Comincia a farsi notare l’edificio in costruzione che dal 2023 sarà la sede ufficiale del primo Coworking polese e istriano propriamente detto: uno spazio da 1.500 metri quadrati disposti su quattro livelli da condividere tra nomadi digitali, freelancer, start up, aziende moderne e innovative, emergenti o affermate, che hanno fatto del lavoro remoto uno credo, uno stile di vita, un modo di essere. L’edificio sta venendo su che è un piacere guardarlo, specie perché nasce dai ruderi di una concessionaria d’automobili fallita e costituisce quindi un investimento brownfield che per definizione risparmia suolo, risorse e soldi. Che tipo di ente sarà questo Coworking? Ne parliamo con Filip Šetić dell’Agenzia regionale di sviluppo (IDA) che segue l’evoluzione del progetto dal primo giorno. A suo dire la scena del nomadismo digitale ha fatto strada, si è imposta e necessita appunto di spazi di lavoro condivisi come questo.
“Lo stabile è concepito in maniera tale da assicurare due tipologie diverse di utilizzo dell’ambiente di lavoro: l’open space al pianterreno e al primo piano, con cinquanta postazioni singole, e al secondo piano otto uffici nel senso proprio del termine, separati e arredati, a disposizione delle aziende che ne avranno bisogno per qualche tempo. Al terzo piano si troverà una sala conferenze multimediale, dotata di impianti audio e video della migliore qualità con cabine per gli interpreti simultanei, i tecnici… Vi faccio notare che Pola non ha avuto nulla di tutto questo finora, eppure è meta frequente di pellegrinaggi dei nomadi digitali”.
Dai bar alle postazioni vere e proprie
Chi sono esattamente questi nomadi digitali? In quanti cercheranno “riparo” al Coworking? Il progetto sarà autosostenibile una volta esauriti i soldi elargiti dall’Europa? La domanda è più che legittima. Naturalmente il nomadismo digitale è un fenomeno in espansione. I ventenni, i trentenni e i quarantenni di oggi non sembrano condividere con i genitori l’apprezzamento per il posto fisso (o l’ufficio fisso) a vita: l’idea è quella di fare del mondo intero un ufficio e una vita, a patto di poterci guadagnare bene, ovviamente. Avete presente quei tipi stranieri giovani-non-più-giovani al bar sotto casa, col portatile in grembo, le cuffie in testa, il cappuccino fumante in una mano e il mouse nell’altra? Passano delle ore nei locali del centro storico a digitare, videochiamare, scrivere, redigere, elaborare fotografie, costruire siti, inviare messaggi di posta elettronica… Che diamine staranno facendo? Lavorano. “Sì, sono loro: sono i nomadi digitali. Oggi lavorano per i bar e nelle ville turistiche che affittano per quel tempo che gli basta. Sono i nostri futuri clienti, che potranno scegliere di occupare una delle 50 postazioni dell’open space per un’ora, due ore o tre ore, ma anche per qualche giorno, a scelta, secondo le rispettive esigenze. Tutta la filosofia del coworking ruota intorno a questi concetti di flessibilità, condivisione, incontri e scambio di esperienze”.
L’interesse c’è
“Per le aziende con personale sarà diverso – spiega il nostro interlocutore –: per avere l’ufficio classico arredato dovranno fermarsi più a lungo e firmare un contratto a scadenza minima, e vedremo in seguito se per sei mesi o dodici. L’interesse esiste, su questo non ci sono dubbi. Ovviamente abbiamo condotto ricerche di mercato, inchieste tra i potenziali fruitori, ne abbiamo tastato il polso in varie occasioni. Siamo in contatto con l’Associazione croata nomadi digitali e col suo presidente Jan de Jong, imprenditore olandese con residenza provvisoria in Croazia. Inoltre partecipiamo ai vari congressi di coworking in Europa per fare rete e per far partire la nostra sede col vantaggio della buona preparazione”.
Secondo i dati che Jan de Jong ama diffondere nei media nazionali, la Croazia è stata uno dei primi Paesi dell’UE e del mondo a disciplinare il soggiorno degli stranieri che praticano il nomadismo digitale. Per avere il visto, il permesso di soggiorno e la facoltà di lavorare da remoto basta dichiararsi in Questura, dimostrare di avere una dimora, l’assistenza sanitaria e almeno 2.200 euro di reddito mensile. Secondo le stime di de Jong, i nomadi digitali in arrivo in Croazia ogni mese sono almeno 5.000. Spendono sulle 10.000 kune al mese e fanno circolare l’economia a livello locale semplicemente trovandosi sul posto e spendendo i loro stipendi nei ristoranti, nei negozi, dai parrucchieri e chiaramente all’Ufficio imposte. Dal 2023 spenderanno parte dei loro guadagni anche per pagarsi la postazione, l’ufficio o la sala convegni in via Marulić.
Canoni d’affitto commerciali
Piuttosto, avranno uno sconto sul canone d’affitto? I prezzi del lavoro condiviso saranno più accessibili che quelli del mercato? Filip Šetić fa chiarezza anche su questo punto: “I canoni d’affitto saranno commerciali. Il Coworking non è l’incubatore aziendale per le piccole aziende emergenti che hanno bisogno d’aiuto per partire. Un incubatore è un incubatore, e l’IDA ne gestisce uno da diversi anni. Un coworking è un coworking: la sua costruzione è sovvenzionata, ma la sua attività no. Uno spazio di questa estensione e di queste funzionalità, di questo livello di comodità e accoglienza, implica dei costi di gestione che sono elevati e che devono essere coperti da introiti, in questo caso i canoni d’affitto. Il listino prezzi rimane ancora da definire. Accanto all’IDA ci penserà l’amministrazione cittadina, in qualità di proprietario dello stabile e partner dell’IDA nel progetto”. Intanto, per vedere il futuro centro in funzione i tempi si vanno accorciando di giorno in giorno. Il contratto d’appalto è stato firmato in aprile, i lavori sono iniziati in estate e dovranno terminare nel giro di 12 mesi. Con i collaudi, gli arredi e le verifiche si arriverà alla fine del 2023. La direzione dell’IDA ha confermato che il cantiere avanza secondo la tempistica prevista dal contratto d’appalto stipulato con l’azienda spalatina Lavčević i Lavčević – inženjering. Il valore dell’opera ammonta a 24,3 milioni di kune.
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