Branislav Danevski: «Non mi sento un eroe, ho soltanto fatto la cosa giusta»

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Branislav Danevski: «Non mi sento un eroe, ho soltanto fatto la cosa giusta»
Branislav Danevski. Foto: Marko Mrđenović

“Ore di angoscia durante la regata Pesaro-Pola”. Con queste parole diversi giornali titolarono gli articoli dedicati a quanto successo nella notte di sabato 7 maggio, quando la barca a vela “Canarino furioso” (mentre navigava a circa 17 miglia nautiche dalla costa polese) rimase coinvolta in un brutto incidente. Dopo avere perso il bulbo, molto probabilmente a causa dell’urto contro un oggetto semisommerso, l’imbarcazione si ribaltò. I tre membri dell’equipaggio che in quel momento erano impegnati nelle manovre in coperta finirono in mare, ma in pochi minuti riuscirono a risalire nuovamente sullo scafo, mentre le due donne a bordo rimasero intrappolate sottocoperta a causa della rapidità della scuffia e riuscirono a sopravvivere grazie alla bolla d’aria presente nello scafo. Immediate scattarono le richieste d’aiuto da parte dell’equipaggio. A raccoglierle fu la nave battente bandiera maltese “Tzarevich” che si trovava nei paraggi e che, raggiunta la “Canarino furioso”, prese a bordo i tre uomini. Per salvare le due donne intrappolate sottocoperta, invece, fu necessario attendere l’arrivo dei rinforzi. Alle operazioni di soccorso presero parte le Autorità portuali di Pola e Fiume, nonché la Guardia costiera. L’assoluto protagonista di questa vicenda o meglio l’eroe che evitò che l’incidente si trasformasse in tragedia è, però, soltanto uno e il suo nome è Branislav Danevski. La sua grande impresa, il suo altruismo, il suo coraggio, ma soprattutto il suo senso del dovere che ha permesso di salvare due vite umane, non sono passati inosservati. Qualche settimana fa, il 64.enne Branislav Danevski, sommozzatore di professione, è stato insignito del Nastro azzurro del Vjesnik (Plava vrpca Vjesnika), una prestigiosa onorificenza al merito che ogni anno il Sindacato nazionale dei marinai conferisce agli uomini di mare più meritevoli, distintisi in operazioni di soccorso e salvataggio in mare. E vista la concorrenza (tra i nominati c’era anche chi ha salvato nove turisti sfidando un vento fortissimo) il premio assegnato al sub polese assume ancora più rilevanza. Tuttavia, Branislav Danevski non vuole i complimenti e non vuole essere chiamato eroe.
Non mi sento un eroe, anzi a dirla tutta provo un po’ di disagio nel ritrovarmi al centro dell’attenzione. Reputo solo di aver fatto la cosa giusta”. È così che Danevski ha risposto alla nostra domanda su quali sensazioni ha avuto dopo avere salvato due vite umane.
E del Nastro Azzurro del Vjesnik che cosa ci dice? Che significato ha per lei questo premio?
Il Nastro Azzurro del Vjensik è il più alto e importante riconoscimento a cui un uomo di mare possa ambire. Detto ciò, lo vedo non soltanto come un premio per un atto di coraggio, ma come un premio alla mia competenza e professionalità maturate in 40 anni di pratica di attività subacquee”.
Come ci si sente dopo avere ricevuto un riconoscimento di tale rilevanza?
È una domanda alla quale fatico a rispondere. Sono un uragano di emozioni. Posso soltanto dire che il 6 dicembre scorso, il giorno della premiazione a Dubrovnik (Ragusa) ho realizzato davvero quanto accaduto sei mesi prima e di avere contribuito al salvataggio di due persone. Due persone che oggi considero due sorelle come loro considerano me un fratello. Questa è la cosa più bella e preziosa di tutta questa vicenda.
Riavvolgiamo il nastro…
Erano le cinque del mattino. Stavo dormendo quando all’improvviso è squillato il cellulare. All’altro capo del telefono c’era la responsabile della Capitaneria di Porto, Dolores Brenko, la quale dopo avermi spiegato che una barca a vela si era ribaltata al largo di Pola e che due persone erano rimaste intrappolate sottocoperta ha chiesto il mio aiuto. Senza pensarci due volte mi sono alzato dal letto e dopo soli nove minuti ero già in macchina diretto verso il mio Diving center per recuperare l’attrezzatura necessaria. Penso di avere percorso il tragitto da casa, a Stoia, al Marina Veruda in non più di dieci minuti. Raggiunto il centro, intorno alle 5.18, fui nuovamente contattato dalla Capitaneria di porto, i cui responsabili mi informarono che una motovedetta della Guardia costiera, tra l’altro già partita dal porto di Pola, mi avrebbe prelevato direttamente al Marina. Così è stato. Alle 5.40 mi sono imbarcato e dopo circa una ventina di minuti abbiamo raggiunto la “Canarino furioso”, che si era totalmente rovesciata. Senza nemmeno attendere che la motovedetta s’avvicinasse e fermasse mi sono tuffato in acqua. Raggiungere il natante non è stato, però, semplice. Il buio, le vele e la moltitudine di funi che galleggiavano sull’acqua attorno la barca rendevano tutto molto più difficoltoso.
Alla fine l’ha raggiunta…
Grazie all’aiuto di una torcia sono fortunatamente riuscito a raggiungere l’imbarcazione. A quel punto mi sono immerso, scendendo di tre/quattro metri, per raggiungere il cockpit della “Canarino furioso”. Il portello d’ingresso era, però, bloccato da un groviglio di funi. Non mi sono dato per vinto e ho continuato a cercare altre soluzioni. Nel frattempo cercavo di illuminare l’interno dell’imbarcazione dagli oblò e di segnalare la mia presenza battendo sullo scafo. Ma niente, fino a quando da un finestrino non ho intravisto una mano, che ho poi scoperto essere quella di Magdalena Vodopija (direttrice della Fiera del libro di Pola n.d.a.). L’ho stretta, ma nemmeno questa volta ho ottenuto risposte. Ho continuano a stringerla fino a quando, la terza volta, ho percepito un flebile feedback. Capito che le persone all’interno della barca erano ancora vive mi sono messo nuovamente al lavoro e dopo che ero riuscito a sbarazzarmi del groviglio di funi e di una scaletta che continuava a cadermi addosso sono riuscito finalmente a entrare sottocoperta.
Qual’era la scena che ha visto?
Sulla mia destra c’era Magdalena, sulla sinistra Sandra. Poiché mi sembrava che Sandra si trovasse in condizioni peggiori l’ho afferrata, le ho dato un regolatore da immersione e le ho detto di metterlo in bocca e di iniziare a respirare. A questo punto l’ho stretta con due braccia e iniziato a estrarla dalla barca. Raggiunta la superficie, la prima delle due superstiti è stata issata a bordo della motovedetta. Io sono tornato sott’acqua per raggiungere Magdalena e ripetere l’intero procedimento di salvataggio. Tutto stava andando per il meglio, quando a un certo punto, stremata da tre ore trascorse in acqua a 12 gradi, Magda ha perso il regolatore ma, fortunatamente, sono comunque riuscito a riportarla in superficie.
Da quel giorno è cambiato qualcosa nella sua vita?
No, assolutamente. A parte l’orgoglio di avere contribuito a salvare due vite sono la stessa persona di sempre, innamorata del mare e di tutto quanto ad esso legato.
A proposito di mare, ci può dire qualcosa sulle sue passioni e la sua attività?
Come ho già ricordato sono il titolare di un Centro subacqueo che gestisco assieme ai miei figli, ai quali prevedo di lasciare presto la completa libertà d’azione. L’anno prossimo compirò 65 anni e penso sia l’età giusta per ritirarsi e lasciare spazio ai giovani. Con questo non voglio dire che mi limiterò a fare il pensionato. Continuerò a occuparmi di subacquea e tornerò a dedicare più tempo a una mia vecchia passione mai sopita: la fotografia, in primo luogo subacquea, che tante soddisfazioni mi ha dato e continua a darmi. Tra i miei piani futuri figura anche la pubblicazione di una monografia, ma non voglio svelare ulteriori dettagli.
In conclusione non resta che chiederle se è soddisfatto di quanto è riuscito a raggiungere nell’arco della sua lunga carriera?
Sono contento e appagato. Anche dei tanti successi conquistati al di fuori del mio lavoro, sempre nell’ambito dell’attività subacquea. In questi 40 anni ho conquistato tanti titoli e premi e ho avuto e ho ancora l’onore di essere il selezionatore della Nazionale della Bosnia ed Erzegovina di fotografia subacquea.

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