Ex emporio polese. Un pugno nell’occhio in centrocittà

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Ex emporio polese. Un pugno nell’occhio in centrocittà

Con la sua inaugurazione nel lontano 1978 fece scalpore, quasi quanto il Max Stoia, nel 2018, esattamente 40 anni dopo. Allora Pola aveva guadagnato il suo primo vero grande emporio commerciale, caratterizzato indelebilmente da quell’architettura squadrata e senz’anima di stampo real-socialista, i Grandi magazzini (Robna kuća), mega centro per acquistare di tutto: dai bottoni alle calze, dai giocattoli alle grattugie, dagli elettrodomestici al mobilio dei piani superiori. Una gran scelta entro i limiti di una certa qualità, peculiare della produzione in serie d’epoca jugoslava. Non sarà stata una costruzione monumentale, come nemmeno un simbolo della Città, ma un punto di riferimento spaziale, sociale, dello shopping e dei tanti comodi servizi di refrigerio, riparazione, amministrazione. Nel gran cubo dell’emporio, ci si poteva accomodare in ristorante (a prezzi accettabili), nelle rosticcerie, farsi riparare la scarpe seduta stante dal calzolaio, affidarsi al servizio di fotocopiatura, salire agli sportelli bancari in piano e via percorrendo gli spazi interni della struttura.

Struttura d’epoca

Ebbene, come tutte le costruzioni del realismo socialista, anche questa si allinea al degrado del patrimonio residenziale anni Settanta, ai casamenti da cinque piani in stato di scrostatura, ai grattacieli brutti e anonimi, che tappezzano in serie tutta Monteparadiso. È decadenza strutturale di un’epoca, che ancora studiava la modalità dei bassi costi di costruzione, dedita alla standardizzazione prefabbricata, la cui edilizia industriale aveva per obiettivo progettare una tecnologia che si adattasse alla costruzione su vasta scala. Andavano di moda l’edilizia di massa, la produzione di massa e il commercio di massa. Ora la vecchia “Robna kuća” jugoslava è squallida testimonianza di un’epoca quasi dimenticata, una reliquia che fino all’ultimo si era ostinata a mantenere certi parametri superati di vendita commerciale standard, con pareti esterne e vetri imbrattati di graffiti, vetrine semivuote o in veste di pattumiera, che continuano a fare pubblicità a polvere, a cartacce abbandonate come agli indumenti di scarsa qualità che penzolano dagli stand della mini baraccopoli fieristica nell’area d’ingresso dal piazzale del mercato verde.

Vani i tentativi di rinnovo

Anni or sono, l’emporio era ancora in vita. L’epidemia del souvenir, che ha contagiato tutte le rivendite di via Sergia, umilmente piegatasi al turismo portatore di euro, non era riuscita a penetrare entro il geometrico dado del vecchio centro commerciale. I polesi avevano potuto ancora trovare qualcosa di indispensabile per la quotidianità: calze, mutande, biancheria intima di cotone, assortimenti da cartoleria, filo da cucito, forbici, chiusure a lampo. Banali articoli ripudiati dai venditori di pinne, conchiglie e asciugamani con stampo “Greetings from Croatia”.

Merce che manca, nell’era dei telefonini in vendita a badilate. Due anni or sono, esistevano interessanti progetti di riqualifica dell’ex emporio. L’impresa “Istra” S.p.A., quale parte integrante del gruppo zagabrese CCS, aveva pianificato la trasformazione dell’edificio commerciale in albergo cittadino, stilato il progetto di massima e condotto trattative con corporazioni e imprese alberghiere. Non c’era stata intenzione di inserirsi nel settore turistico, ma di affidare a un partner e investitore del settore la gestione dello stabile adeguato all’industria dell’ospitalità. Recuperando notizie di cronaca del 2017, si riscopre che parlavano di investimenti da 5-8 milioni di euro a titolo di stesura di documentazione tecnica, riparazione, ristrutturazione e restyling dell’immobile. Puntavano niente meno che sulle quattro stelle, sull’organizzazione degli spazi con un centinaio di camere, sul garage sotterraneo e l’adozione di vari accorgimenti di lusso, con l’idea di tenere aperto nel corso di tutto l’anno. Si parlava di attingere crediti, di inoltrare richieste in direzione della Banca croata di rinnovo e sviluppo (HBOR). Invece, niente di tutto ciò. In questa centralissima zona della Città, tutto continua a crollare e arrugginire. La polvere e la patina derivanti dagli agenti atmosferici sta coprendo anche gli ormai vecchi e sbiaditi graffiti.

L’emporio che fu

Guai a sbirciare dentro le strutture del sotterraneo, dagli intonaci scrostati e ammuffiti, dai soffitti che spandono, Tutto, ma proprio tutto è contrassegnato dal deterioramento sul quale troneggiano i resti delle insegne “Robna kuća Istra”. Incollato sui vetri imbrattati c’è il cartello che fa da guida al pluridecennale inesistente. Scantinato: alimentazione, falegname, calzolaio, servizio fotocopie. Pianterreno: abbigliamento, biancheria intima, articoli per bambini, passamaneria, cartoleria, profumeria, caffè bar, banca. Primo piano: calzature, abbigliamento, pelletteria, articoli casalinghi, ristorante. Secondo piano: articoli casalinghi, elettrodomestici, attrezzature audio-video, stufe, materiale elettrico. Terzo piano: direzione e mobilio. Guasta l’elenco di quello che non c’è più l’isolata presenza della Banca di credito istriana IKB di Umago, isolata superstite, che se non altro mantiene la presenza, si dà un certo contegno e salva la faccia(ta) meridionale del cubo commerciale. Basta attendere ancora un po’ e sarà tutto irrecuperabile.

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