Jessica Acquavita: «Andiamo a votare e chiediamo le schede per il voto specifico»

Intervista di fine mandato alla vicepresidente della Regione istriana in rappresentanza della Comunità Nazionale Italiana che è candidato unico pure per i prossimi quattro anni

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Jessica Acquavita: «Andiamo a votare e chiediamo le schede per il voto specifico»
Foto: IVOR HRELJANOVIĆ

Eletta quattro anni fa, Jessica Acquavita, vicepresidente della Regione istriana in quota Comunità Nazionale Italiana ha deciso di ricandidarsi. Alle Amministrarive del 18 maggio il suo nome sarà l’unico sulla scheda in quanto non ci sono altri candidati. Con Jessica Acquavita abbiamo parlato di quanto fatto in questo quadriennio e dei progetti per il futuro.

È un pregio o un difetto essere candidato unico? Perché chiedere agli elettori di nazionalità italiana di votare sempre e comunque?
Sarei ipocrita se non dicessi che essere candidata unica mi permette di affrontare il periodo di elezioni in maniera più tranquilla. Riguardo a questa situazione, mi piace pensare che i connazionali siano rimasti soddisfatti del lavoro da me svolto in questi quattro anni, che con il mio operato io abbia guadagnato la loro fiducia e che il risultato sia appunto il fatto di non avere un concorrente. Lungi da me però essere rilassata, anzi. L’esperienza accumulata in questo mandato che si sta per concludere, ma anche il fatto di essere candidata unica, mi fa sentire una grande responsabilità che è quella di dover fare altrettanto bene e possibilmente meglio anche nei prossimi quattro anni.
Il difetto maggiore dell’avere un unico candidato per la posizione di vicepresidente (ma anche quella di vicesindaco in molti Comuni e Città) sta nel fatto che l’elettorato potrebbe risultare meno vivace poiché obiettivamente non ci sarà necessità di schierarsi dall’una o dall’altra parte: i giochi sono praticamente già fatti. Il messaggio che sto ripetendo ai connazionali in questo periodo è quello di andare a votare. A queste elezioni – al contrario delle parlamentari – abbiamo il diritto al doppio voto. Andiamo a votare e chiediamo le schede per il voto specifico, anche là dove ci sono candidati unici. Dobbiamo far sentire la nostra presenza anche in questo modo, usufruendo di questo nostro diritto. Perché per quanto vogliamo credere il contrario, i numeri purtroppo contano.

Potrebbe commentare i risultati del suo ufficio nel corso della passata legislatura? Quanto è importante l’affinità di vedute tra presidente e vice quando non possono scegliersi a vicenda come avviene invece per l’altro vicepresidente, eletto in coppia?
Se dovessi fare un bilancio della passata legislatura direi che abbiamo realizzato dei progetti importanti, a partire dalla costruzione della nuova sede della Scuole elementare di Cittanova (in collaborazione con la Città e con l’UI), passando per l’implementazione della segnaletica stradale bilingue, per non parlare di tutte le attività indirizzate alla CNI che porta avanti l’assessorato preposto. La collaborazione con il presidente Miletić – e con tutta l’amministrazione – è stata ottima. Io ho avuto il privilegio di capitare in una “squadra” che ha sempre tenuto in considerazione il mio ruolo particolare ma che mi ha fatta sentire una vicepresidente a tutti gli effetti. Direi che più che l’affinità di vedute è importante instaurare un rapporto corretto e di dialogo. Per farlo è necessario avere dall’altra parte un interlocutore che innanzitutto sappia ascoltare, e poi che abbia la sensibilità – o l’intelligenza – per comprendere il ruolo della nostra comunità in questi territori, i diritti che dovrebbero esserci garantiti ma anche le richieste da noi avanzate. Cercare la collaborazione e il dialogo è fondamentale per chi, come me, cerca di portare a casa il massimo beneficio per la nostra componente ricoprendo un ruolo che – in realtà – sta tra l’esecutivo e il consultivo.

Quali sono i maggiori problemi della CNI, oggigiorno, a parte l’ovvio: il calo demografico. Siamo ancora presenti? Le scuole sono ancora ugualmente valide come un tempo? La lingua che parliamo è ancora un italiano che sa di italiano?
La nostra comunità vive un momento particolare: se da una parte dobbiamo affrontare il calo dei numeri, dall’altra le nostre istituzioni godono di una situazione finanziaria positiva. Il calo demografico è generale, ma colpisce ovviamente – e in maniera più pesante – anche la nostra comunità che, oltre ad essersi ridotta si ritrova con un sentimento identitario che, nelle nuove generazioni, non è più quello di una volta – un po’ per conseguenza dei matrimoni misti, un po’ per l’ambito europeo in cui i giovani crescono e che li fa sentire cittadini del mondo. Dobbiamo poi affrontare anche il cambiamento della struttura demografica nelle località di insediamento storico: molte persone che si trasferiscono da altre realtà e da altri Paesi non hanno il retaggio politico-sociale che noi ci portiamo dietro; non hanno vissuto gli anni ‘90 e le varie battaglie per il bilinguismo; magari non comprendono nemmeno la necessità di una segnaletica bilingue o dell’insegnamento della lingua italiana a scuola. Esiste dunque il rischio che determinati principi che ci caratterizzano vengano messi in dubbio. Nonostante questo noi ci siamo ancora, e come Comunità dovremmo lavorare soprattutto sulla consapevolezza: far capire ai connazionali quanto sia importante parlare la nostra lingua, sempre e comunque, partendo dall’ambiente familiare; tutelare e curare le nostre tradizioni, tramandarle ai giovani. E poi continuare a sensibilizzare sia la sfera sociale che quella politica. Ma i concetti di identità, di lingua madre sono concetti che vanno curati e fatti crescere innanzitutto in famiglia; certo, le leggi, le autorità, la politica possono contribuire a consolidarli ma le basi devono essere ben salde e se lo saranno dipende esclusivamente da noi. Le scuole, in questa catena di preservazione, hanno sempre giocato un ruolo importante. Oggi stanno affrontando una serie di sfide che non facilita il loro lavoro: dalla difficoltà di avere quadri qualificati, alle peripezie con il riconoscimento dei titoli di studio. La soluzione di questi problemi dovrebbe essere la nostra priorità. Credo che come Comunità dovremmo sederci a un tavolo, fare un’analisi della situazione attuale ma soprattutto porci delle domande chiare – e forse anche scomode – che ci permettano di individuare degli obiettivi e di stilare una strategia, un piano di sviluppo per raggiungerli e garantire così un futuro stabile alle nostre istituzioni e alla comunità stessa.

Come valuta l’applicazione del bilinguismo in Istria, ferme restando le grandi disparità locali?
Il bilinguismo resterà sempre un tema attuale per la nostra CNI, poiché per quanto si facciano dei passi avanti, c’è sempre del lavoro da fare. L’obiettivo da raggiungere è l’automatismo, una forma mentis per cui la pubblicazione di documenti/scritte/annunci bilingui sia una cosa automatica nelle amministrazioni che regolano il bilinguismo con i loro documenti e statuti. Per arrivare a questo ci vogliono innanzitutto la volontà politica e ovviamente gli strumenti per farlo. Credo che la prima non manchi: amministrazioni cittadine e comunali hanno più volte dimostrato buone intenzioni, prendendo parte a progetti che porta avanti la Regione, o sostenendo le Comunità degli italiani. Quello che manca, nella maggior parte dei casi, sono le risorse – umane e finanziarie – per una realizzazione del bilinguismo metodica e organizzata. E su questo dobbiamo continuare a lavorare.

Quale programma politico si propone di realizzare durante la prossima legislatura?
Come detto, poc’anzi c’è ancora del lavoro da fare sul rispetto del bilinguismo, anche a livello regionale. Continueremo con le attività volte alla promozione della lingua italiana, e cercheremo di rafforzare la produzione bilingue di moduli, pubblicazioni e pagine web. Un progetto che mi sta particolarmente a cuore e che vorrei veder realizzarsi è quello della Casa dell’istroveneto a Buie. Ne parliamo da qualche tempo ormai, abbiamo avuto un riscontro positivo anche dagli amici della Regione Veneto. È un progetto che avrà bisogno di un investimento finanziario non indifferente e insieme all’Unione Italiana stiamo valutando concretamente le possibili vie di realizzazione, anche attraverso i fondi europei. Questo sarà certamente uno dei focus per il prossimo mandato. Oltre all’istroveneto, mi impegnerò per continuare a sostenere anche gli altri progetti promossi dalla nostra comunità nazionale e che danno valore aggiunto a tutto il territorio; qui penso innanzitutto all’istrioto, ma anche alle altre manifestazioni (Leron, Ex Tempore, ecc.) organizzate dalle CI e dall’Unione Italiana. E poi, un altro tema di cui abbiamo ripreso a parlare insieme all’Unione italiana e al Consiglio regionale per la minoranza italiana autoctona e che mi sta a cuore riguarda l’autonomia della Scuola italiana di Dignano. Ovvio che la realizzazione di questo progetto non dipende solo da noi, ma dovrà veder coinvolta l’amministrazione cittadina e il ministero preposto. La sinergia tra le nostre istituzioni, in questo caso, sarà fondamentale.

Come valuta il livello di collaborazione tra gli enti rappresentanti della CNI e la qualità della loro cooperazione con i centri di potere della maggioranza?
Credo che la collaborazione tra enti e rappresentanti CNI sia molto buona. Anche per parte mia ho voluto contribuire a rafforzarla, cercando in questo mandato di instaurare un dialogo aperto con tutte le istituzioni, a partire dal Consiglio regionale della nostra minoranza. Assieme all’assessorato alla comunità italiana, abbiamo organizzato regolarmente i coordinamenti con i vicesindaci italiani. Si tratta di occasioni di confronto ma anche di opportunità per raccogliere le testimonianze dal territorio, che è molto variegato, e capire come affrontare insieme determinate questioni. Proprio da questi coordinamenti è partita l’idea, poi realizzata, per l’acquisto da parte delle città bilingui della licenza per il software di traduzione assistita Trados.
Anche con i centri di potere della maggioranza mi sembra di percepire un buon rapporto. Sicuramente in tutti questi anni abbiamo saputo dare alla nostra comunità una dignità e un peso che viene recepito dalla maggioranza, sia a livello locale che nazionale. Per noi italiani il gradino più grande da superare, è il dualismo, ovvero le due lenti con la quali veniamo osservati e percepiti e le cui immagini spesso non coincidono: a livello locale e regionale siamo una comunità nazionale, autoctona, parte integrante dell’identità di questo territorio alla quale vengono riconosciuti un ruolo e dei diritti ben precisi che istituzioni della comunità ma anche amministrazioni locali si impegnano per far rispettare. Dall’altra parte, per lo Stato siamo una delle 22 minoranze riconosciute costituzionalmente e ovviamente, per il governo è importante mantenere l’equità. La conseguenza è che lo spazio di manovra è poco per ottenere qualcosa che per noi magari è importante mentre non lo è le altre minoranze. In questo senso forse sarebbe utile avere nello Stato un interlocutore più sensibile alle specificità delle minoranze presenti in Croazia, ma mi rendo conto che non sia una cosa così semplice da raggiungere.

Nelle grandi Comunità degli italiani si parla molto di assenteismo, di scarsa partecipazione dei soci, per cui gli elenchi ne contano a migliaia mentre le sedi sono frequentate da appena un paio di centinaia di persone. Non è che stiamo sbagliando in quello che stiamo facendo?
Come dicevo prima, i tempi stanno cambiando. Le Comunità degli Italiani, fino a qualche anno fa, erano centri di cultura in tutte le località in cui avevano sede. Se questa situazione può dirsi invariata per i piccoli centri, le CI delle città più grandi devono competere con un’offerta di contenuti molto più ampia e spesso più attraente per i giovani. Non credo che stiamo sbagliando in ciò che facciamo: le comunità devono rimanere la casa degli italiani, offrire attività che siano volte alla promozione e alla tutela della nostra identità, cultura e lingua sul territorio. Dobbiamo semplicemente capire come reinventarci. Sicuramente dobbiamo puntare sempre più sulla qualità dell’offerta. Come dire, non basta più avere un coro dei mini-cantanti. Dobbiamo avere un ottimo coro dei mini-cantanti, perché il genitore non si accontenta, ma sceglie l’offerta migliore per il proprio bambino. Sul numero dei soci, credo che la chiusura, la selezione severa per cui solo “l’italiano con pedigree” può diventare socio della CI, non sia la strada da percorrere. Non dobbiamo aver paura di aprirci alla comunità intera per farci conoscere, per far conoscere la nostra cultura, la lingua, per far comprendere quello che siamo.

Per chiudere, che cosa comunica agli elettori?
Ancora una volta un appello ad andare a votare, e soprattutto di usufruire del diritto al doppio voto in queste consultazioni richiedendo espressamente la scheda per l’elezione dei rappresentanti CNI. Anche laddove c’è un unico candidato. Se il candidato non piace, annullate la scheda, ma richiedetela. Anche con i numeri, facciamo sentire la nostra presenza, facciamo sentire che noi ci siamo.

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