Crescere in famiglia non ha alternative

L’evento è stato organizzato per promuovere i valori dell’affidamento nell’educazione dei ragazzi allontanati dai propri genitori biologici in seguito a provvedimenti avviati dai servizi sociali e autorizzati dai giudici

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Crescere in famiglia non ha alternative
”Un’educazione alternativa”: tribuna e documentario. Foto: DARIA DEGHENGHI

“Un’educazione alternativa”. Questo il titolo del documentario e della conferenza promossi ieri al cinema Valli a margine della Giornata internazionale della famiglia (15 maggio). Entrambi gli eventi – la première del film di Danilo Lola Ilić e il dibattito a seguito – sono stati organizzati con uno scopo preciso: far conoscere e promuovere i valori dell’affidamento familiare nell’educazione dei ragazzi allontanati dalle proprie famiglie di origine in seguito a provvedimenti avviati dai servizi sociali e autorizzati dalla magistratura. “Crescere in famiglia non ha alternative” hanno rimarcato a turni gli specialisti del settore e le autorità intervenute all’incontro, tra cui la vicesindaco Ivona Močenić, l’assistente sociale Pavita Jelinčić e la psicologa Kristina Pauro. Non ne ha perché l’istituto, pur provvedendo a soddisfare tutte le necessità materiali ed economiche dei ragazzi (vitto, alloggio, istruzione, vestiario e tempo libero) alla lunga non soddisfa tutte le loro esigenze emotive. Per questo motivo, come avrà modo di affermare lo psicologo Mladen Kosanović nel documentario “l’istituto è utile i primi tempi se funge come una specie di pronto soccorso. La cosa funziona se a lungo termine il bambino viene trasferito in una famiglia affidataria o adottiva: nessun bambino dovrebbe crescere in un istituto perché con l’età che avanza i problemi non fanno che accumularsi e il quadro generale non può che risentirne”. Tuttavia Pola, l’Istria e in genere tutte le località costiere o adriatiche, dimostrano una scarsa disponibilità ad accogliere bambini in difficoltà a differenza delle località settentrionali dove esiste una lunga tradizione in questo campo. Per promuovere la pratica, sono quanto mai necessarie conferenze e campagne di divulgazione come questa, hanno detto i promotori, auspicando che “tra voi nel pubblico si trovi qualcuno che diventerà un genitore affidatario”, o perlomeno qualcuno che contribuisca a diffondere il passaparola.

I concetti chiave dell’affidamento
Kristina Pauro ha spiegato alcuni concetti chiave dell’affidamento familiare, formalmente definito come un istituto giuridico che ha la funzione di sistemare un bambino o un adolescente presso una coppia, una famiglia o un single, con o senza figli, se la famiglia d’origine va incontro a una situazione di difficoltà. Generalmente si tratta di abuso di sostanze da parte di uno o entrambi i genitori biologici o violenza domestica con risultato di trascuratezza, maltrattamento e abuso cronici che lasciano danni permanenti sull’autostima e la resilienza dei ragazzi, anche in età adulta. La famiglia affidataria viene aiutata economicamente dalle istituzioni della Repubblica e dagli enti regionali e locali, ma quello che deve poter offrire in primo luogo – amore, rispetto, attenzione e calore umano – non si compra col denaro, ma si regala. In queste condizioni il bambino crescerà sano e avrà almeno in partenza le stesse possibilità dei ragazzi più fortunati. Avrà modo di dirlo a parole sue il giovane Ivan Mustafić, uno dei protagonisti del documentario: “Una madre affidataria che ci ha ricompensato di tutto ciò che la madre biologica ci ha negato, è una madre nel senso proprio del termine”.

L’esempio di zia Jelka
Esistono più tipi di affidamento, come ha spiegato la psicologa Kristina Pauro, ma in tutti i casi le caratteristiche del provvedimento (in contrapposizione all’adozione) sono la temporaneità, il mantenimento dei rapporti con la famiglia d’origine e la previsione del rientro dello stesso nel suo nucleo familiare quando cessa la causa dell’impedimento. Tuttavia spesso l’affidamento si protrae nel tempo perché non ci sono le condizioni adatte al rientro. Spesso, anzi, i genitori stessi “cercano il figlio solo per assolvere a un impegno pro forma”. Se la famiglia affidataria non è imparentata, il limite d’età massimo per avere la licenza è di sessant’anni, altrimenti l’età massima come requisito vincolante viene a decadere. Normalmente l’affido riguarda non più di tre bambini alla volta, perché l’intento è quello di regalare a tutti la quantità d’attenzione, di cure e di amore necessari a ognuno. Tuttavia ci sono affidatari che col tempo hanno fatto di un’inclinazione (una missione) uno stile di vita e persino un mestiere. È stato questo il caso di Jelka Vukelić, l’altra protagonista del documentario, madre affidataria del giovane Mustafić, chiamata da tutti “zia Jelka” per l’affabilità, la semplicità e l’amore sconfinato che ha regalato a ben 37 bambini nell’arco di 22 anni. Che dire? Non sono cose che si fanno per soldi, queste, e i ragazzi che ha cresciuto, oggi adulti o sulla via per diventarlo, lo confermano: “Una madre affidataria è una madre. Punto.”

I danni invisibili
Le brutture del mondo e della vita, la condizione umana che a volte scade fino all’abisso dell’abuso sui minori, recano danni tangibili, ma anche invisibili che verranno a manifestarsi soltanto nell’età adulta delle vittime dell’incuria e della violenza genitoriali. “Qualcuno tra noi finirà per imboccare una strada sinistra. Qualcuno di noi non ce la farà a salvarsi. Ma io dico che quando ci è stata data una seconda opportunità bisogna lasciarsi il passato dietro e guardare solo avanti. Bisogna ripetere a sé stessi come ho fatto io: ‘dopo la pioggia viene il sereno’. Il sereno torna sempre, finito il temporale”: parole, queste, del giovane Mustafić che tutti dovremmo ricordare quando le difficoltà incombono e le soluzioni mancano. Le nostre, dopo tutto, non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle dei bambini che i servizi sociali hanno seguito al posto dei genitori.

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