«Pesca, l’UE ha fatto più male che bene»

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«Pesca, l’UE ha fatto più male che bene»

SALVORE | Varando nuove disposizioni legislative e regolamenti, con le quali ha spostato la pesca a strascico oltre le 3 miglia e la pesca dei molluschi con i “ramponi” sotto costa, l’Unione europea ha messo in grosse difficoltà tantissimi pescatori, il cui pescato è sensibilmente diminuito. E non di poco, cosa che preoccupa anche il Gruppo d’azione locale per lo sviluppo della pesca “Pinna Nobilis”, con sede a Cittanova e presieduto dal pescatore salvorino Danilo Latin, il quale è anche membro della Commissione nazionale per la Pesca a strascico.

Una situazione di squilibrio

Proprio ieri Latin si è fatto accompagnare durante un’uscita di pesca da due esperti dell’Istituto oceanografico di Spalato, Ivo Marušić e Ratko Cvitan, impegnati a raccogliere dati per il programma europeo sulla pesca sostenibile, per far capire loro quali sono i veri problemi legati alla pesca a strascico. Si tratta di problemi che stanno diventando molto seri, perché riducono i guadagni e impediscono l’assunzione di nuovi operai. Spostando le famose “cocie” oltre le 3 miglia, molti pescatori hanno cambiato tipologia di pesca, dedicandosi a quella dei molluschi, principalmente capesante e canestrelli, entro le 3 miglia, dove è consentita, ripulendo in pochi anni il fondale e mettendo in difficoltà il comparto. L’Unione europea, dunque, ha fatto più male che bene, generando una situazione di squilibrio – tra entrate e uscite, pescato e sopravvivenza della pesca – molto grave. Inoltre, il Ministero dell’Agricoltura e della Pesca ha previsto delle restrizioni, ma anche degli indennizzi, per chi pesca con la lampara e la saccaleva, ma non ha previsto nulla per chi pesca a strascico.

Calamari e polpi… all’osso

La quantità di polpi pescati è diminuita di dieci volte, quella dei moli è stato quasi azzerata, perché si deve pescare al largo. Sono diminuite anche le giornate di pesca, come puntualizzato da Latin. “Entro le tre miglia le giornate di pesca erano di gran lunga superiori – ci ha spiegato Danilo Latin –, soprattutto con il mare mosso di bora, perché verso Umago e Cittanova si operava con meno vento. Pescando al largo inoltre è aumentato il consumo di carburante e di conseguenza le spese sono lievitate. Se guardiamo le dichiarazioni di assunzione in carico che dobbiamo inviare al Ministero dell’Agricoltura e della Pesca appena rientrati in porto, vediamo che prima il pescato superava i 400-500 chilogrammi, soprattutto di polpi, moscardini, calamari, moli e seppie, mentre ora di lavora con poche decine di chilogrammi. Prima si pescavano regolarmente 40-50 chilogrammi di calamari, ora se va bene si arriva a malapena a 4-5, tanto per fare un esempio. L’Unione europea, dunque, non ci ha portato molta fortuna. L’unica pesca che ancora resiste è quella della sogliola, ma per pescarla bisogna andare sempre più al largo, aumentando i costi e la fatica”.

Azzerata la piccola pesca

Si lamentano anche i 15 mila pescatori che si sono visti negare le licenze annuali per la piccola pesca, quella che veniva praticata con 200 metri di rete semplice (barracuda), non con il tramaglio. A lamentarsi sono anche i pescatori italiani della sponda opposta dell’Adriatico. Molte istituzioni sostengono che l’Adriatico sia a rischio. Tra il 2007 e il 2015 gli sbarchi di prodotti ittici della flotta peschereccia italiana in Adriatico sono calati di quasi il 21 per cento, da 116.898 a 92.595 tonnellate.

Dimezzata la cattura di scampi

La denuncia arriva dall’Adriatic Recovery Project, progetto coordinato da MedReAct in collaborazione con la Stanford University, il Politecnico delle Marche, Legambiente e Marevivo, nato per promuovere il recupero degli ecosistemi e degli stock ittici del mare Adriatico. Alcune specie, infatti, “pagano” il prezzo più alto. Il nasello subisce un prelievo di oltre cinque volte superiore ai limiti sostenibili. Il risultato? Tra il 2006 e il 2014 le catture di questo pesce sono diminuite del 45 per cento sia per i pescherecci italiani, sia per quelli croati. Stesso destino per gli scampi, altro pregiato prodotto ittico. Tra il 2009 e il 2014, si legge ancora, le catture di questa specie sono diminuite addirittura del 54 per cento.

Croazia, 20 kg pro capite

Se parliamo di Europa e di pesce, allora bisogna dire che a livello statistico il consumo pro capite è al di sotto delle aspettative. In questo momento, stando al Ministero dell’Agricoltura e della Pesca, si consumano 12mila tonnellate di pesce, di cui il 60 per cento è d’importazione. Mediamente il consumo pro capite di pesce in Croazia è di 19,7 chilogrammi, in Slovenia di 11,2 kg (dati del 2017), mentre il consumo medio di pesce in Europa è di 23,1 chilogrammi, dove primeggiano Islanda (89,9), Portogallo (55,6) e Spagna (43 chilogrammi), mentre in Italia il consumo medio è di 26,8 chilogrammi pro capite all’anno..

Statistiche discordanti

La Croazia, che di mare ne ha tanto, consuma pochissimo: stando all’Osservatorio europeo di Mercato il consumo pro capite di pesce è di 19,7 chilogrammi, però secondo i dati forniti dall’Istituto croato di statistica, il consumo pro capite è di 8-9 chilogrammi. Due dati che sono contrastanti, ma comunque che indicano consumi molto bassi. Probabilmente la differenza sta anche nell’export di pesce, perché il pesce croato finisce soprattutto all’estero.
L’Unione Europea dunque, quando parliamo di pesca, non ha portato molti giovamenti, anzi. Non tutti i Paesi sono uguali (l’Italia ha una flotta di gran lunga superiore a quella croata) e non tutte le zone sono ugualmente pescose.

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