“Apertura alla città e al mondo” è l’imperativo che sta cambiando radicalmente l’Università degli studi di Pola. Un evento che riassume il cambiamento di registro dell’Ateneo polese è stato anche quello, molto particolare, della cerimonia del tè giapponese allestita giovedì nell’aula magna della Facoltà di Lettere e Filosofia. Si tratta di un’iniziativa del Corso di laurea magistrale in Lingua e cultura giapponese, di recente fondazione, che però aspira a diventare negli anni un corso di laurea specialistica a tutti gli effetti. La cerimonia a cui abbiamo avuto la fortuna di assistere è stata patrocinata dall’Ambasciata giapponese di Zagabria e condotta dai maestri e dagli allievi di una delle scuole del tè molto popolari in Estremo Oriente. A fare gli onori di casa, dunque, il viceambasciatore giapponese Kazumasa Miyazaki e la preside della Facoltà di lettere Klara Buršić Matijašić, nonché Kaori Hashimoto, esperta di tradizione Urasenke Chado.
Perché addirittura una “cerimonia” per gustare del banalissimo tè, seppure di ottima qualità? È qui che sta l’arcano: quello della consumazione del tè in Giappone è un rito che va molto al di là del semplice consumo materiale di una bevanda. Esso esige un comportamento preciso, una programmazione dell’evento minuziosa, una preparazione scrupolosa e una consumazione rituale di gruppo che sa di religioso. Ogni utensile ha un suo nome specifico, come del resto ne ha uno persino la stanza in cui si svolge la cerimonia, che si chiama appunto chashitsu. Le ricostruzioni storiche ci permettono di sapere che la pianta del tè (Camelia sinensis) è in realtà originaria della Cina meridionale e si diffuse in Giappone soltanto dopo l’anno mille, probabilmente su iniziativa di monaci buddisti che ne facevano largo consumo nello studio della dottrina Zen. Sarebbe stato il monaco Eisai a portare il tè in Giappone nel 1191, mentre un altro monaco, Murata Jukō, è considerato il vero fondatore della cerimonia del tè giapponese e dello stile wabi-cha, che trasformò il rito cinese in una cerimonia nazionale autonoma. Per i monaci zen il rituale ha il valore di un’arte al pari della della pittura, della poesia e della calligrafia, ed è intriso di profonda spiritualità attraverso gesti che portano a raggiungere la totale calma e consapevolezza interiore. Come ci ha fatto notare Kaori Hashimoto, i principi costitutivi del rito sono armonia, rispetto, purezza e tranquillità e non riguardano soltanto i partecipanti ma anche gli oggetti stessi utilizzati per la preparazione della bevanda e per le pietanze che vengono consumate prima del tè. La varietà del tè scelta per la cerimonia dell’altra sera, il matcha, è considerata la migliore tra i tè verdi giapponesi per l’elevato contenuto di antiossidanti: questa particolare varietà contiene infatti 127 volte il contenuto di antiossidanti del normale tè verde che compriamo al supermercato, e in più è ricca di polifenoli e amminoacidi. Il prezzo, però, non è a portata di mano di tutti.

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