevano in casa o in chiesa, privatamente, almeno fino agli anni Ottanta. In compenso, i cenoni sindacali e aziendali o le feste degli sposalizi erano sempre bene alloggiati in ristoranti come il nostro “Delfin”, finito sul lastrico a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta. Doveva proprio morire un ordinamento sociale perché cambiasse l’estetica dei locali di ristoro.

Trent’anni di chiusura e di degrado sono passati come se fossero state alcune settimane. Ma ora si cambia. Il rudere dell’ex “Delfin” è oggetto di recupero. Lo hanno preso in mano gli operai del costruttore “Chianti” per farlo risorgere a nuova vita. L’iniziativa imprenditoriale si deve al ristoratore Duje Cvitan, che si è fatto un nome come proprietario, comproprietario, gestore o partner in una miriade di altri locali del centro storico risorti a nuova vita. Ristrutturato, l’ex Delfin sarà più di un ristorante vecchio stampo. Sarà ristorante, lounge, night, caffè e club a seconda dell’ora del giorno e della notte, perché avrà un orario di lavoro piuttosto allungato, proprio come a suo tempo ne ha avuto uno il vecchio “Delfin”. Avrà anche un nome che si abbina bene al luogo: dovrebbe chiamarsi “Duomo”. Evidentemente, l’imprenditore che lo rileva ha un debole per il centro storico, per i locali illustri andati in rovina e per i nomi che “fanno atmosfera”. Di ufficiale, l’imprenditore dichiara solo d’avere questo chiodo fisso di ridare un’immagine al nucleo storico in degrado, fosse pure solo con attività commerciali come queste. Per il resto non promette nulla: non ha idea di quanto ci metterà per completare il restauro, anche perché l’opera è sotto la lente d’ingrandimento della Soprintendenza ai beni culturali. In secondo luogo l’investimento pare imponente anche in termini di soldi. Ufficiosamente si parla di tre milioni di euro, se alle spese del recupero si sommano quelle per l’acquisto della proprietà.

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