Con il calare della sera Pola diventa città fantasma

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Con il calare della sera Pola diventa città fantasma

Pola città fantasma, anche quando non piove. Un’atmosfera così spettrale e surreale, abbagliata da infinite luminarie e senza gente, non è stata mai vissuta. E forse, anche il dopoguerra per chi lo ricorda, avrà avuto più anima. Con queste vie deserte e affondate in un’oscurità del vivere tagliata dai riflessi artificiali delle lampadine festive, pare di rivedere il periodo del coprifuoco capitato dopo il crollo della Jugoslavia. Ogni tanto qualche passante intraprende una camminata sul percorso che va dal mercato, verso via Flanatica e fino a via Sergia, luoghi che solitamente sono l’anima pulsante del centrocittà e che ora non sono nemmeno l’ombra di sé stessi. Chi li percorre non è immune dal diventare prigioniero di una sensazione di solitudine sui generis, imposta dall’inverno subentrante e da quel famigerato, microscopico essere a forma di palla con chiodini, che ha messo sottosopra l’esistenza planetaria. Anche senza coronavirus, Pola soffre di acciacchi suoi: gente per le strade, voci, richiami, brontolii e risate si sono ridotti e annullati nelle ore serali della stagione autunno-inverno ancora dopo il crollo di Scoglio Olivi, il mondo industriale che se ne sta piazzato davanti alla Città, per celare dietro le mura i suoi miseri resti dell’apocalisse economico-industriale. Al posto degli sportelli bancari che hanno chiuso in serie, soprattutto in mancanza di clientela che dall’Arsenale si riversava in massa per prelevare la paga, si sono moltiplicate le panetterie, con focacce e dolciumi in vendita con effetto anti-magone. I negozi, ancora parzialmente risparmiati dalle disposizioni coercitive per contenere l’epidemia, lamentano la totale assenza di acquirenti. A poco servono gli shopping day i venerdì neri con gli sconti, i buoni da rivista con percentuale ridotta. Forse al mattino, quando ci sono ancora segnali di vita, e, di passaggio, durante la sosta di lavoro, qualcuno persino compra. Sussurri di un piccolo mondo urbano solitario: qualche bicicletta che sfreccia, una coppia di genitori con bimbo che fa storie, uno scalpiccio frettoloso, una giovane voce che chiama un’altra più distante, il rumore delle macchine che attraversano via Laginja e i Giardini. Emozioni rare. Gente che se ne va ed evita soste. Meglio scansare le piazze che per la loro stessa estensione comunicano una solitudine ancora più ampia. Le vetrine non si sono spente, gli abeti natalizi hanno acceso la parvenza di festa, mentre le casette dell’Avvento hanno riprodotto il bosco magico ai Giardini, per comunicare che non apriranno mai e che nulla accadrà. Tanto valeva non piazzarle, gioire della fatica risparmiata e toglierci la desolazione di un cuore cittadino illuminato a vuoto con pochi rumori sordi, confusi e inesistenti. La Via crucis nel deserto della stagione umida e fredda, si accentua dal timore e dalla necessità di stare distanti da ogni casuale passante.

Via Sergia: quella che d’estate soffoca di turisti

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