
L’Istria, un fazzoletto di terra di circa 3.600 chilometri quadrati di superficie, è come uno scrigno che non si finisce mai di scoprire. Ovunque si vada si trovano tracce di civiltà antiche, ma anche “ruderi” moderni, appartenenti a epoche a noi molto più vicine. Un esempio del genere è rappresentato dalla dismessa ferrovia Lupogliano-Stallie (Arsia), costruita nel 1951 per collegare il bacino carbonifero dell’Arsa alla Ferrovia istriana e ora per molti un’attrazione turistica particolare.
Ci sono luoghi che scompaiono dal presente senza mai del tutto lasciare il passato. Tracce silenziose, come cicatrici di ferro sulla pelle della terra, raccontano storie che l’asfalto ha tentato invano di coprire. Una di queste storie correva, un tempo, su un tratto di binari che collegava, appunto, Lupogliano a Stallie, nel cuore dell’Istria meridionale.
Oggi, della ferrovia resta poco: qualche rudere di stazione, ponti arrugginiti e una linea tratteggiata sulle vecchie mappe. Eppure, nel suo breve tragitto si condensano capitoli cruciali della storia industriale e politica della regione, sospesa tra epoche, regimi e sogni di progresso.
I piani erano diversi…
Fu così che, tra il 1935 e il 1937, venne costruita la linea Lupogliano-Stallie: 52,4 chilometri di binari a scartamento normale, tracciati con criteri ingegneristici rigorosi, ma senza concessioni alle esigenze civili. Nonostante la sua natura specialistica, la linea giocò un ruolo importante durante la Seconda guerra mondiale, facilitando i movimenti di materiali strategici e supportando l’economia di guerra. Tuttavia, con il mutare degli assetti geopolitici e l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia, la linea perse progressivamente la sua funzione.
Al momento della pianificazione, era stato previsto il collegamento con Fiume e Zagabria, attraverso un tunnel sotto il Monte Maggiore, ma questo progetto non è stato mai realizzato. Dopo la dissoluzione della Jugoslavia la linea ha conosciuto un forte declino dovuto all’isolamento delle linee istriane (raggiungibili soltanto dalla Slovenia) dal resto della rete ferroviaria croata. Comunque sia, la linea è rimasta aperta fino al 26 dicembre 2009, quando una frana tra il chilometro 21+385 e il chilometro 21+465 ne decretò la chiusura definitiva. Nel 1959 fu addirittura aperta anche al traffico passeggeri, ma a causa della scarsità della popolazione nei luoghi da essa attraversati questo venne soppresso già nel 1966.

nei pressi di Cosgliacco. Foto: Ivo Vidotto
Un’arteria mineraria
Questa linea secondaria, attiva dal 1948 al 1951, era tutt’altro che marginale. Fu concepita non tanto per collegare luoghi abitati, ma per servire l’industria: un’infrastruttura pensata per alimentare il cuore di carbone della nuova Jugoslavia. Arsia, con le sue miniere fondate in epoca italiana e già all’epoca profondamente trasformate dall’ingegneria fascista, era destinata a diventare un polo produttivo strategico del dopoguerra socialista.
Le origini del progetto risalgono alla metà degli anni Trenta, quando il regime fascista intensificò lo sfruttamento delle risorse minerarie del Regno d’Italia, in un’ottica di autosufficienza energetica e preparazione bellica. Arsia, nuova città di fondazione progettata con criteri moderni, divenne così un simbolo del razionalismo italiano applicato all’industria. Tuttavia, mancava un collegamento ferroviario adeguato che permettesse l’efficiente trasporto del carbone verso i porti o le industrie dell’Italia settentrionale.
Il percorso originale
La linea partiva dalla stazione di Lupogliano, snodo ferroviario lungo l’asse della ferrovia Divača-Pola, e attraversava l’aspro paesaggio carsico – con pendenze importanti e curve strette, adatte al traffico merci, ma poco compatibili con l’esercizio passeggeri – per raggiungere le zone minerarie attorno ad Arsia. Era una linea a scartamento normale, armata con rotaie del tipo S33, e disponeva di impianti sofisticati per l’epoca: un ponte girevole, stazioni di scambio e un breve tunnel che perforava la roccia istriana. Il materiale rotabile arrivava dalla Germania Est: locomotive diesel da manovra Köf II, che portavano sui loro telai il segno della ricostruzione postbellica europea.
Partendo da Lupogliano (393 m s.l.m.), la ferrovia percorreva in quota – transitando attraverso numerosi viadotti e tunnel e intersecando numerose vie di comunicazione secondarie – il costone carsico in direzione del Monte Maggiore (prima fermata dopo 5,7 km a 322 m s.l.m.), scendendo poi dolcemente verso il mare. Altra fermata a Šušnjevica (Susgnevizza o Valdarsa) dopo 16,5 km (206 m s.l.m.) e poi a Cosliacco dopo 25,5 km. Dopo aver percorso, lungo i margini, la vasta Piana d’Arsia, s’immetteva nella Valle del Fiume Arsa, che percorreva interamente, terminando la corsa in corrispondenza di Arsia, a pochi metri dalla costa, con fermate intermedie a Chersano al km 32,3 (35 m s.l.m.), San Martino (Vetva, poi Martinski e oggi Sveti Martin) al km 42,2, Arsia al km 52,4 fino a raggiungere Stallie (Štalije). Intorno al 1980 la linea fu allacciata anche al porto di Valpidocchio (Bršica).

Un progetto jugoslavo… e sovietico
Dietro la costruzione della linea c’era un’idea più ampia: fare dell’Istria un laboratorio del socialismo industriale. Gli ingegneri che firmarono il progetto provenivano dall’Unione Sovietica, richiamati da accordi bilaterali tra Belgrado e Mosca nei primi anni del dopoguerra. L’intero impianto ferroviario venne realizzato in tempi record, anche grazie al lavoro coatto di prigionieri di guerra italiani e tedeschi.
Ma proprio quando la linea cominciava a funzionare, la storia virò bruscamente. La rottura tra Tito e Stalin nel 1948 congelò ogni collaborazione con l’URSS. Le forniture tecniche si interruppero, molti esperti sovietici lasciarono il Paese e diversi progetti industriali ispirati al modello sovietico vennero abbandonati o ridimensionati. La ferrovia Lupogliano-Stallie, inaugurata lo stesso anno della spaccatura, divenne in fretta un simbolo dell’incompiuto.

L’inesorabile declino
La linea fu utilizzata per appena tre anni. I convogli trasportavano carbone e materiali industriali, ma con un traffico sempre più intermittente. I costi di manutenzione erano alti, e la linea si rivelò vulnerabile: il percorso impervio, soggetto a frane e smottamenti, rendeva difficili i trasporti. Inoltre, la progressiva dismissione delle miniere di Arsia negli anni Cinquanta tolse alla ferrovia la sua unica ragion d’essere.
Nel 1951, la linea fu chiusa. Le rotaie vennero smantellate poco dopo. Oggi, al loro posto, resta un sentiero selvatico che i più non riconoscono come ex sede ferroviaria. Eppure, osservando bene, si scorgono ancora i terrapieni artificiali, le arcate di qualche ponte e persino tratti di massicciata che resistono alla vegetazione.
Una memoria senza voce
La storia della Lupogliano-Stallie è una di quelle che raramente entrano nei manuali. È una storia marginale, ma preziosa: racconta di un’epoca in cui la ferrovia era strumento politico, cinghia di trasmissione di ideologie e ambizioni economiche. Ma racconta anche delle crepe nei grandi progetti, del destino fragile delle infrastrutture nate in fretta e lasciate andare altrettanto in fretta.
Camminare lungo i resti di quella linea è come seguire un filo interrotto: porta in un passato fatto di fumo e carbone, di sogni di acciaio, di uomini mandati a scavare o a progettare in nome di un domani che non è mai arrivato. Forse proprio per questo, merita di essere ricordata.





Trasporto passeggeri, un’ipotesi scartata
La ferrovia Lupogliano-Stallie non fu mai pensata per i passeggeri. Il suo tracciato, funestato da frane e curve strette, serviva un unico scopo: il carbone. Eppure, con grande ritardo, il 29 novembre 1959 iniziarono a circolare anche alcune carrozze passeggeri. Troppo poco, troppo tardi: l’orografia ostile e la distanza dai centri abitati condannarono il servizio a una lenta agonia. Nell’intero 1966, ultimo anno di attività, furono appena 3.600 i passeggeri trasportati. Diversa fu invece la parabola del traffico merci. Dal 1º giugno 1952 i convogli iniziarono a trasportare regolarmente carbone, proveniente dalle ricche miniere dell’Arsia. Le stime parlavano di 30 milioni di tonnellate di riserve: una promessa di energia per l’intera Jugoslavia. Dopo il declino degli anni Sessanta, la linea conobbe un’imprevista rinascita intorno al 1979, quando il porto di Valpidocchio (Bršica) iniziò a movimentare legname e bestiame. Nel 1990 si toccò la cifra record di quasi 300.000 tonnellate trasportate.
Oggi il carbone non si estrae più e i binari sono silenziosi. Ma due paesini lungo il tracciato, Susgnevizza (o Valdarsa) e Cosliacco, conservano ancora un fascino che potrebbe – un giorno – attirare i turisti in cerca di memoria e binari perduti.
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