«La scena pittorica è incisiva, si fa vedere e fa parlare di sé»

Intervista all’artista connazionale Fulvio Juričić, insignito quest’anno del Premio Città di Pola

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«La scena pittorica è incisiva, si fa vedere e fa parlare di sé»

Domenica mattina, durante la seduta solenne del Consiglio cittadino, al pittore connazionale Fulvio Juričić sarà consegnato il Premio Città di Pola, la massima benemerenza municipale a scadenza annuale. La motivazione è presto detta e non ha bisogno di troppe spiegazioni. Artista fecondo, docente di pittura, maestro eccezionalmente valido e amato, Juričić è stato tra i più stimati insegnanti di arti figurative della Scuola di arti applicate e design di Pola, uno dei primi tra l’altro, al fianco di quel gigante di Ivan Obrovac al quale si deve appunto la sua fondazione. In quarant’anni di carriera Juričić ha svezzato centinaia di ragazzi pieni di talento artistico, oggi artisti e colleghi, ha riempito le gallerie d’arte e gli spazi pubblici della città di opere dalle caratteristiche forme lineari, essenziali, geometriche, monocromatiche, e in tal modo ha fatto di Pola, nel suo piccolo, una città migliore. Juričić è nato il 18 agosto del 1952, ha frequentato il liceo italiano e poi l’Accademia di belle arti di Zagabria. La sua candidatura per il premio Città di Pola è stata accreditata da otto istituzioni e associazioni, tra cui la Scuola di arti applicate, il Museo di arte contemporanea istriano, l’Associazione culturale Robot, il Comitato locale di Monteparadiso, i pittori accademici (suoi studenti) Robert Pauletta ed Eros Čakić, la Galleria d’arte contemporanea “Apoteka” di Dignano, l’Associazione artisti figurativi (HDLU, sezione istriana), nonché le associazioni “Distorzija” e “Cavae Romane 95”. Erano anni che una candidatura non presentava questo numero e questa selezione di favori. D’altronde erano anche anni che il Premio Città di Pola non andava in mano ad un artista. E cominciamo pertanto l’intervista col pittore proprio con una considerazione di questo tenore: come mai sono così pochi gli artisti tra i benemeriti dell’amministrazione comunale?

Obrovac, un docente modello

Ci siamo dati da fare e abbiamo scartabellato tra le statistiche del trentennio in cerca di indicatori di “popolarità” tra le benemerenze municipali. Ci risulta che per la maggior parte i titolari del Premio Città di Pola sono medici, professori e presidi, cantanti, compositori e direttori di cori o orchestre, amministratori delegati di grandi industrie come il cantiere navale, ma anche giornalisti e redattori radiofonici. Assenti quasi completamente pittori, illustratori, designer, architetti, artisti figurativi o visivi che dir si voglia, cineasti, attori eccetera. La cosa comincia a dare nell’occhio. L’ultimo artista onorato del titolo era stato Ivan Obrovac, nel 1995. Faccia lei i calcoli…

È vero, ora che ci penso, è così. Eppure la scena pittorica polese non soltanto esiste, ma è notabile, incisiva, si fa vedere e fa parlare di sé, anche fuori città. Obrovac è stato il precursore, per modo di dire, della Scuola di arti applicate e design, un modello di docente. Era stato lui il titolare delle prime sezioni di grafica e design che inizialmente facevano capo a istituti come il Centro di educazione e istruzione “Branko Semelić”, il Ginnasio, persino la Scuola di Musica. Se la Scuola di arti applicate è diventata via via un istituto indipendente con la dignità che ha oggi, lo dobbiamo certamente a Ivan Obrovac, ma anche a quella ‘discendenza’ di eccellenti artisti e professori che erano stati suoi allievi e ne hanno seguito le orme. Erano gli anni Settanta, io ho iniziato a lavorare al suo fianco nel 1979, ma la Scuola è indipendente soltanto dal 1991.

I rampolli di nuova generazione

Facciamo qualche nome di questa famosa “discendenza”?

Certamente, ricordiamo Robert Pauletta, Bojan Šumonja, Marina Banić, Eros Čakić, Bruno Nefat, che poi magari ha battuto altre strade, infatti è diventato architetto e urbanista, insomma, queste erano proprio le primissime generazioni, ma il seguito non è stato da meno, basti citare i rampolli della nuova generazione, Matija Debeljuh, Škofic di Parenzo, e i vari graphic designer come Sean Poropat, Oleg Šuran, ce ne sono tantissimi, troppi, più di quanti se ne possano citare in un articolo di giornale in quest’occasione.

Uno sguardo alla scena pittorica degli ultimi anni. Ci pare accusare anche dei sintomi di malessere, come se lottasse duramente per l’esistenza. Sa com’è: le arti fioriscono dove c’è un eccesso di ricchezza, ma l’economia non gioca a nostro favore.

Se è così, allora oggi quest’asserzione è tanto più valida visto che l’artista moderno non è più quell’eccentrico col cavalletto, la tela, la tavolozza, la tuta sporca di chiazze colorate. Oggi per l’arte ci vuole la tecnologia, ci vogliono i computer, le telecamere, ci vuole quella che chiamiamo multimedialità. L’arte si è evoluta, e oggi è tutto uno sperimentare. È cambiato letteralmente tutto, e più si va avanti più si evolvono i mezzi, gli strumenti, l’estetica. Il pittore tradizionale dell’immaginario collettivo è morto con l’impressionismo: a partire dal russo Kazimir Maljević è venuto alla ribalta un nuovo tipo di artista. Che cosa ha fatto Maljević? Pioniere dell’astrattismo geometrico e delle avanguardie, a cavallo tra Otto e Novecetno, Maljević ha ribaltato l’arte come hanno fatto in pochi nella sua storia.

«Il nero è bellissimo»

Tra i quadri della collezione pittorica della Comunità degli Italiani di Pola, ce n’è uno emblematico della sua produzione artistica, che in molti si fermano ad ammirare.

Ma quella non è pittura, lì dentro ci ho messo del cemento, della sabbia…

Ah, ecco perché sono tutti così neri i suoi lavori! Ma perché tutto questo questo nero, questa pece, questo buio pesto nella sua arte?

Perché mi piace. Punto. Il nero è bellissimo, è il più spirituale dei colori, il più elegante, il più espressivo. Il nero è il colore della musica, diceva Beethoven e io aggiungo che è anche uno dei migliori colori dell’arte. Non è una questione di tristezza o di depressione. Depresso non lo sono mai stato, eppure la mia produzione è preminentemente scura. Le macchine di lusso sono nere, il frac è nero, tutta l’eleganza è nera, ma quando uno dipinge col nero, ecco che cominciano le elucubrazioni: dev’essere depresso. Niente affatto. Il nero è semplicemente stupendo. Ci sono altri colori della spiritualità, della riflessione e della meditazione, come il bianco e l’arancione per esempio, ma io resto fedele al mio nero. E poi, chi ha qualcosa da trasmettere al pubblico, lo più fare in mille modi, mentre a chi non abbia nulla da dire, non gioveranno nemmeno tutti i colori dell’arcobaleno.

Abbandonato al totale astrattismo

Manco a dirlo, lei è un astrattista, ora che ci penso non ricordo d’aver mai visto un suo quadro figurativo.

Ho avuto delle esperienze col realismo all’Accademia, perché richiesto dal curricolo, ma appena chiuso questo percorso formativo, mi sono abbandonato al totale astrattismo, né potrei immaginare di fare altro. L’arte si è evoluta in tal senso, ci sono state delle correnti iperrealiste e così via, di quando in quando si parla di un ritorno al figurativismo in grande stile, ma poi questo regresso io non lo vedo né, francamente, me lo auguro. Per quanto mi riguarda, il tempo corre in una sola direzione, il passato non ritorna e l’arte segue il suo corso.

Eppure uno dei suoi maestri è stato il celebre Vasilije Jordan.

Veramente il primo è stato Stančić, che abbiamo avuto la sventura di perdere al terzo anno. Con Jordan ho lavorato soltanto per qualche mese e non posso dire di averne subito l’influenza. La maggiore influenza nei miei anni formativi l’hanno avuta Ljubo Ivančić e Ferdinand Kulmer, quello del castello…

Kulmerovi dvori, il castello dei Todorić?

Proprio quello, il mio maestro, il pittore, era anche un rampollo di nobile casato, un conte, ma di fede socialista, che ha lasciato tutte le sue ricchezze alla giovane repubblica federativa di Jugoslavia. Di gente di questa fattura non se ne vede più in circolazione. All’epoca l’idealismo faceva ancora trasportare gli animi.

Il Premio un piacere immenso

Tornando al Premio, la sua candidatura è suffragata da otto autorevoli istituzioni e artisti, Museo di arte contemporanea e Scuola d’arti applicate inclusi, per cui si può dire che la decisione è stata plebiscitaria, e che il Municipio non avrebbe potuto ignorarla in nessun caso.

Il premio in sé è una soddisfazione grandissima, ma il fatto che la candidatura abbia avuto questo genere di suffragio è una soddisfazione anche maggiore.
Io magari non me lo sarei mai aspettato, intanto perché non ho mai lavorato per collezionare premi, ma perché mi piaceva lavorare e basta, detto così molto prosaicamente. E tuttavia, ora che sono passati gli anni, mi fa piacere che qualcuno si sia accorto del valore di tutto questo lavoro. A voler essere sinceri, potevano anche non accorgersene, e mi sarebbe andata bene lo stesso, ma è meglio averlo avuto il Premio. Scherzi a parte, il piacere è immenso.

Stasera l’inaugurazione della mostra retrospettiva

Il Museo d’arte contemporanea istriano si prepara a ospitare la sua retrospettiva 1979-2019, a cura di Mladen Lucić, che verrà inaugurata oggi alle ore 19. Come le pare questo MAC venuto su dal nulla, per un eccesso di spazi all’ex tipografia che oggi ospita anche la Biblioteca civica?
A me piace molto. Inizialmente lo spazio versava realmente in cattive condizioni, ma ultimamente ne hanno fatto di strada, e questa direzione guidata da Ketrin Milićević Mijošek sta facendo grandi sforzi. Secondo me tra qualche anno quello sarà un museo a tutti gli effetti, e non soltanto un abbozzo o un’idea vaga di museo in eterno divenire. Bisogna dare tempo al tempo, sicuramente ci regalerà tante soddisfazioni. Quanto alla mostra, al MAC saranno in esposizione soltanto i dipinti, mentre le illustrazioni saranno esposte alla Galleria civica che custodisce il lascito di Anton Motika.

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