Sessant’anni di fotografia in 68 anni di vita. Se la matematica non è un’opinione, quest’uomo si occupa di fotografia da quando ha acquistato coscienza di sé e cioè dalla prima elementare. Non per niente qualcuno al Municipio se n’è accorto e ha approfittato della Giornata della Città di Pola, da poco celebrata a Teatro, per conferirgli una delle benemerenze ufficiali dell’amministrazione per il contributo allo sviluppo e all’immagine della città. Il nostro intervistato di oggi si chiama Boris Kaligarić, meglio noto coll’appellativo di Foto Boris, il nome del suo studio situato in via Verona da Dio-solo-sa-quando. Tutti conoscono Boris. Certe botteghe in centrocittà sono come i monumenti di Roma antica: inossidabili. Eppure il mondo della fotografia è cambiato radicalmente negli ultimi cinquant’anni: il digitale ha spodestato l’analogico con la rapidità e la radicalità di uno tsunami. Ne parliamo appunto con Boris Kaligarić, silenzioso testimone dell’evoluzione tecnologica che ha cambiato il mondo e gli uomini.
Allora com’è che s’iniziava a fare della fotografia a quel tempo? Non ci pare che fosse una scelta scontata all’epoca.
Infatti non lo era. Non era affatto una scelta mia, tra l’altro, ma di mio padre, che giudicava il gioco dei bambini in strada come una perdita di tempo, e siccome non voleva che suo figlio sviluppasse l’abitudine di bighellonare di un perdigiorno, mio padre mi disse: andrai alla bottega del Kurti (altro fotografo di fama in città), ti ci presenterai ogni mattina puntualmente alle ore 8 e l’aiuterai a fare i lavoretti che ti ordinerà di fare. Punto. Ovviamente non mi fecero fare subito le fotografie, il mio lavoro consisteva nell’asciugarle. All’epoca le foto si asciugavano su lastre di vetro… A ogni modo, ho terminato gli studi di fotografia a livello di liceo, poi le solite cose: la maturità, il servizio di leva, il dubbio sul futuro da seguire. Fatto sta che l’arte appresa in casa non era sufficiente. A Pola non si praticava ancora la fotografia a colori, e siccome avevo brama d’imparare, mi misi in cammino e passai i primi cinque anni della maturità in Germania, a lavorare presso fotografi di professione.
E poi?
Poi rientrai in città, ormai padrone del mestiere, in cerca di un locale da mettere in piedi il mio primo studio fotografico. Eppure non era facilissimo, in quegli anni, cominciare da zero. Quindi tornai dal solito amico di famiglia, Kurti, e successivamente mi misi in società con l’anziano Kovačić, che stava cercando un collaboratore per farne il suo successore. Ma anche quest’occasione era persa perché nel frattempo il figlio decise di rilevare l’attività del padre e quindi mi trovai nuovamente abbandonato a me stesso. Comunque fu una fortuna perché negli anni Ottanta fondai questo studio che funziona tutt’oggi. Devo confessare d’aver consacrato tutta la mia vita alla fotografia: nessuno in famiglia aveva avuto questa passione prima di me. Il padre infatti era muratore. Ma vede, in cinquant’anni è cambiato letteralmente tutto in termini tecnologici. Oggi la fotografia si fa col cellulare ed è accessibile a tutti. Mai come oggi un mezzo è stato tanto largamente utilizzato. Una cosa, però, non è cambiata: il bisogno essenziale, inestirpabile, di fermare il tempo, di catturare l’attimo, di congelarlo attraverso l’immagine, per trarne un ricordo e conservarlo per la posterità. Ecco, quell’attimo è la ragione della fotografia: un giorno torneremo a osservarla per ricordarci come eravamo, che aspetto avevamo quando abbiamo ricevuto la prima comunione, la cresima, quando ci siamo sposati, quando abbiamo preso la laurea…
E lei quali memorie conserva di quelle degli altri?
Accidenti, potrei citarne a centinaia. C’è stato perfino lo sposo arrivato alla cerimonia in Municipio direttamente dal carcere, con le manette ai polsi, scortato dalle guardie giurate: un episodio che non dimenticherò mai. L’hanno condotto davanti alla sposa e all’ufficiale di stato civile, gli hanno tolto le manette soltanto per il tempo necessario per pronunciare il fatidico ‘sì’ e per firmare le carte. E poi via, la sposa a casa sua e lo sposo in prigione. Ci sono stati davvero degli eventi straordinari. Ricordo anche l’episodio della sposa fuggiasca. Già, anche quello non era un evento di tutti i giorni.
La sposa fuggiasca? E perché mai è fuggita?
Infatti, quello è stato realmente un evento straordinario. Il corteo nuziale è salito al primo piano del Palazzo municipale, ho fotografato la coppia mentre saliva le scale, mentre prendeva posto davanti all’ufficiale dello stato civile. A un certo punto la sposa chiede di usare il bagno un attimo prima della cerimonia, e la sua richiesta viene naturalmente esaudita. E poi sparisce. È semplicemente fuggita. Anka Ritoša dell’Anagrafe non ha potuto fare altro che constatare l’assenza della sposa e l’impossibilità di celebrare il matrimonio. Poi eravamo venuti a sapere che in realtà la donna era stata obbligata a sposarsi, che il matrimonio era stato forzato, che entrambe le famiglie obbedivano a leggi ataviche della vendita della sposa, insomma, dev’essersi trattato di qualcosa del genere se la povera donna non ha trovato un momento migliore per ribellarsi. Il corteo nuziale in attesa l’ha vista fuggire in abito bianco. Insomma, ne abbiamo viste, ma anche combinate davvero tante noi fotografi. Un tempo c’era anche l’usanza di fotografare le feste di compleanno. Ne ricordo una allestita a Monteparadiso dove credevamo d’aver fatto un buon lavoro mentre, invece, per la differenza di temperatura tra esterni e interni l’obiettivo era rimasto appannato dalla condensa. Eravamo ragazzi alle prime armi, non c’avevamo pensato e alla fine del procedimento dello sviluppo tutte le immagini apparse erano fosche e quindi inutilizzabili. Un lavoro andato in fumo, tempo perso. Come rimediare senza dirlo al padrone? Il giorno seguente tutti gli invitati sono stati richiamati a una festa bis, con un’altra torta, altre pietanze, insomma, il momento era stato immortalato quasi uguale a quello del giorno prima, a nostre spese. In guaio è che il padrone è venuto a saperlo. Tutto si scopre prima o poi. Ma ci è andata bene lo stesso: ne abbiamo tratto un insegnamento per tutta la vita e anche due. Poi c’erano le fotografie dell’uscita dall’ospedale delle donne che avevano appena avuto un bambino. Sì, un tempo si faceva anche questo.
D’accordo, ma le fotografie delle cerimonie nuziali non ve le leva nessuno.
Dice? Le faccio presente che la gente non si sposa più come un tempo: oggi si convive e basta. Se fosse altrimenti, uno studio specializzato in soli eventi matrimoniali come il ‘Photo Professional’ non avrebbe mai chiuso baracca, e invece è stato costretto a chiudere. Se fosse altrimenti, l’artigianato fotografico non sarebbe decimato come invece è stato decimato. Le faccio anche notare che negli anni Novanta eravamo in 18, e che oggi siamo rimasti in cinque. Fino agli anni Novanata Pola è stata un città militare e ogni tre mesi i fotografi erano ingaggiati per immortalare i momenti solenni del giuramento di cinque o seimila reclute al loro primo impatto col servizio di leva. Un tempo si usava così. Sparito l’esercito, sparita una buona clientela disposta a cercare il fotografo di professione. Non c’è stata domenica, fino agli anni Novanta, che io non abbia lavorato da mezzogiorno alle otto di sera. Poi è finito tutto di colpo. Ed è arrivata la macchina digitale. Le foto si fanno sempre, ma manca la richiesta del servizio di stampa. Ci rimangono le foto per i documenti, d’accordo, le fotografie fotometriche che devono rispettare certe distanze, certe proporzioni, come la distanza tra le pupille, l’assenza di sorriso, di smorfie, d’inclinazione, insomma, tutte quelle disposizioni che sono dettate dalla legge. Qui c’è ancora bisogno del fotografo: la foto del telefonino non vale. Ma i documenti si rinnovano ogni dieci anni, Pola ha 50.000 abitanti, li faccia lei i calcoli.
E tuttavia suo figlio lavora al suo fianco, la bottega avrà un erede. Ma alla pensione ci pensa?
Io sono in pensione dal 15 dicembre 2018. Ma vengo a dare una mano…
Difficile mollare, vero?
Eh sì.

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