
A giudicare dal colore rosso-bruno delle foglie ancora attaccate ai rami, e dalla quantità di foglie secche già cadute sul marciapiedi, senza aggiungere altro sull’aspetto desolatamente autunnale delle chiome mentre siamo ancora in piena estate (pur avendone già abbastanza e invocando sempre più esplicitamente il cambio di stagione), si direbbe che gli ippocastani in via della 43ª Divisione istriana stiano per esalare l’ultimo respiro. In paragone con i bagolari tra l’altro, che sono sempre verdi e sani, l’ippocastano o castagno d’India (Aesculus hippocastanum) patisce l’estate come pochi altri alberi ornamentali in città. Il suo maggiore pregio era quello di creare zone d’ombra estese e fitte, portando sollievo nelle giornate più calde dell’anno. Con le fronde che si seccano e cadono dissipandosi fino a lasciare i rami spogli, il pregio viene meno e quelli che ci restano sono solo i difetti della specie.
Gli ippocastani fanno vita dura in città di questi tempi di emergenze climatiche sempre più pronunciate e le città che accusano gli stessi sintomi di malessere dell’ippocastano sono sempre più numerose. Si dice che nella vastità delle specie arboree urbane tradizionali, in condizioni climatiche avverse, l’Aesculus hippocastanum sia il primo a chinare la testa. Se in primavera le sue splendide infiorescenze bianche e rosse e le grandi foglie palmate sono uno spettacolo a vedersi, in estate tra luglio e agosto le grandi chiome sono già secche come se fossimo in autunno inoltrato. Sarebbe una reazione tipica della specie allo stress dovuto a condizioni ambientali per cui la pianta cerca di difendersi lasciando cadere le sue foglie (in botanica il processo porta il nome di filloptosi) per ridurre il fabbisogno di acqua e sopravvivere fino alla nuova stagione delle piogge. Quando poi riprende a piovere, la pianta si riveste di foglie per incominciare a nutristi e a volte fiorisce nuovamente fuori programma. Lo sforzo è doppio e l’albero, essendo costretto a “lavorare” eccessivamente, rischia l’indebolimento e il deperimento generale. Ovviamente una pianta debole è un magnete per i parassiti. L’ippocastano è un pasto particolarmente ghiotto per la cameraria (Cameraria ohridella), un insetto dalle larve minatrici che per vivere scavano gallerie nelle sue ampie foglie portandole alla necrosi. Il caratteristico colore rosso-mattone della foglia secca è il risultato di questo “scavare”. Siccome la cameraria è un parassita che infesta preferenzialmente l’ippocastano dai fiori bianchi (Aesculus hippocastanum L.) di origine asiatica, le specie americane e gli ibridi a fiori rossi risultano più resistenti e quindi meglio adatti a combattere l’infestazione. Ma la cameraria non è l’unica minaccia all’Aesculus hippocastanum, perché in condizioni di prolungate precipitazioni in primavera, l’albero soffre anche la presenza di funghi come Guignardia aesculi che attacca le giovani foglie. Insomma, gli ippocastani soffrono. Che sia per i cambiamenti climatici, la siccità, le temperature elevate, i funghi e le larve, a questo punto molte città, e ora anche la nostra, sono costrette a chiedersi se l’ippocastano, nonostante il suo grande valore paesaggistico-decorativo, possa ancora costituire una scelta ponderata per le alberature urbane in condizioni estive canicolari sempre più durature o se sia piuttosto il caso di optare per varietà arboree più resistenti. Poco alla volta, bisognerà iniziare a pensarci seriamente.
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